Non esiste altro organo fisico, come il cuore, il cui uso simbolico e metaforico sia più frequente del suo riferimento organico e nessun’altra parte anatomica è così ricca di riferimenti, indicazioni, rimandi, come sede di affettività, di contemplazione, di consapevolezza, di immaginazione, di rivelazione. Nella Bibbia la parola cuore è impiegata solo una decina di volte per indicare l’organo fisico (Lev o Levav) ed ha invece più di mille riferimenti come uso metaforico. Meno ricorrente come dipsychos cuore doppio, cuore duplice che indica la condizione di menzogna, di abominio morale.
Il cuore è l’organo fisico più intimamente collegato al piano spirituale: il mio cuore è la mia umanità, il mio coraggio di vivere, la mia forza e la mia ardente passione. Grazie al mio cuore, nulla mi è estraneo; non c’è cosa che non possa essere alla dignità del suo regno. Le mie virtù più nobili emanano dal cuore: lealtà, audacia eroica, compassione.[…] il mio cuore è il mio amore, i miei sentimenti, il locus della mia anima e del mio senso di essere persona. È il luogo dell’interiorità più intima, dove risiedono il peccato, la vergogna e il desiderio, e anche l’insondabile divino.
(James Hilman)
Questo piccolo organo così vitale è il centro, il trono, di uno spazio simbolico ampio e profondo; non a caso la tradizione dell’India definisce lo spazio del cuore (Hridaya) l’area cardiaca, e l’organo cuore, come la città di Brahma. Il cuore è Prajapati, è il divino nella sua funzione creatrice, dove il movimento della sistole e della diastole esprimono il movimento di espansione e di assorbimento dell’intero universo. L’antica tradizione Egizia tramanda che il Dio Ptah ha creato l’universo con la potenza della parola creatrice, ma prima lo ha pensato con il cuore.
Il cuore è il vaso, così come rappresentato nella scrittura geroglifica egizia, ed era l’unico organo interno lasciato nella mummia. È la coppa che raccoglie, il Graal da ricercare, lo spazio dove avviene la più potente trasformazione in un essere umano detta, appunto, come la vera “apertura del cuore”.
Cuore Yogico
È dallo spazio del cuore che la visione orientale fa sbocciare il fiore di loto spirituale conosciuto come Anahata, il chakra dai dodici petali. Quando parliamo di chakra non intendiamo solo un riferimento, così come è per molti, esoterico ed orientale, ma una espressione esistenziale dove corpo, energia vitale, mente, emozioni e sviluppo spirituale interagiscono senza divisioni (se non quello dovute al livello di consapevolezza del singolo soggetto).
Il Chakra è il trasduttore delle energie dai piani più sottili ai piani più densi, è il corridoio di coscienza che attraversa e collega tutti i piani di esistenza dell’essere. Pertanto parlando di chakra del cuore si intende contemporaneamente tutto quello che sostiene e sviluppa la vera salute psicosomatica di questo organo: la chiusura o il mal funzionamento di questo chakra porterà a problemi come l’asma, disturbi cardiaci, malattie polmonari, squilibri della pressione.
Anahata: il senza suono, così chiamato così perché solo i saggi “odono quel suono” Anahata-shabda che si crea senza l’urto di due cose materiali tra loro, un suono eterno, mistico. In questo chakra, nel plesso cardiaco, si ritiene che risieda l’anima individuale simile a “una fiamma che brilla costante in un luogo senza vento” come a ricordare che l’anima in se stessa non è influenzata dalle perturbazioni del mondo e che questa fiamma (Akhanda Jyoitir) è una luce eterna ed inestinguibile. Cosi da una Upanishad:
Questo Atmâ, che risiede nel cuore, è più piccolo di un grano di riso, più piccolo di un grano di orzo, più piccolo di un grano di senape, più piccolo di un grano di miglio, più piccolo del germe che è in un grano di miglio; questo Atmâ che risiede nel cuore è anche più grande della terra, più grande dell’atmosfera, più grande del cielo, più grande di tutti i mondi insieme.
La tradizione tantrica del kundalini yoga che muove il suo percorso operativo sull’attivazione dell’energia Shakti, definisce che un risveglio energetico e spirituale è autentico solo quando l’energia della Shakti Kundalini arriva ad essere presente e stabile nel chakra del cuore.
