Nel 2022, David Cronenberg fa uscire il suo ultimo film, Crimes of the future, descrivendoci un futuro distopico in cui - agli estremi opposti - troviamo una nuova specie transumana, i plasticofagi, e l’artista performer Saul Tenser, che pratica una forma estrema di body art: fa crescere dentro di sé forme tumorali sempre nuove, che poi vengono estratte durante l’atto performativo. Mentre la sperimentazione artistica di Tenser si basa sul trarre fuori dal corpo umano delle escrescenze maligne, i plasticofagi al contrario traggono nutrimento dall’ingerire la plastica - materiale iconico dell’inquinamento sempiterno - e quindi traendola dentro di sé. Al di là della radicale distopia, quasi granguignolesca, il film di Cronenberg ci parla ad un tempo di un’idea di arte transumanista, e di una trasformazione transumana degenerativa. Ed è interessante notare che, nella pellicola, i plasticofagi sono gente comune, in cui la mutazione è avvenuta spontaneamente - e sono addirittura repressi da una speciale unità di polizia, denominata Nuovo Vizio.
Nella realtà effettuale, il transumanesimo si presenta come un fenomeno al tempo stesso scientifico e culturale, significativamente presente in occidente, e che tende sempre più ad assumere le caratteristiche di una ideologia messianica. Nella definizione di Wikipedia, «il transumanesimo è un movimento culturale che sostiene l’uso delle scoperte scientifiche e tecnologiche per aumentare le capacità fisiche e cognitive e migliorare quegli aspetti della condizione umana che sono considerati indesiderabili, come la malattia e l’invecchiamento, in vista anche di una possibile trasformazione post umana». Gli orizzonti su cui si colloca questo “movimento” sono essenzialmente quelli delle biotecnologie e dell’AI, e muovono in direzione di una crescente ibridazione tra umano e “device” tecnologici, in prospettiva volta alla creazione di un essere chimerico, non soltanto capace di espandere le proprie capacità, ma di conseguirne di nuove. Fondamentalmente, quindi, la parabola umana giungerebbe al suo estremo, e da animali che si immaginano creati da un essere divino, approderemmo ad un futuro in cui l’uomo stesso diviene creatore ed auto-creatore.
Ovviamente, una tale prospettiva apre - dal punto di vista etico, filosofico - una dimensione assolutamente nuova e inesplorata, in cui ancora una volta si appalesa il rischio che accompagna l’accelerazione tecnologica, ovvero l’incapacità della mente umana di metabolizzare (e quindi pienamente comprendere) le trasformazioni implicite ed esplicite determinate dalle proprie “progressioni” scientifiche. Ma la questione pone anche delle problematiche più “urgenti” e concrete. È pur vero che ogni nuovo traguardo scientifico e tecnologico ha un prezzo; come è stato detto, l’invenzione del treno porta con sé l’invenzione del disastro ferroviario, e consideriamo questo un costo “accettabile”. Ma, naturalmente, questa è una considerazione che facciamo ex post, quando abbiamo maturato una sufficiente esperienza in disastri ferroviari - sulla frequenza, sulla dimensione, ecc. E quindi in genere ciò accade quando il treno è entrato talmente a fondo nella nostra vita sociale, da risultare comunque irreversibile.
Da questo punto di vista, è paradigmatica l’esperienza fatta con l’energia nucleare. Seppure in alcuni casi sia stato possibile bloccare o limitare l’uso civile dell’atomo, sostanzialmente non c’è stata - ed oggi c’è meno che mai - la possibilità di fare altrettanto con l’uso militare. Per cui, paradossalmente, è stato possibile porre un freno all’uso potenzialmente meno pericoloso (e comunque “utile”), mentre non lo è stato rispetto all’uso più pericoloso della storia dell’umanità. E questo ci riporta alla questione in oggetto. Come si diceva, il transumanesimo - di cui una caratteristica fondamentale è la pulsione verso una “vita aumentata”, più sana quindi più lunga - deve fare i conti con due elementi fondamentali della realtà. Il primo, è l’antropizzazione del pianeta, che come sappiamo è una delle cause che non solo trasformano radicalmente la terra, ma che conseguentemente minacciano la stessa sopravvivenza della specie (non solo della nostra, a dire il vero). Uno dei problemi epocali con cui - appunto come specie - dovremmo fare rapidamente i conti, è la crescita esponenziale e diseguale della popolazione umana, la cui pressione sull’ambiente è inarrestabile. Trovare un punto di equilibrio tra la specie umana ed il resto del pianeta, e al tempo stesso tra le varie “famiglie” della specie, alcune delle quali crescono velocemente mentre altre rischiano di scomparire, è un’urgenza seria, di cui tener conto. Ed è evidente che la prospettiva transumanista di “vita aumentata” va esattamente nella direzione opposta - se la immaginiamo come prospettiva generale per la specie.
E qui si presenta il secondo elemento di realtà, ovvero la sostenibilità economica di una prospettiva transumana valida erga omnes. È chiaro che il transumanesimo è una ideologia insostenibile in termini di massa, ma al contrario si pone nella prospettiva di una ulteriore stratificazione e polarizzazione “di classe”, con una élite che ne beneficia largamente e appieno, e un vasto “neo-proletariato” biologico, che non avrà mai accesso alle tecnologie di trasformazione umana, se non nella misura limitata ad aumentarne una specifica capacità produttiva. Non è affatto per caso, infatti, che questa “ideologia transumanista” sia saldamente radicata in occidente, che è la parte di mondo in cui non solo il liberalismo economico, ma soprattutto il pensiero individualista, sono più profondamente - e da più tempo - radicati. Riannodando quindi vari fili, ecco che emerge una trama più chiara, una tessitura più leggibile. Sfrondato dai suoi imbellettamenti “progressivi”, il transumanesimo non è la trascendenza verso una dimensione più “alta” dell’essere, e nemmeno la trasformazione della specie in un superumano ibridato tecnologicamente, quanto piuttosto la premessa per un neo-feudalesimo oligarchico, in cui gli “aristoi” non sono più tali per una presunta discendenza divina, né tantomeno per intrinseche capacità, ma per la disponibilità economica che gli dà accesso ad una prometeica espansione delle proprie facoltà.
Il vero “crimine del futuro”, dunque, non sarà il “vizio” distopico di una nuova specie plasticofaga - vera e propria sublimazione dell’idea di riciclaggio ecocompatibile - ma il tentativo di creare non già una nuova specie ultraumana, quanto una nuova classe, dominante non solo per censo ma per un incremento bio-tecnologico delle capacità fisiche e mentali. Il rischio è però che questo crimine - indiscutibilmente tale sotto il profilo morale - non ricada mai giuridicamente in questa fattispecie, e che anzi al contrario (come purtroppo è avvenuto talvolta nella Storia) l’immorale divenga etico, l’illecito divenga legge, l’anormale divenga norma. Ed è questa la vera distopia da cui dobbiamo difenderci, prima che diventi realtà.