Immaginare il Polo Nord senza i ghiacci eterni o la calotta glaciale talmente ridotta da consentire la circumnavigazione. Sino a qualche decennio fa chi ne parlava veniva considerato quanto meno eccentrico. Non che nel susseguirsi delle ere geologiche i poli terrestri siano sempre stati come la scienza ci ha insegnato a conoscerli, ovvero immense distese di ghiacci eterni, sconfinate e desolate, non adatte alla vita umana eppure cariche di fascino e di grande potenza che hanno spinto la mente umana a immaginarvi qualche forma di esistenza possibile.
Tuttavia, mentre il continente ghiacciato al Polo Sud ancorché in grande mutamento e dove i segni del mutamento climatico già cominciano a lasciare i loro segni evidenti e preoccupanti, ancora ci si presenta nella sua immensa maestà e distanza, al polo opposto, quella che sino a ieri era una grande distesa di ghiaccio punteggiata da arcipelaghi e terre emerse quasi indistinguibili dalla banchisa, oggi ci mostra la sua faccia sofferente di ghiacci sempre meno eterni, di isole che tornano ad essere tali per molta parte dell’anno e dove la vita delle poche specie endemiche sta diventando sempre più precaria e a rischio.
In quel luogo mitico conosciuto nei secoli come il grande Nord, infatti, stanno avvenendo fenomeni di estrema gravità e a una velocità crescente con riflessi preoccupanti per la stabilità dell’ecosistema e per la stessa vita in quelle estreme lande. Poco conforta che imprese di navigazione e addirittura crocieriste stiano immaginando da decenni la navigabilità costante durante l’anno in territori dove solo il rompighiaccio avanzava a fatica o dove i trasporti erano in slitte trainate da renne oppure più di recente a motore: si tratta di una drammatica evoluzione foriera di gravi danni che non possono essere certo leniti ma peggiorati dal’arrivo futuro di migliaia di persone e di navi alla ricerca di un esotico contatto con i ghiacci eterni ormai in rititrata. Una prospettiva che definire triste è poco, tragica è forse l’aggettivo più adatto.
L’opera dell’uomo, la sua conoscenza poco possono per migliorare il trend, qualcosa invece si può ancora fare per preservare al meglio quel che resta. In questo tentativo di “fermare” il tempo in certo senso, si iscrive una missione di studio e di ricerca che un gruppo internazionale di scienziati ha iniziato il 1° aprile scorso raggiungendo il ghiacciaio Holtedahlfonna, nell'arcipelago delle Svalbard, iniziando la preparazione di un campo remoto a 1.100 metri di quota nell’Artico alla latitudine nord 79,15, ovvero quella più elevata per le terre emerse. La spedizione è guidata dall’Istituto di scienze polari del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Isp) e coinvolge scienziati del Centro nazionale francese per la ricerca scientifica (Cnrs), dell'Istituto polare norvegese, dell’Università Ca’ Foscari Venezia e dell’Università degli Studi di Perugia.
L’obiettivo scientifico, come viene indicato dai ricercatori è raccogliere due carote di ghiaccio di 125 metri ciascuna per comprendere meglio il fenomeno della ‘amplificazione artica’ ovvero del fenomeno dovuto alla riduzione della copertura del ghiaccio marino che ha tra le sue conseguenze il riscaldamento dell’oceano. Questi effetti a catena hanno un impatto sul riscaldamento dell’Artico, anomalo rispetto alle medie globali. E dunque costituiscono il tentativo di comprendere appieno quel che attende in futuro queste terre lontanissime ma anche i risvolti sulla vita nell’intero pianeta.
