Il 2019 non è’ stato un anno qualsiasi. Sono solo quattro anni fa, eppure , in un certo senso, in molti sensi , sembra appartenere ad un altra era. È’ stato l’ ultimo anno senza la grande pandemia che scoppierà l’ anno seguente e ucciderà sette milioni di persone nel mondo e che stravolgerà forse per sempre le modalità dei rapporti interpersonali e le consuetudini sociali. Non c’ era un conflitto armato tra nazioni europee dalla fine della seconda guerra mondiale nel secolo scorso e l’ idea che una guerra di invasione potesse ancora verificarsi in Europa appariva inverosimile e invece oggi è una triste realtà.
Non accadeva da forse centocinquanta anni che qua, in Italia, in Trentino, dove andiamo in vacanza con i bambini e dove crescono le mele più belle e meno saporite d’ Europa, un animale selvatico, un predatore apicale, uccidesse un uomo e invece in questi giorni è successo.
Un ragazzo, un atleta che stava correndo lungo un sentiero di malga in val di Sole, vicino a Cles ,è stato attaccato e ammazzato da un orso, anzi da un orsa, forse sorpresa con i suoi cuccioli dal corridore e magari più spaventata di lui, ha reagito secondo il suo istinto attaccando e uccidendo. Forse una pandemia o la terza guerra mondiale erano difficili da prevedere ma almeno questo, nel 2019 poteva essere previsto e infatti , trovandomi in Trentino, avevo scritto proprio nell’agosto di quell’anno un articolo sulla massiccia presenza di orsi nella regione e , vista la totale inconsapevolezza da parte dell’opinione pubblica dell’impatto che ciò poteva avere sull’elemento umano, avevo preconizzato l’ eventualità che incidenti fatali prima o poi si sarebbero verificati.
Era una facile profezia e solo la stupida retorica del buonismo salottiero dell’animalismo politically correct unita al pressappochismo e all’ incompetenza di chi avrebbe dovuto vigilare ha permesso che accadesse una tragedia come questa. Ora si assiste ad un nauseabondo clamore in cui dal più patetico conduttore di trasmissioni turistico-naturalistiche fino al giornalista più’ scalcagnato e persino il grande filosofo o il sociologo alla moda si sentono chiamati a dire la loro.
Nessuno che prima avesse il coraggio di dire ciò che ora appare fin troppo evidente, cioè che il frutto dei nostri goffi tentativi di procurarci il brivido della natura selvaggia, dopo averla meticolosamente cancellata , senza avere preventivamente ripristinato nella popolazione umana, residente o turistica che sia, la preparazione e la consapevolezza che era scontata in chi quel mondo un secolo fa lo viveva quotidianamente, avrebbe inevitabilmente portato ad eventi nefasti.
Perché’ l’ Italia rurale e agricolo pastorale, dal medio evo fino ai primi anni del novecento sapeva benissimo cosa fare e soprattutto cosa NON fare dovendosi quotidianamente rapportare, si badi bene, per necessità’ e non per diletto, con la natura selvaggia dei boschi e delle montagne.
Con la scomparsa di quel mondo per l’ abbandono delle zone montane e delle campagne che ha fatto seguito alle due guerre mondiali, la natura si è’ ripresa il territorio abbandonato dagli umani. Dapprima sono cresciute le zone di macchia e di bosco infine i boschi sono divenute vaste aree forestali che tuttavia, fino agli anni ottanta del secolo scorso, erano un mondo quasi esclusivamente vegetale perché gli ungulati: daini, caprioli, cervi e cinghiali, e i loro predatori: lupi, orsi, linci e sciacalli erano stati sterminati da tempi immemorabili.
Ricordo bene l’ emozione quando, negli anni 80, con i gruppi di ricerca del WWF, si rinveniva nei sentieri un impronta di qualche animale, la si tracciava, si prendeva un calco in gesso per identificarne la specie e si annotava la cosa come un fatto eccezionale.
Proprio in quegli anni udii nel bosco , all’ imbrunire , dopo una lunga passeggiata solitaria, (a cercare funghi non si va in compagnia) un terribile suono proprio vicino a me, inequivocabilmente lanciato da un animale: una specie di violento abbaiare roco e disperato ed emesso con una strana cadenza che non faceva pensare ad un un cane e trasalii spaventato.
Quale orrenda bestia uscita dall’ inferno poteva mai lanciare un grido così orribile? Per di più nei nostri boschi dove da sempre l’ animale piu minaccioso che si poteva incontrare era un tasso? Non vidi nulla ma, lo confesso, accelerai il passo profondamente turbato. Non avendolo mai sentito non sapevo ancora che i caprioli, così graziosi e inoffensivi lanciano un siffatto terribile bercio e che stavano ripopolando, insieme agli altri ungulati, le lande che avevamo abbandonato e quando chiesi ai miei amici naturalisti , tutti più’ grandi e più scafati di me, cosa potesse mai essere quello che avevo udito nel bosco mi tranquillizzarono e mi spiegarono che stavo “godendo” i frutti dei ripopolamenti, spontanei e artificiali a scopo venatorio, di ungulati nel nostro territorio.
