Quando uno gli chiese quale fosse il modo migliore
per conservare il regno Alcamene figlio di Teleclo
rispose: basta non dare troppa importanza al guadagno(Plutarco, I detti degli Spartani)
Giònata, sommo sacerdote, e il consiglio degli anziani
della nazione, i sacerdoti e il resto del popolo dei Giudei
agli Spartani, loro fratelli, salute(Primo Libro dei Maccabei, 12,6)
Il Mito di Sparta è differente dalle altre aure e carismi che circondano tutte le città più illustri dell’Ellade antica: Argo, Micene, Tebe, Atene. La prima celebre per i suoi cavalli, l’origine egizia e il santuario di Hera. La seconda fondata dall’eroe Bellerofonte. La terza anch’essa di influsso egizio, la città di Dioniso e di Heracle. Atene, resa grande da Teseo e dall’alleanza con Eleusi, fù la prima talassocrazia commerciale d’occidente. La prima democrazia-demagogia mercantile dove la manipolazione propagandistica della massa emerse quale uno dei fattori politici determinanti. Ma mentre ad Atene c’era chi ammirava Sparta come Platone, Aristofane e Senofonte, a Sparta nessuno si sarebbe sognato di ammirare Atene in quanto vista quale emblema della corruzione e della tirannia!
L’assenza di mura e di monumenti spettacolari, la mancanza di vestigia grandiose superstiti concorse da una parte ad oscurare la fama di Sparta rispetto al facile successo mediatico di Atene, così pop e apparentemente inclusiva, dall’altra ci conserva fino ad oggi un suo fascino sottile e persistente, fondato sull’invisibile, su un’aura tutta interiore. Fù civiltà solo militare? No. Sparta non era la Prussia settecentesca. Sparta fù in primo luogo un civiltà sociale che esprimeva un economia organica, comunitaria, territoriale. Non fù colonialista come Atene. Unica sua colonia certa: Taranto, oltre ad un racconto mitico sull’ascendenza lacedemone dell’egizia Canopo e un probabile influsso culturale sulla Calabria italica.
Non c’era bisogno neppure di un soft power in quanto bastava la gloria del suo nome a spargerne ammirazione. Gli Spartiati, i “Seminati” discendenti dai denti del drago di Ares ucciso dal fenicio-greco-egizio Cadmo, non uscivano mai dalla Laconia se non per due tipi di occasioni rituali e periodiche: i Giochi di Olimpia e la consultazione dell’oracolo delfico di Apollo. Una società compiuta, sicura di se stessa, autosufficiente e fondata sull’educazione, sull’autodisciplina, sui valori della dignità, del rispetto e del coraggio, sulla trasmissione dell’esperienza di una saggezza acquisita. L’economia, agricola-artigianale e quasi interamente endogena era affidata alle donne degli Spartiati, oltre che agli Iloti e ai Perieci. Gli uomini si dedicavano esclusivamente all’arte delle armi, all’educazione e alle magistrature. Ma nei ginnasi spartani nelle pause degli allenamenti e dei giochi, tra un rito e un altro si conversava, si discuteva, si godeva della musica, della poesia, della danza.
Ecco il lato gelosamente tenuto nascosto dal genius loci lacedemone. Il culmine della comunitarietà appariva nei Sissizi, i banchetti rituali dove tutti sedevano uguali in fraterna sobrietà. L’unico difetto degli Spartiati era dato dall’eccessiva centralizzazione dell’educazione dei giovani, per cui quando un grande terremoto afflisse Sparta nel 464 a.c. un’intera generazione aristocratico-militare fù spazzata via, ponendo le premesse del suo declino che si consumò con la battaglia di Leuttra. Sparta quale stirpe sacra-mitogonica viene da Tebe e fù sconfitta dai Tebani di Epaminonda. Il cerchio continua. Eppure ancora sotto l’Impero romano gli spartani erano apprezzati quali ottimi mercenari sui campi di battaglia. Alcuni carismi di Sparta passarono in Roma secondo i racconti mitici che parlano del passaggio delle ceneri di Oreste, ultimo re mitico di Sparta, al santuario di Ariccia, conquistato poi da Roma.
Ceneri che divennero così uno dei sette pignora Imperii dell’Urbe. E prima ancora, pur vinti da Alessandro Magno non parteciparono alla sua spedizione contro l’Impero persiano a cui erano legati da affinità cultuali come il culto del sole e il sacrificio del cavallo. I Persiani furono accusati di aver corrotto con l’oro gli spartani stessi, quando da tempo l’oro era il bene più pregiato per tutte le società. Per molti secoli la moneta lacedemone fù infatti data da una semplice serie di pezzi di ferro. Una moneta volutamente anti-estetica, antica, brutalmente quantitativa e fondata su un metallo diffuso e stabile. Questo perché il denaro non divenisse troppo importante nella società, perché si riducesse il rischio di una sua accumulazione patologica, esclusivista. Ferro per le armi e ferro come moneta. La sacralità del sangue sparso quale sacralizzazione della moneta stessa. La moneta quale circolazione sociale, come il sangue. Così la moneta non usciva da uno spontaneo circuito sociale e umano.