La missione, che si svolge in collaborazione con la Ice Memory Foundation, consentirà di conservare una carota di ghiaccio per i secoli a venire nell’apposito “Ice Memory Sanctuary” in Antartide. L’altra sarà invece a disposizione per gli studi attuali sul grave fenomeno in atto a quelle latitudini. Un gesto di grande comsapevolezza che permetterà alle future generazioni di scienziati di avere così accesso a una vera e propria testimonianza di ghiaccio di alta qualità, al fine di contribuire allo studio del clima del passato del nostro pianeta e anticipare i cambiamenti futuri, anche molto tempo dopo la scomparsa dei ghiacciai a causa del riscaldamento globale, eventualità che viene considerata ormai quasi certa di fronte alle dinamiche in atto e alle proiezioni future che si fanno sulla base della situazione attuale.
La scelta dell’arcipelago delle isole Svalbard, la terra più settentrionale d’Europa, è stata determinata purtroppo da un dato verificato: alcuni dei più gravi aumenti di temperatura degli ultimi decenni. Secondo studi recenti, la temperatura è aumentata infatti di 4-5°C negli ultimi 40-50 anni. Di fronte a questa prospettiva così drammatica il gruppo internazionale di scienziati che studia le complesse dinamiche di questa “amplificazione artica” ha ritenuto di iniziare subito il lavoro di repertazione e conservazione sulle alture ancora ghiacciate dell’Holtedahlfonna. I dati contenuti nei ghiacciai delle Svalbard sono infatti seriamente minacciati dal cambiamento climatico. L’obiettivo è aumentare la comprensione scientifica di tale ‘amplificazione artica’, in tempi stretti prima che le condizioni generali diventino proibitive e che la conoscenza dell’uomo sia privata di questi veri e propri giacimenti della storia e delle evoluzioni del nostro pianeta, in aree dove si riteneva impossibile che avvenissero così gravi cambiamenti epocali.
«Miriamo a determinare il ruolo del ghiaccio marino nell’amplificazione artica e il suo impatto sull’atmosfera, in particolare sui processi chimici del bromo e del mercurio. I dati ottenuti saranno confrontati con i dati satellitari sull’estensione del ghiaccio marino e con le misure di accumulo della neve. Inoltre, i modelli di trasporto atmosferico saranno utilizzati per stabilire le possibili aree di provenienza delle due specie chimiche», questa la spiegazione tecnica fatta da Andrea Spolaor, glaciologo e geochimico dell’Istituto di scienze polari del Cnr e capo spedizione alle Svalbard.
La particolare criticità delle condizioni ha convinto gli scienziati di questa spedizione a unire le forze con la Ice Memory Foundation per raccogliere una carota di ghiaccio che sarà conservata, insieme a molte altre provenienti da ghiacciai a rischio in tutto il mondo, per i secoli a venire in un apposito santuario della memoria del ghiaccio in Antartide. La speranza o meglio la convinzione scientifica, è che le future generazioni di scienziati dotate di nuove tecnologie e nuove idee di ricerca potranno così continuare a studiare gli archivi di informazioni sul clima e l’ambiente contenute in questi reperti che divengono cruciali e preziosi. Le precedenti carote di ghiaccio estratte nello stesso sito hanno fornito registrazioni dettagliate delle condizioni climatiche del passato, tra cui temperatura, precipitazioni e composizione atmosferica. Il team di scienziati, tuttavia, sta attualmente indagando se e come la recente accelerazione degli aumenti di temperatura abbia già avuto un impatto sulla qualità dei segnali climatici e ambientali. I risultati preliminari suggeriscono per questo l'urgenza di raccogliere ora una carota di ghiaccio da preservare.
«I ghiacciai alle alte latitudini, come quelli dell'Artico», spiega Carlo Barbante, paleoclimatologo, direttore dell'Istituto di scienze polari del Cnr, professore all'Università Ca' Foscari Venezia e vicepresidente della Ice Memory Foundation, «hanno iniziato a fondersi ad un ritmo elevato. Vogliamo recuperare e preservare, per le future generazioni di ricercatori questi straordinari archivi del clima del nostro Pianeta prima che tutte le informazioni che contengono vadano completamente perdute», poichè è questo lo scenario che si ha davanti anche se i fenomeni in atto dovessero subire qualche inversione di tendenza o il riscaldamento della Terra subire un rallentamento, rispetto alle preoccupanti dinamiche attuali.