E infatti, negli anni che seguirono i sentieri e le valli si riempirono non solo di caprioli ma di daini, di grandi cervi e purtroppo anche di cinghiali, ma non il nostro cinghialetto mediterraneo, bensì grandi bestioni importati dai Balcani, i cui esemplari maschi sovente superano il quintale. Intanto però’ ad estinguersi furono proprio i cacciatori che da quasi 2 milioni negli anni settanta già’ nel 2002 erano meno di 700.000. E quindi le loro prede prosperarono divenendo anche un serio problema per l’ agricoltura e in genere per il territorio.
Ma come nelle bacheche dei musei di storia naturale i diorami non sono completi se insieme alle prede imbalsamate non metti anche i loro predatori naturali con tanto di zanne e unghioni in bella mostra, così si è pensato di reintrodurre nella nostra grande bacheca naturale anche i predatori. Così nacque il progetto San Francesco per la tutela del lupo appenninico che dalle esigue popolazioni della Marsica e dell’Aspromonte, severamente vietati gli abbattimenti e meticolosamente protetto , da animale intelligente e opportunista quale e’ , si è’ diffuso a dismisura tanto che oggi i social pullulano di video di avvistamenti fino ai margini delle periferie delle metropoli del nord, con buona pace di chi ancora ha il coraggio di sostenere che il lupo ha paura dell’uomo.
Esso ha invaso persino la popolosissima pianura padana dove, grazie ai canali per l’ irrigazione zeppi di grosse e grasse nutrie, altra improvvida introduzione umana fuori controllo, il lupo ha trovato un vero supermarket low cost per le proprie esigenze alimentari, arrivando a diffondersi fino al delta del Po. Ma oltre al lupo un altro grande protagonista mancava all’ appello: il predatore apicale, al vertice della piramide alimentare in Italia: l’ orso. Cosi, nel 1999 , per salvare un relitto di popolazione autoctona inevitabilmente condannato alla estinzione, con fondi europei e con l’ entusiastica approvazione delle autorità, rispettivamente la provincia autonoma di Trento, il Parco Adamello Brenta e l’ istituto nazionale della Fauna Selvatica si è avviato il progetto Life Ursus , con lo scopo dichiarato di ricostituire un nucleo prospero e vitale di orsi nelle Alpi centro orientali grazie al rilascio di alcuni individui ceduti dai parchi della Slovenia ove , peraltro, l’ orso è una vera e propria lucrosa attrazione turistica.
Io stesso, ho volentieri pagato fior di quattrini, per visitare e fare Bear Watching nella riserva di Monte Nevoso , in Slovenia, da dove provenivano gli orsi del progetto italiano. Protetto dalla guida di un uomo formidabile, Anton Marincic, direttore gentile e disponibile del parco e forse uno dei maggiori esperti europei di fauna selvatica e in particolare di plantigradi, (tra l’ altro grande e grosso quasi più dei suoi bestioni), ho potuto visitare il parco e vedere a pochi metri numerosi orsi, comprese femmine con orsetti meravigliosi in tutta sicurezza e l’ opinione del quale, riguardo le tragiche vicende di cui stiamo parlando, sarei davvero curioso di conoscere anche se non mi risulta che sia stato interpellato, preferendo forse come ho già accennato, i nostri media ascoltare il parere ben più autorevole dell’ opinionista tuttologo più cool del momento.
Tornando al progetto Life Ursus non sto a tediarvi con i particolari ma vennero fatti studi di fattibilità della reintroduzione basati su più di 60 parametri tra caratteristiche ambientali e valutazioni socio economiche , e, cosa fondamentale, più del 70 % degli abitanti si sono detti favorevoli al progetto che prevedeva il rilascio di orsi nell’area. Quindi più del 70 % di coloro che ora, comprensibilmente, gridano allo scandalo e chiedono vendetta, era favorevole alla reintroduzione di un simile predatore che adesso , dopo ripetuti attacchi e con uno di loro ucciso mentre correva nel bosco dietro casa, li terrorizza.
Inoltre , probabilmente, nell’immediato futuro la psicosi creatasi comprometterà il turismo in quelle zone che si sono dimostrate completamente impreparate ed ignare, come se invece di una belva di 3 quintali con zanne e unghioni alla Freddy Kruger avessero acconsentito all’ introduzione nel loro territorio di una a qualche rara specie di salamandra o di fringuello a rischio estinzione per poi disinteressarsene. Dieci esemplari nati liberi in Slovenia furono rilasciati tra il 1999 e il 2002 e già in quello stesso anno e nel successivo si registrarono i primi parti seguiti da molti altri negli anni successivi.