Così Sparta è divenuta Mito ed è difficile ancora oggi distinguere tra storia e racconto mitico quando se ne parla tanto Senofonte, Pausania, Aristotele e Plutarco sono ammirati quando ricordano questa misteriosa Città-Stato diffusa; perchè la Laconia è Sparta e Sparta è la Laconia. Tutto si tiene. E’ la prima ekumene elladica, così differente dalla quasi permanente conflittualità anarchica delle altre città stato greche. Ancora oggi si dice: essere laconici, per chi ha come suo stile il parlare poco, sobrio, quale polarità dialettica di un agire efficace e costante. La Bibbia ci racconta che Sparta fù alleata con Roma e con i principi Maccabei contro la tirannia ellenistica di Antioco IV Epifane. Le civiltà aristocratico-terriere-militari esprimevano spesso tra di loro intense affinità elettive, sorprendenti a noi contemporanei. Il sistema politico spartano era assolutamente pluralista e bilanciato: due Re, cinque Efori come culmine delle magistrature e l’assemblea dei Trecento, apice unitario della società, autocoscienza della comunità.
Sembra il sogno di Aristotele e di Platone realizzato: un sistema di sintesi tra democrazia, aristocrazia e monarchia e nel contempo una stabile “repubblica dei filosofi” dove tutto era circolare: il prestigio degli anziani era completamente al servizio dell’educazione dei giovani, vera polarità attorno alla quale ogni situazione ruotava. La gerarchia era specialmente di tipo processuale-educativo in quanto la comunità si articolava in programmate classi generazionali: i fanciulli (paides), i giovani (hebontes), gli eirenes e gli spartiati, pronti per il campo di battaglia, e infine i presbyteroi cioè “gli anziani”, o meglio: i principi. Quello che sarà il “cursus honorum” di Roma ma qui anticipato pre-politicamente, già antropologicamente, quale circolo educativo globale, integrale, dove il valore, la vis-virtus-aretè viene percepita come sorgente sempre sul campo, dalla vita vissuta quotidiana. Sparta è la sua educazione, il suo inconfondibile stile di vita, l’educazione divenuta carne. La sua più grande ricchezza: il Nomos che viene da Apollo.
L’economista settecentesco Ferdinando Galiani nella sua opera “Sulla moneta” (1780) identifica tra i fattori decisivi della reale ricchezza di un popolo la sua educazione e l’efficacia delle sue magistrature. La “povera” Sparta, non appariscente, non imperialista, vinse nella storia la “ricca” e lussuosa Atene. Galiani ricorda che il valore reale dei beni economici dipende anche dalla loro percezione sociale e dalla loro sostanziale utilità. A Sparta la terra e il ferro valevano più dell’oro, delle spezie e del commercio.
Ad ogni neonato veniva affidato un lotto di terra, che non si poteva mai vendere. Principi sacri, non negoziabili reggevano la società e formavano l’efficacia della sua stessa economia. E il termine “nomos” è termine che non a caso deriva dalla radice indoeuropea nemein i cui tre significati principali appaiono illuminanti e complementari: distribuire-fare le parti-nutrire (la Moira), il pascolare-l’esprimere una sovranità e il cantare. O ci sono tutte e tre queste dimensioni o nessuna. Senza partecipazione non c’è sviluppo né cultura. Apollo come nume del canto, della giustizia e re dei pascoli. E il Nomos abbisogna di un’Oikos, di una “casa”, e viceversa non c’è “casa” senza un nomos vivente e vissuto.
Sparta è uno Stato-Comunità, uno Stato-Casa. Mentre Atene occulta sotto un’apparente liberalità diffusa un rigido schiavismo di massa e la relegazione totalizzante della donna nei ginecei Sparta coinvolge le donne nel suo processo educativo e di ritualizzazione sociale e appare anche più inclusiva a livello religioso in quanto le sue principali divinità (Apollo, Artemide e Afrodite) sono tutte divinità di origine asiatico-orientale e tutte non a caso divinità preposte all’educazione dei giovani. Per tutte queste ragioni Sparta oggi appare più attuale che mai in tempi di disgregazione sociale e di assenza di un’idea di futuro che sia strategica e sostenibile.
Ma la tanto decantata “sostenibilità” non può fondarsi su retorica, propaganda o varie forme di puritanesimo ideologico. La prima “sostenibilità” è data da un’economia che non sia solo fondata sul valore del guadagno e di una finanza/denaro fine a se stesso, artificiale, alienato e alienante. Proprio perché il valore principale di una società e di un’economia è la credibilità, la fiducia, proprio per questo l’economia non può fondarsi sull’economia. Nessun sistema può autofondarsi ma deve rinviare ad altri valori affinchè il decorso del tempo sociale non porti a cesure traumatiche ma si configuri come un circuito vitale.