Premessa. Oggi, dopo un mese e mezzo sono ritornata a casa, in questo studio, dove più in alto c’è solo il cielo. Lo stato di benessere, forse, mi dà il coraggio di dire quel tanto che vorrei dire, ma che il malessere del vivere, m’impedisce di ricordare e di scrivere. Chissà se riuscirò a raccontare quel girare nel vuoto e nel nulla che da troppo tempo sono i miei inseparabili compagni di strada.
Sono cinquant’anni che continuo a scrivere, e a lavorare nel campo dell’arte per anestetizzare le ferite che la vita così generosamente mi ha elargito. Anche la passione per le vie dell’acqua, per le pinete, per i tramonti e per le metamorfosi della natura sono mezzi, espedienti per cancellare il vuoto dell’assenza e per soffocare quell’urlo che non riesce ad andarsene fuori di me.
Siccome nella scrittura sono sempre sincera dovrò aggiungere “che di quelle cose che non è possibile dire, bisogna almeno dire che non è possibile dirle, affinché s’intenda che il tacerle non significa non avere nulla da dire, ma non saper esprimere il molto che v’è da dire….” (Suor Juana Inés de la Cruz, Risposta a Suor Filotea). Anche nell’amore ho costruito itinerari destinati inevitabilmente a patire ancora e ancora e poi ancora il vuoto dell’assenza, aiutata in questo caso, da partner prescelti con cura per mettere in campo Eros e Thanatos.
Dato che siamo esseri unici e irripetibili quello che tratterò ora è un Elogio di Amore ben diverso dal mio, che ha creato, però, danni difficili da sradicare e ancora presenti nella nostra cultura patriarcale. Questo Simposio per soli uomini avviene nel 416 a.C, a casa di Agatone e riportato poi da Platone tra i due viaggi in Sicilia (inizio del 388/87- 366/65).
Al Simposio sono presenti tra gli altri intellettuali Fedro, Pausania, Erissimaco, Aristofane, Socrate e Aristodemo. I convitati concordano di usare moderatamente il bere per dedicarsi all’Elogio di Amore, che viene trattato con argomenti diversi. Al termine degli altri interventi parla Socrate il quale dopo aver interrogato Agatone sulla vera natura di amore, riferisce il discorso tenutogli un tempo da Diotima, donna sapiente riguardo l’amore e in molte altre discipline.
Per Diotima Amore non è un Dio, ma qualcosa d’intermedio tra il mortale e l’immortale.
Amore desidera il possesso di quel bene che è il desiderio di immortalità, soddisfatto nella generazione della bellezza.
Diotima possiede un sapere che sale in alto per gradini successivi di ascesa. “Dal sono e non sono all’idea che sempre è immutabile ed eterna”
Dato che la voce è quella di Platone, il suo discorso corrisponde ad uno dei punti più alti della dottrina platonica: la filosofia come Eros, come contemplazione dell’idea attraverso il desiderio della bellezza immortale.
Diotima, infine, termina ribadendo che è l’amore tra due uomini a costruire la via erotica alla filosofia. Ne risulta chiaro il ruolo antifilosofico dell’amore tra donna e uomo, visto qui esclusivamente come il generare mortali. Viene quindi ribadita la contrapposizione tra una fecondità corporea -il generare figl*- e fecondità poetica - il generare discorsi divini, ossia i figli dei filosofi. Platone crea questa dicotomia tra il generare mortali dove la donna è vista esclusivamente come “la fattrice” e il generare invece discorsi divini e quindi eterni.
Nell’espropriazione del pensiero femminile Platone usa Diotima, la Sapiente, che in realtà dovrebbe essere colei che in piena autonomia riesce a parlare della e alla sua umanità.
Un fatto è costruire poeticamente un incontro dove gli intellettuali presenti possono aver detto ciò che Platone attribuisce loro perché ne condividono la stessa visione del mondo, altra cosa invece è l’appropriazione di una voce femminile -autorevole- per sottolineare un pensiero che annulla lei e l’umanità alla quale appartiene Diotima. E con lei tutte le donne vengono espropriate anche di quelle parole che sono legate all’esperienza della maternità. Il discorso di Diotima riportato da Socrate è tutto giocato sul tema della gravidanza, del partorire, del mettere al mondo il mondo. Fin qui ho ripreso vecchi appunti ritrovati in un foglio scritto fitto fitto in mezzo ad un testo scolastico.
L’errore di Platone é tutto nella sua visione dell’assoluto che viaggia alto fino a raggiungere l’astrazione. Ed ora, rileggendolo, vorrei approfondire il non previsto da Platone e di conseguenza non previsto da un pensiero filosofico che ha attraversato tutta quella Storia data per assoluta e universale, ma che in realtà, appartiene solo agli uomini.
In questa visione del mondo Platone crea un Soggetto che si mette al mondo col pensiero, viaggia al di sopra dell’esistente, non lo vede -semplicemente. Platone ignora la voce femminile quando scopre al di là dei fatti, delle tesi e dei sistemi eretti dagli uomini lo spazio della contingenza, dell’intenzione, del senso.
Platone non vede la nascita, dove l’altra a cui ognuno appare è la madre. “Non guarda all’esistente così com’è…preferisce celebrare un Soggetto che si mette al mondo col pensiero, di modo che, persino per nascere, non ha bisogno di nessun’altra. …” (Adriana Cavarero, Etica dell’irripetibile).
Allora credo sia necessario, per raddrizzare questo mondo capovolto, individuare, proprio nella formazione scolastica, le ragioni religiose e filosofiche che conducono ad una differenza che vede le donne come esseri inferiori. E finora così non è, in questo caso, la scuola continua ad essere dannosa perché seguendo l’errore di Platone, dà per assoluta una Storia che invece appartiene solo agli uomini.
Quando la terra era ancora tenera le Herbarie "hanno lavorato i territori dell'assenza, piantandovi semi di vitalità gratuita. Era il loro modo di intrattenersi nel mondo, di colmare il vuoto delle perdite. Hanno ricostruito poco a poco mappe d'identità"(Roberto Barbanti) Da mare a mare da terra a terra, le guaritrici e tutte le altre disubbidienti, le inaffidabili e le ribelli hanno portato inquietudini sane e hanno segnato vie praticabili.
I loro passi si sono opposti a tensioni paranoidi frutto di un arbitrio originario e hanno reso praticabile il luogo della contingenza, del senso, dell'intenzione. Le loro migrazioni ci hanno indicato che tra uccidere e morire c'è una terza via, vivere, che già di suo è una cosa assai complessa e difficile da realizzare.