Il Risorgimento italiano è ricco di episodi, alcuni dei quali maggiormente nell’immaginario collettivo, altri meno. Nel mese di maggio 1859, i Cacciatori delle Alpi guidati da Giuseppe Garibaldi compirono un’impresa rimasta epica nel varesotto, come immortala un dipinto e narrano molti testi, da quello scritto da Carrano, al diario di Simonetta, al manoscritto di Cadolini per citarne solo alcuni.
All’alba del 23 maggio 1859, la colonna di uomini comandata da Garibaldi, che aveva accuratamente preparato l’azione, aveva passato il Ticino giungendo a Sesto Calende, in territorio lombardo ancora austriaco, che venne agilmente presa tra il giubilo di popolo. Nel pomeriggio la brigata si mosse verso Varese già insorta da due giorni, lasciando a presidio di Sesto la Terza compagnia comandata da Decristoforis, con il compito anche di sorvegliare le mosse nemiche sul lago. La via scelta dai Cacciatori era quella più aspra e meno diretta per evitare di essere intercettati dal nemico che pareva fosse pronto ad un’imboscata, e alla fine giunsero di notte a Varese che li aspettava giubilante, trovando molte persone che illuminavano loro il cammino con le torce simbolo di una città in allerta, nella festa generale per la liberazione dall’oppressore.
Ben presto il generale chiamò a Varese sia Bixio che Decristoforis e vennero approntate le barricate a difesa della città: l’attacco ci fu il 26 maggio. Gli austriaci cominciarono i bombardamenti alle quattro del mattino, ma i volontari e i cittadini non si fecero impressionare: infuriò il combattimento, mentre i civili varesini preparavano le ambulanze, le bende, ogni sorta di aiuto per i combattenti per la libertà. Nella lotta, nella quale morì anche Ernesto Cairoli, i caduti garibaldini furono 18 ai quali se ne aggiunsero altri nove periti in ospedale tra i 63 feriti che vi erano stati ricoverati. Scriverà Garibaldi nelle sue memorie: “Le generose donne di Varese supplivano all’assenza dei parenti. Donne italiane! Io scrivo commosso, vedete: e lo credereste? Ho pianto…”. Il comandante austriaco Karl von Urban, sconfitto a Varese, a Malnate, poi a Como, preparò la controffensiva all’onta subita da un manipolo di volontari.
Mentre Garibaldi e i suoi occupavano i forti sopra Laveno lasciando sguarnita Varese, e si combatté la battaglia di Palestro il 30, le truppe imperiali rientrarono a Varese il 31 maggio. Urban pose il suo comando a Villa del Pero ed emanò un terribile ordine alla città per punirla di essere insorta. La multa comminata era di tre milioni di lire austriache da pagare in tre rate: la prima di un milione entro due ore dalla promulgazione dell’ordine; la seconda entro sei ore e la terza entro 24 ore.
Inoltre dovevano essere consegnati 300 buoi, tutto il tabacco, i sigari e il cuoio per la truppa. A garanzia, dieci possidenti del luogo dovevano consegnarsi fino all’adempimento dell’onere, mentre ogni piccolissima opposizione avrebbe dato luogo a conseguenze sinistre, in modo che nessun’altra città osasse ribellarsi ancora. L’occupazione di Urban durò fino al 5 giugno: il 4 i franco-piemontesi vinsero a Magenta e il 5 gli austriaci uscirono da Milano.
Quel giorno la Deputazione municipale approvò l’annessione della Lombardia al Piemonte come votata nel 1848. Nel 1942 giunse a Varese il quadro di Eleuterio Pagliano “Lo sbarco dei Cacciatori delle Alpi a Sesto Calende il 23 maggio 1859” che ritrae la maggior parte degli eroi di quei giorni, come voluto da Antonio Traversi e Claudia Grismondi che commissionarono al pittore l’opera.