È stata una sorpresa imprevista l'incontro con Sonia Marin e il suo bel libro "Twenty weights, ...Please". Romanzo fotografico? Diario per immagini? È comunque il palesare un discorso intimo tra sé e sé, ma anche un discorso commovente con le donne della sua vita, donne di famiglia, quasi un mantenere il filo d'oro del ricordo forse per paura di perdere la sacralità della sua storia e forse anche per il desiderio forte di mantenere un legame di amore e di gratitudine con la madre e la nonna. Questo filo d'oro ha intessuto una trama preziosa, trama fatta di scatti fotografici intensi e di parole poetiche.
Immagini e parole. Sento quasi una sorta di disagio nel parlare di immagini fotografiche e di parole come se togliessero, con la loro concretezza, quell'aura magica, quella poesia, di cui sono fatte e di cui è impastato il mistero dell'umano che la narrazione di Sonia rappresenta. In realtà sono immagini e parole che dicono altro, molto di più, sono al di là del contenuto manifesto, toccano la sensorialità a tutto tondo, non sono solo da vedere e da leggere, ma veicolano altre comunicazioni percettive, si odono suoni e rumori, si annusano profumi e odori, si toccano superfici da cui scaturiscono diverse sensazioni tattili, si gustano anche sapori imprevisti.
Racconto per immagini di un transgenerazionale al femminile dunque, dove trasuda un grande affetto e si è attratti inesorabilmente in questa profondità emotiva dove corpo e mente si intrecciano in un tutt'uno rendendo attuale il passato in un unisono dove la memoria prelude anche un futuro. Commuove perché questa storia ci riguarda, è una storia che racconta di ciascuno di noi, ci tocca il riconoscere il non pensato che si fa percepibile in questo rispecchiamento. Il sublime diventa narrabile sia con le fotografie che col racconto.
È sorprendente il legame forte di Sonia con le donne di famiglia che l'hanno preceduta e di cui lei sente di farne parte, parte della loro carne, dei loro pensieri, delle loro fatiche e delle loro vittorie. Sonia è parte viva della loro storia che è la sua storia. Questo meraviglioso libro è scritto a sei mani, le tre donne suonano insieme pezzi inauditi, diventano mani che si sovrappongono, si intrecciano, si confondono e l'armonia che ne esce risuona della "musica delle sfere" (Pitagora) che il lettore intuisce e non può sottrarsi all'incantesimo, non può non reagire con un movimento interno, non può non rispondere/corrispondere con una consonanza intima oppure può rispondere con la fuga, scappando via se c'è un troppo intollerabile.
Non posso fare a meno di ricordare il pensiero di Bion che fa dell'immagine la prima necessaria trasformazione delle sensorialità o delle protoemozioni per poter pensare i pensieri. Sonia Marin fa proprio questo lavoro trasformativo intuendo che l'immagine fotografica sarebbe stata la via per dare pensabilità al suo vissuto impregnato della vita della madre e della nonna, una possibilità per dare significazione e riscatto anche alle loro esistenze. E dà vita, fotografandole, a piccole, grandi cose di tutti i giorni, quelle "minimalia" che fanno vivere e danno sapore alla vita.
Queste visioni risentono anche di trasmissioni sonore, di quel linguaggio arcaico fatto dapprima di vibrazioni che entrano nel midollo e diventano parte incarnata di una storia. L'embriologia ci dice che la voce materna, i rumori del suo corpo, il tintinnio o il fragore del vivere, prima che per via uditiva passano al figlio/a come onde vibratorie dentro la sua colonna vertebrale e vengono quindi recepite fin dalla vita intrauterina contribuendo a fondare la sua struttura psicofisica. E in "Twenty weights, ... Please" si verifica proprio questo passaggio dove l'uditivo è presente, si fa sentire, si riesce acusticamente ad intuire attraverso il visivo delle fotografie e le parole scritte.
È un libro da guardare, leggere, odorare, ascoltare, toccare, libro da vivere e da sognare, libro da lasciar risuonare dentro come eco emotiva; forse non a caso alla fine ci sono tante pagine bianche, lì si potrebbero trovare le parole che non sono state scritte, o quelle rime che non stanno nel verso, ma anche i pensieri vagabondi del lettore che compaiono e bussano alla sua mente-cuore per essere riconosciuti e che lì possono trovare ospitalità.
Non voglio svelare altro del contenuto del libro per non deprivare della gioia nativa della scoperta, di quella scoperta così intima da essere unica, scoperta di sé germinata dall'incontro con il racconto di Sonia. "Lo scopo dell'artista è di scomparire ... è come se avesse sulla faccia uno specchio così che ognuno quando lo guarda possa dire: sono io" ( Christian Boltanski) citazione di Alba Solaro. Quanti "io" troveranno se stessi in questo libro-verità? Quale la verità di Sonia?