La spedizione si caratterizza per la sua particolare difficoltà: gli scienziati opereranno infatti per circa 20 giorni a un’altitudine di 1.100 metri, affrontando temperature che possono raggiungere, in questa parte dell’anno, i -25 gradi. Il sito di perforazione di Holtedahlfonna si trova su un “ice field”, ovvero un’interconnessione di più ghiacciai, relativamente accessibile nell'arcipelago, grazie alla sua vicinanza a Ny-Ålesund, la stazione di ricerca più settentrionale del mondo, attiva tutto l'anno. La perforazione dovrà raggiungere una profondità di circa 125 metri nel ghiacciaio e ricostruire i segnali climatici degli ultimi 300 anni. Un intervallo di tempo di particolare rilevanza che potrebbe rivelare sia quanto accadeva prima sia dopo la rivoluzione industriale e l’inizio dell’antropocene, ovvero di quella fase che registra l’impatto dell’impronta dell’uomo sugli equilibri del pianeta.
A conservare la carota di ghiaccio per il futuro sarà una grotta di neve dedicata presso la Stazione franco-italiana Concordia in Antartide entro il 2024-2025. Gestito congiuntamente dall’Istituto polare francese e dal Programma nazionale di ricerche in Antartide (Pnra), tale archivio consentirà di conservare naturalmente le carote di ghiaccio a -50° gradi. Questo garantirà il mantenimento a lungo termine, proteggendo così i preziosi campioni dai rischi di interruzione della refrigerazione che potrebbero accadere se venissero stoccati nei congelatori commerciali in Europa (ad esempio, problemi tecnici, crisi economica ed energetica, conflitti, ecc.).
Le carote di ghiaccio del patrimonio Ice Memory. sottolineano gli scienziati, saranno conservate per un periodo di tempo indefinito, nel pieno rispetto del Protocollo di Madrid per la protezione ambientale dell'Antartide. Grazie al “santuario dei ghiacci” della Fondazione Ice Memory, le prossime generazioni di scienziati avranno accesso a carote di ghiaccio di alta qualità per portare avanti ricerche sull'ambiente e sul clima globale.
«Il bello dell’iniziativa Ice Memory non è produrre un valore aggiunto in termini di conoscenza odierna, ma creare le condizioni che permetteranno a chi verrà dopo di noi di produrlo», sottolinea Jérôme Chappellaz, scienziato del clima e presidente della Fondazione Ice Memory. Il patrimonio della Memoria dei Ghiacci - estratto da circa 20 ghiacciai in 20 anni - è destinato a diventare un bene comune dell'umanità e sarà conservato in futuro sotto una governance internazionale.
La Ice Memory Foundation è stata fondata da sette istituzioni scientifiche: Università Grenoble Alpes, CNRS, Istituto Nazionale di Ricerca Francese per lo Sviluppo Sostenibile - IRD, Istituto Polare Francese in Francia, Università Ca' Foscari Venezia, CNR in Italia, Istituto Paul Scherrer in Svizzera ed è gestita dalla Fondazione Università Grenoble Alpes.
Se si può fare una considerazione finale, va sottolineato che la tragicità degli eventi è tutta nelle decisioni assunte dai ricercatori, nella loro rapida realizzazione prima che qualcosa di irreparabile possa accadere. Non esattamente una bella notizia per l’umanità intera sempre più afflitta da crisi climatiche che aumentano la siccità, la desertificazione, amplificano fenomeni un tempo impensabili, si pensi per fare un esempio allo scongelamento del permafrost in Siberia o alle intere stagioni senza neve in quelli che una volta erano i paradisi dello sci, montagne e territori anche essi patrimonio della natura, baluardo della sua diversità o ancora la crescita delle acque marine in molte zone cruciali e critiche che come i ghiacci dei poli potrebbero divenire a breve soltanto un ricordo!