Solo quando raggiungete anahata chakra divenite uno yogi. Fino ad allora, che siate in muladhara, swadisthana o manipura siete dei praticanti di yoga. In anahata divenite uno yogi poichè siete completamente stabiliti nella coscienza yogica e dipendete unicamente dal potere della vostra coscienza piuttosto che da qualsiasi cosa esterna o riguardante la fede.
(Swami Satyananda Sarasvati)
L’immagine geometrica simbolo del chakra Anahata è formata dall’incrocio di due triangoli: uno con il vertice diretto verso l’alto, l’altro con il vertice diretto verso il basso formando la nota stella a sei punte detta sigillo di Salomone, o stella di David. Questa forma yantrica, che è riconosciuta come una figura talismanica sia nella tradizione occidentale che in quella orientale, ricorda che il chakra Anahata è il luogo, il laboratorio di trasformazione, l’Athanor, dove il maschile e il femminile, il divino e la materia, gli aspetti istintivi e quelli superiori e coscienti si integrano e si equilibrano. La tradizione Yoga ricorda che l’attivazione di questo Chakra determina il risveglio di quelle aree celebrali inattive e dormienti che sovrintendono tutte le capacità creative ed artistiche e che la pittura, la poesia, la musica, la danza ecc. sono ottimi strumenti di stimolazione di questo centro anche se le vere vie yogiche per il risveglio di Anahata sono lo Bhakti Yoga, lo Yoga dell’amore, della compassione e il Karma Yoga.
Il Bhakti yoga è la via dell’amore devozionale, della purificazione della emotività superficiale, della ipocrisia religiosa, la demolizione dell’egotismo. Nel Bhakti tra l’amante, l’amare e l’amato si crea uno stato di unione, di fusione, di non-differenza, cioè di yoga. Grazie a questa visione che swami Vivekananda proclama (e che accetto come mio voto personale):
Ho perso ogni desiderio di salvezza, possa io rinascere ancora e ancora, e soffrire innumerevoli miserie per adorare il solo Dio che esiste, il solo Dio in cui credo: la somma di tutte le anime, e al di sopra di tutto, il mio Dio il miserabile, il mio Dio il povero e il cattivo di tutte le razze, di tutte le specie. Questo è l’oggetto della mia adorazione. Adorarlo, Lui che è l’alto e l’infimo, il santo e il peccatore, dio e verme, il visibile, il conoscibile, il reale, l’onnipresente; spezza tutti gli altri idoli. Lui, che non conosce vite passate, né nascite future, né morte, né andare, né venire, Lui in cui siamo sempre stati e sempre saremo unificati, Lui, adora; spezza tutti gli altri idoli.
È da un sentire superiore del cuore che scaturiscono questi versi del Bhagavata Purana:
Non desidero lo stato supremo e le otto siddhi (perfezioni e poteri yogici), né la fine della rinascita, ma possano addossarmi le pena di tutte le creature sofferenti ed entrare in loro affinché siano liberate dal dolore.
È questa voce del cuore che fa arrestare il Buddha Amitabha in prossimità del Nirvana, affermando che non l’avrebbe mai varcato, se prima ogni essere non fosse stato liberato dalla sofferenza e dall’ignoranza.
Nel Karma yoga l’agire disinteressato richiede una continua purificazione mentale ed interiore: agire senza interessarsi del risultato dell’azione è una destrutturazione dell’egocentrismo, della egolatria, della vanità e il sorgere dell’umiltà (la mano destra non sappia cosa fa la sinistra).
Lo bhakti e il karma yoga completano insieme alla jnana yoga, le tre vie yogiche classiche: lo Jnana, dalla cui radice sanscrita abbiamo gnosis e cognoscere, è lo yoga della conoscenza non solo filosofica ed accademica, ma è la via suprema, la migliore cura per dissolvere il velo di maya e l’ottenebramento della illusione, la liberazione da avidya, l’ignoranza metafisica. Bhakti, jnana e karma sono le tre vie yogiche, principali ed universali, dell’amore, del sapere dell’agire. Lo stesso W. Reich sintetizzava il suo messaggio: amore, conoscenza e lavoro, ripreso anche da E. Fromm in amore, lavoro e ricerca della verità. Da qui uno Yoga Integrale (Purna yoga) auspicato da Aurobindo, da Sw. Sivananda di Rishikesh e dal suo allievo Sw. Satyananda Sarasvati.
