La solitudine fa male e può portare a complicazioni serie. Non solo le sofferenze emotive, inferiori, ma anche quelle fisiche, motorie, sensoriali. La solitudine, in sostanza, può fare così tanto male da uccidere. Ad attestarlo è uno studio scientifico pubblicato dalla Harvard T.H. Chan School of Public Health sulla rivista eClinicalMedicine.

Secondo le analisi scientifiche condotte sotto la gestione della scienziata Yenee Soh, infatti, la solitudine può svolgere un ruolo importante nell'incidenza dell'ictus, ovvero una delle principali cause di disabilità a lungo termine e mortalità. Il team di ricercatori ha valutato, attraverso due misurazioni e su un campione di oltre 12mila persone dai 50 anni in su, l'associazione fra la solitudine percepita e l'incidenza di ictus nel tempo. I risultati hanno confermato che coloro che avevano attestato di sentirsi soli esclusivamente nella prima misurazione avevano un rischio di ictus del 25%, mentre coloro che lo avevano dichiarato anche nella seconda misurazione l'avevano del 56%, confermando quindi la tesi che a fare più danni sarebbe la solitudine cronica.

Un dato allarmante se si rapporta alla realtà di una società attuale sempre più interconnessa sul web e sempre meno solidale dal vivo, una società in cui si formano tante sacche di solitari che piano piano si decompongono. Perché, d'altronde, è vero che la scienza dice che il rischio di solitudine è per gli over 50 ma negli ultimi vent'anni sono sempre di più i casi di giovani che non trovano amici o partner. Sempre più relazioni vengono sradicate dalla strada e traslate sul web dove, però, non sempre risultano efficaci. A partire dai più piccoli che, in certi casi, neanche a scuola trovano più quella mano tesa che negli anni passati rappresentava il primo amichetto della propria vita.

Ha fatto scalpore, a tal proposito, la storia di una bambina di Arezzo che aveva organizzato una festa in una ludoteca per il compleanno e si è ritrovata incredibilmente sola. Nessun invitato le aveva fatto visita. Ancora, ha scioccato l'opinione pubblica il caso del tiktoker italiano Nicolò Fraticelli che, a soli 21 anni, si è tolto la vita a Roma. Nei suoi video appariva sempre sorridente ma nell'ultimo prima della sua tragica morte era parso notevolmente triste ed aveva dichiarato di sentirsi solo e di non sopportare più la sua maschera. Alcuni follower lo avevano additato di essere vittimista e, probabilmente, gli avevano dato il colpo di grazia.

La solitudine fa male agli adulti ma colpisce soprattutto i giovani, in un'epoca in cui l'empatia non viene più insegnata nelle mura domestiche e nascondersi dietro uno schermo dà il coraggio necessario per essere cattivi senza motivo.

I social sono croce e delizia del nuovo millennio e bisognerebbe educare i giovani all'utilizzo. Ci sta provando la Cina a ricavarne qualcosa di buono puntando sull'economia web della compagnia: se sei solo puoi pagare un'altra persona per una conversazione di 30 minuti. Triste, ma se si è arrivati a questo punto un motivo ci sarà. Globalizzazione, scarsa voglia di rapportarsi e comunicare, disattenzione di famiglia e istituzioni ai propri figli. Insomma, un calderone che sputa fuori un piatto malsano e indigesto.

Attenzione che invece ha avuto una prof di Bari che ha letto una tremenda lettera di Natale appesa all'albero del Politecnico ed ha fatto partire la macchina della solidarietà. L'autore era un ignoto studente che scriveva in corsivo, a penna, una missiva natalizia intensa e preoccupante:

Babbo Natale, vivere mi ha stancato, fammi volare via.

La docente ha diffuso la lettera sui social e, fortunatamente, la grafia è stata riconosciuta dalla mamma del ragazzo. Una storia a lieto fine che però ha ancora una volta confermato la pericolosa fragilità dei giovani.

Un'altra lettera di Natale, ma partita da mittenti decisamente diversi, è quella invece scritta dai detenuti del carcere di Cremona. I penitenziari sono forse i focolai della solitudine per antonomasia. Privati della libertà, rinchiusi in quattro mura per punizione e non per redenzione, i carcerati mettono in pausa la propria vita e si disabituano alle emozioni. Sensazioni che nascono dalle piccole cose che mancano, come il Natale, il cenone e gli auguri. È tutto scritto nella lettera natalizia che da Cremona lancia un grido di aiuto che vale pressoché per tutti:

Vorrei preoccuparmi di comprare i regali, di cosa mangerò, di abbracciare tutti gli amici.

Ed è proprio a Natale, l'evento più importante dell'anno in cui tutto il mondo si ferma a brindare e ad abbracciarsi, che in effetti la solitudine rischia di aumentare. La vita non è sempre lineare e spesso può capitare che mentre tutti intorno sorridono, tu invece bruci dentro, da solo e nell'ombra. Lo sa bene Raffaella Boselli che, ancora una volta, a Natale ha aperto la sua casa a Milano per cenare con chiunque si sentisse solo. Hanno risposto diversi sconosciuti, per lo più donne sole e separate, abbandonate da mariti e familiari.

A Milano, una città piena di corpi e sempre più vuota di emozioni e rapporti. Non si nasce soli ma lo si può diventare. In seguito ad una separazione, dopo aver perso tutti i propri risparmi, dopo aver perso i genitori o, in certi casi, dopo essere stati lasciati dal partner. E poi non bisogna dimenticare i senzatetto e le persone che vivono rasentando la soglia della povertà assoluta.

L'ISTAT lo certifica e lo scrive a caratteri cubitali: nel 2023 le famiglie a vivere sotto questa soglia erano 2,8 milioni. Disoccupati, famiglie con bambini a carico che a Natale, senza il supporto della solidarietà, non potrebbero neanche immaginare una tavola imbandita.

Il rischio oggi è che si possa realizzare la metafora di Bauman e della sua società “liquida” che vive attraverso i “non luoghi”, così pieni di persone quanto vuoti di rapporti. Tuonava il filosofo polacco:

Abbandonate ogni speranza di totalità, futura come passata, voi che entrate nel mondo della modernità liquida.

Un prospetto che non è per nulla un delirante anatema perché, purtroppo, la realtà ce lo conferma. E l'antidoto? Le emozioni, prima di tutto, che devono nuovamente rivalutare l'importanza della sostanza sulla forma.

Quel vuoto nello stomaco quando ti metti nei panni di chi è solo ed è al tappeto, quel groppo alla gola che ti toglie un po' il fiato. E poi lo sguardo, quello degli occhi ma anche e soprattutto quello dell'anima. Girare la testa non ci salverà dalle responsabilità.

La solitudine uccide, l'indifferenza di più.