L’ obiettivo a medio e lungo termine del progetto era quello, nei decenni seguenti, di giungere ad un nucleo stabile di almeno 40-60 orsi che, grazie anche ad apposite vie di fuga allestite sotto autostrade o ferrovie, avrebbero potuto diffondersi nelle aree limitrofe riducendo la concentrazione nelle zone ove erano stati introdotti. Tali vie di fuga ovviamente non sono mai state realizzate, d’ altronde siamo in Italia, ma in compenso i plantigradi si sono adattati fin troppo bene anche così concentrati nel trentino occidentale e ad oggi si stima una popolazione localizzata di oltre 120 esemplari, nella maggioranza femmine, che per molti mesi all’ anno recano i cuccioli con loro, risultando in caso di incontri con umani estremamente imprevedibili e pericolose. Ora le autorità, dopo averli introdotti, pensano non solo di abbattere gli orsi “problematici” cioè quelli che hanno attaccato ferito e ucciso esseri umani, e questo non perché siano dei serial killer ma semplicemente perché sono orsi e loro fanno così, ma anche di sterminare almeno la metà della popolazione di plantigradi stimata.
Dovrebbero, dovremmo vergognarci. Io non capisco: quel famoso 70 % di trentini che si dissero favorevoli e soprattutto quei sapientoni degli scienziati etologi che diressero il progetto Life Ursus cosa pensavano di avere liberato nei nostri boschi? È questo che mi fa incazzare enormemente. L’ idea che noi umani in ogni nostro tentativo di manipolare la natura, che sia l’ introduzione di un essere vivente in un ambiente noto o l’ utilizzo di una particella subatomica sparata contro un altra per vedere che succede o il fornire una mostruosa quantità di dati in algoritmi senzienti ingrassandoli di informazioni e consapevolezza così, tanto per vedere se saranno piu furbi di noi e farci su un mucchio di soldi, in realtà non riusciamo mai a prevedere come andranno a finire le cose ed esperienze come questa che stiamo vivendo in trentino dovrebbero insegnarci che sempre, alla fine , le conseguenze ultime delle nostre azioni si ritorceranno inesorabilmente contro di noi.
Mentre sto scrivendo mi trovo a San Vito di Cadore, Dolomiti Bellunesi, qui pare che di orsi non ce ne siano, non lo so. Saremo si e no a 100 km in linea d’ aria dal monte Peller , dove si è consumata la tragedia del maratoneta ucciso.
Ieri, purtroppo da solo, sono salito dal paese fino al rifugio Scotter, sulle pendici dell’Antelao, il re di queste montagne , immenso e fragile, ammantato di strane , insolite foreste di pini silvestri , bellissimi con le loro cortecce rosate ed i piccoli delicati ciuffi di aghi piegati dai venti catabatici in fogge bizzarre che i maestri dell’arte Bonsai cercano di imitare nelle loro fantastiche creazioni. Dietro una curva del sentiero il delicato profumo dei pini e dei primi fiori primaverili viene sopraffatto da un inconfondibile fetore di morte e di decomposizione: una carcassa di capriolo , un esemplare adulto, predato e mezzo sbranato, ingombra la via.
Qui siamo in bassissima stagione, gli impianti sciistici sono oramai chiusi e le verdi giornate estive sono ancora lontane per cui passa pochissima gente, i rifugi sono chiusi e pochi sono gli escursionisti. L’ animale quindi è qui da qualche tempo , forse due o tre giorni e chi lo ha sbranato, lupo o orso che sia, non può essere lontano. Sara’ la suggestione degli ultimi eventi ma proseguo guardingo e mi metto a fare una cosa che non ho mai fatto prima, camminando nei boschi o lungo sentieri in montagna, e avrei avuto seri dubbi sull’equilibrio mentale di chi avessi sentito farlo , da solo, in un posto come questo, ma dicono che si debba fare così: mi sono messo a cantare a voce alta!
A cantare per farmi sentire, dicono che sia gli orsi che i lupi evitano l’ incontro con l’ uomo se ne hanno la possibilità e sia cosa prudente avvertirli in questo modo patetico della nostra presenza. Sembra facile ma io non avevo certo voglia di cantare con quel tanfo ancora nelle narici. Ho dovuto pensarci su, anche perché uno cosa canta se è costretto a farlo così, all’ improvviso, controvoglia e diciamo, per necessità ? Allora mi e’ venuto in mente il motivo di una bellissima canzone che ultimamente mi capita spesso di ascoltare alla radio, l’ ultimo successo di una band del passato che sta vivendo una seconda giovinezza : i Depeche Mode e cosi il brano che urlavo straziandolo in malo modo era la loro Ghost Again, ancora fantasmi. Ci ho pensato solo dopo un po’…Vorrà dire qualcosa? Fa un po’ ridere ma confesso che ho avuto paura.