Uno yoga completo per combinare mani, mente, cuore, dove la trasformazione interiore del praticante coinvolge ogni aspetto del suo esistere. Sicuramente più profondo e totalizzante del noto mens sana in corpore sano con cui spesso viene banalizzato il percorso yogico. Chiaramente in questo yoga integrale non viene dimenticato il corpo, ma questo già lo anticipava Platone (almeno per la cultura occidentale):
Chi si dedica alla ricerca scientifica o a qualche altra intensa attività intellettuale, bisogna che anche al corpo dia il suo movimento, praticando la ginnastica, mentre chi si dedica con cura a plasmare il corpo, bisogna che fornisca in compenso all'anima i suoi movimenti, ricorrendo alla musica e a tutto ciò che riguarda la filosofia, se vuole essere definito, giustamente e a buon diritto, sia bello sia buono.
Potremo così delineare tre luoghi di intelligenza, da intelligere, con valore di intendere, concepire, comprendere: della mente, del cuore, del corpo.
Intelligenza della mente: ajna chakra, il noto “terzo occhio” della visione profonda ed intuitiva.
Intelligenza emotiva o pensiero del cuore: anahata chakra. Nella cultura cinese il termine Hsin-li è ragione-cuore; in ebraico Leb è intelligenza-cuore; nell’antico Egitto, invece, Ab aveva un ampio ventaglio di valenze oltre l’intelligenza cardiaca: interiorità, volontà, desiderio, coraggio, libidine e altro.
Intelligenza del corpo: i tre chakra sub-diaframmatici, manipura, swadisthana, mouladhara. La sfera istintuale, viscerale, il secondo cervello, l’intelligenza vitale, la vitalità, il radicamento nella materia, l’ agire di “pancia”.
Ma queste intelligenze sono anche luogo di altre manifestazione della coscienza:
Logica razionale e cartesiana. La mente giudicante e calcolatrice. Ponderiamo, misuriamo, analizziamo, giudichiamo, pesiamo, ma non c’è sentimento, manca “l’anima”.
Emozioni. Siamo sull’onda di un sentimentalismo, di una emotività superficiale e fugace. Cerchiamo continuamente nuove emozioni, ma appena la bolla di sapone svanisce siamo a rincorrerne subito delle altre.
Istinto-passioni. Soddisfacimento sensoriale: nelle cose materiali ci sembra di avere trovato la nostra felicità e sicurezza, ma scopriamo che sono illusorie e passeggere e reiteriamo un piacere che non ci renderà soddisfatti.Oscilliamo tra questi tre stati-luoghi di coscienza continuamente, o siamo fermi, bloccati in uno di questi nel contrasto dei “desideri contrari”.
I chakra, fiori di loto, superiori (vishuddhi, ajna, sahasasra e oltre) sono gli organi spirituali, occhi della trascendenza, della spiritualità, della visione, della esperienza e della percezione verticale. I chakra inferiori (manipura, svadhisthana, muladhara) invece, di una percezione orizzontale, sensoriale, esperienziale.
Ma solo il chakra del cuore, anahata, possiede, ingloba le due visioni e percezioni; è lì che si annullano le differenze tra l’alto e il basso, tra un dentro e un fuori, il sopra e il sotto, “in quanto l’amore abolisce ogni distanza e ogni distinzione di spazio, anche quelle dello spazio spirituale, e ha il potere di rendere ogni cosa presente” .
Questo chakra diviene così il nostro omphalos, ed è in questo ombelico, nel il ritmo della inspirazione - prendere - ricevere e dell’espirazione - donare - liberarsi, è nel qui, nel ritmo della sistole e della diastole, il battito della vita autentica.
Interrompi il flusso delle parole
Apri la finestra del tuo cuore
E lascia che sia lo spirito a parlare(Rumi)
I temi trattati in questo breve scritto sono stati sviluppati in una serie di incontri dedicati alla “Meditazione del cuore” presso il centro Yoga Rasa di Pesaro. Seguiranno: Alberi simbolici e immaginali: Kalpa taru, l’albero dei desideri nel cuore yogico. Il cuore alchemico. Il cuore ayurvedico. Il cuore ermetico.