Alle riunioni scolastiche mi sentivo addosso la pena e il disprezzo di mamme e di papà che gioivano con gli occhi del fatto che i loro pargoli non fossero come me. Sentivo commenti del genere “somiglia a Frankenstein con quel testone”. Che ignoranti, non sapevano che la creatura della Shelley un nome non ce l’ha mai avuto. Iniziai sin da piccolo a leggere libri su persone toccate da una qualsiasi diversità, persone disadattate e rifiutate che la società lascia ai bordi della strada in attesa che un’auto li spiaccichi contro un guardrail. E per ironia della sorte a me è successo così. Per fortuna l'assicurazione ha pagato bei soldoni che i miei genitori hanno impiegato nelle cure per mia sorella, nata con un disturbo comportamentale iperattivo. Si, in famiglia siamo strani, un Frankenstein e una Pippi Calzelunghe. Ma più strana è la società: basata sul bello che sprofonda le sue fondamenta nell’ orrido.
(Discorso immaginario di un ragazzo di ieri, oggi, nella speranza di un non-domani)
Frankenstein e Pippi Calzelunghe sono i due pennarelli colorati che almeno una volta nella vita dovremmo estrarre dall’astuccio per creare una danza sul foglio della vita; quella della diversità esteriore e quella mentale, comportamentale, di pensiero.
Se pensate che la paura per il diverso si trasformi in cattiveria per una sorta di difesa, non è così… Di solito avviene il contrario: il diverso non si sente accettato e per difesa si incattivisce nei confronti della società.
La letteratura e il cinema mostrano da sempre in parole e immagini migliaia di personaggi cosiddetti “diversi”. Vige una supremazia verso chi si trova in una condizione di minoranza rispetto allo standard della definizione di normalità.
“Perché dovrei andare a scuola?”
“Per imparare tante belle cosine".
“Che tipo di cosine?” si informò Pippi.
“Tutto ciò che è possibile imparare” spiegò il poliziotto: “una enorme quantità di nozioni utili, come la tavola pitagorica, per esempio".
“Me la sono cavata perfettamente per ben nove anni, anche senza bisogno della tavola pitagorica” disse Pippi; “e posso continuare nello stesso modo".
“Sarà, ma immagina quanto ti peserà la tua ignoranza: pensa se, quando sarai grande, qualcuno ti chiederà qual è la capitale del Portogallo e tu non saprai rispondere!”
“Certo che saprò” esclamò Pippi. “C’è un’unica risposta per un tipo simile: se proprio muori dalla voglia di sapere come si chiama la capitale del Portogallo, per amor di Dio, scrivi subito in Portogallo, e te lo sapranno dire”.
“Ma non pensi che ti sentiresti un po’ mortificata, a non saperglielo dire tu stessa?”
“Può darsi” disse Pippi. “Può darsi che mi capiti di rimanere sveglia fino a tarda notte a furia di chiedermi: ma come diavolo può chiamarsi la capitale del Portogallo? Del resto, ognuno ha le sue preoccupazioni” concluse, e si mise a camminare avanti e indietro sulle mani.
“Del resto, sono stata a Lisbona col mio papà” aggiunse, continuando a spostarsi con la testa in giù e le gambe in su, perché, tanto, riusciva benissimo a discutere anche così.
(Brano tratto dal romanzo di Astrid Lindgren “Pippi Calzelunghe”)
Il diverso viene preso di mira, bullizzato e le conseguenze sono sempre un colpo basso alla società, un fallimento dell’intera comunità. Depressione, solitudine e anche suicidi. L’insicurezza e la prepotenza sono due facce della stessa medaglia.
Il mostro della Shelley ha dimostrato di essere buono di animo ma è stato “costretto” a diventare il suo esatto opposto. La bruttezza esteriore ha prevalso sulla bellezza interiore.
Ovunque vedo beatitudine dalla quale io sono irrevocabilmente escluso. Io ero benevolo e buono; l’infelicità ha fatto di me un demonio.
(Brano tratto da Frankenstein di Mary Shelley)
Si riesce a provare pietà e umanità per quel mostro che decide di togliersi la vita in modo che nessuno possa rendere infelice un’altra creatura con esperimenti e voglia di perfezione, sfidando il Creatore.
Progresso, tecnologia, umanità e società a confronto. Nessun vincitore.
Tu non sei come me: tu sei diverso. Ma non sentirti perso Anch’io sono diverso, siamo in due Se metto le mie mani con le tue Certe cose so fare io, ed altre tu E messi insieme sappiamo far di più Tu non sei come me: son fortunato Davvero ti son grato Perché non siamo uguali: vuol dire che tutt’e due siamo speciali.
(Bruno Tognolini - Filastrocca dei diversi da Rima rimani, Salani, 2002)