L’occasione di un regalo ricevuto in questi giorni La magia degli Alberi, Viaggio fotografico tra i giganti della terra di Noel Kingsbury con le fotografia di Andrea Jones, mi spinge a parlarvi di come gli alberi contraddistinguano e segnino il carattere e la vita del complesso e articolato mondo culturale del giardino d’oriente e d’occidente.
Apparentemente distante dall’idea del giardino nella tradizione occidentale, anche la filosofia su cui si fonda il giardino orientale, in particolare in Giappone, si innesta su una cultura antichissima che ha radici comuni. La sacralità degli elementi naturali, il culto della madre-terra, i riti propiziatori per i buoni raccolti, testimoniano l’esistenza di uno stretto e indissolubile legame tra l’uomo e la natura. Assecondandone i ritmi traendone vantaggio per la vita quotidiana e cercando di capirne il significato più profondo fino ad emularne le forme in segno di devozione, l’uomo in origine era in contatto costante e diretto con il mondo della natura.
L’albero stesso con la sua altezza e monumentalità nella foresta pluviale e planiziale diventa modello perfetto di ispirazione per costruire i primi manufatti di edilizia spontanea. Gli elementi primi, la terra, l’acqua quindi i fiumi e i mari, gli alberi sono i pilastri su cui si fonda la grande madre natura: l’intero Universo.
Il giardino nella tradizione più antica è sia nel mondo classico occidentale sia nella tradizione orientale un luogo di emulazione, di rappresentazione di quell’Universo attraverso la sua riproposizione in una dimensione più praticabile e fruibile.
Secondo la teoria estetica di Rosario Assunto, filosofo e studioso del giardino, la coscienza dell’idea di giardino viene da lontano, dal racconto biblico come mito sovratemporale. Il Mito a cui ricorre Platone che precede il logos e spesso spiega le sue radici. Il giardino diventa luogo di espressione dell’idea quindi opera d’arte, filosofia della natura, metafora dell’anelito umano al bello, all’utile e all’ osservazione con stupore e meraviglia. Quel contemplare, con il significato etimologico dal termine greco θεωρέω: osservo, contemplo, teorizzo cioè osservo con occhi socchiusi, profondamente.
I luoghi hanno un significato non sono mero spazio: i Romani vi leggevano le manifestazioni esterne di uno spirito interiore il genius loci, l’anima vibrante del luogo che poteva avere manifestazioni diverse come quella di un serpente. Secondo la tradizione e la scienza cinese le caratteristiche del terreno possono rivelarci ad una attenta osservazione la presenza di draghi azzurri, il principio maschile e di tigri bianche, quello femminile; l’arte del maestro giardiniere è tanto più raffinata quanto più egli riesce a trovare il luogo giusto in cui queste correnti vitali diverse si incrociano e si uniscono armoniosamente.
Interrogare il genio del luogo ed interpretare le sue chiavi di lettura è realizzabile attraverso un lungo cammino di ascolto e di pratica dell’osservazione, di identificazione di sé con l’oggetto natura, il soggetto e l’oggetto si fanno uno per agire e creare il giardino. Dall’idea si arriva al giardino, in una ricerca e tensione dialettica tra il desiderio, il mito e il luogo concreto.
In qualche modo nel giardino l’uomo si riscopre animista poiché tende a confrontarsi ad ispirarsi, a carpire una sorta di dialogo con le piante, gli animali, i rumori, i fruscii, i battiti d’ali di una farfalla, i ronzii di qualche insetto nascosto; i sensi lo aiutano a esplorane il significato a trarne quell’ energia anche con il mero contatto delle sue mani operose con la terra.
La perdita del senso del luogo e del sentimento della natura che si perpetra inesorabile con l’avvento della téchne la grande minaccia del mondo; è il venir meno di quel credo che dai Romani fino alle popolazioni animiste dell’Asia aveva consentito per secoli la ricerca di una armonia con il mondo naturale e l’universo nelle sue più straordinarie manifestazioni.
In questo universo, l’albero di qualsiasi provenienza sia può rendere significativo, speciale, indimenticabile un luogo o un giardino. Quando vediamo un esemplare vegetale che ci stupisce, ci affascina per le sue tante qualità estetiche e materiali non pensiamo immediatamente alla provenienza, alla sua natura ma a quanto ci fa godere della sua maestosità, grandezza o singolarità. Sfogliando il libro della magia degli alberi, un catalogo ampiamente e sapientemente illustrato, ho potuto viaggiare, durante i lunghi giorni di nebbie e grigiore invernale padano, da oriente a occidente, come fossi in un grande giardino virtuale leggendo, in una sorta di breviario, la storia dell’albero quotidiano, perché connotasse le mia giornata e mi ispirasse in attesa dell’albero di domani.
Così, estraendo a caso un numero di pagina ogni mattina, sono caduta nel Kauri neozelandese un gigante con un diametro di 5 metri; compete con i primati delle famose Sequoie americane, e occupa le regioni moderatamente caldo umide che gli consente una crescita ininterrotta tutto l’anno. Già nel 1900 quasi tutte le foreste di Kauri, Agathis australis (D.Don) Lindl., erano state abbattute dai coloni europei nonostante l’imponenza (raggiungono i 50 metri di altezza) e la longevità (oltre 1000 anni), che se fossero ancora in piedi, avrebbero garantito un importante riserva di ossigeno e di cattura di anidride carbonica per il pianeta che di lì a poco avrebbe cominciato il suo lento degrado verso l’odierno collasso climatico.
I Maori, popolazione originaria dell’isola zelandese, si batterono contro la loro distruzione, in particolare della foresta di Whakarewarewa che fu minacciata dai tagliaboschi del governo. Queste piante monumentali e sacre appartengono ad una famiglia molto antica e primitiva, se così si può dire, quella delle Araucariaceae.
La Società Americana delle Conifere sostiene che i progenitori dell’albero Kauri sono apparsi durante il periodo Giurassico (tra 190 e 135 milioni di anni fa), quando c’erano ancora i dinosauri. Hanno foglie non aghiformi come le nostre conifere, ma sono verdi brillante, spesse e robuste, piccole, ovate, a margine intero, opposte, sono lunghe da 3 a 7 cm e larghe circa 1 cm. Presentano nervatura parallelinervia come avviene per le Gimnosperme, ed il frutto femminile è simile alle loro cugine Araucarie araucane, sono grandi pigne perfette nella loro costruzione delle squame, e maturano in quasi due anni, poi disperdono i semi alati con il vento. Sono piante splendide che prosperano lo stesso in zone teoricamente idonee alle latifoglie, perdendo i rami bassi da adulte e non permettono alle piante epifite di colonizzare la corteccia che viene eliminata con l’età a scaglie, come altre specie della famiglia.
Questo albero crea un vero e proprio microecosistema intorno a sé perdendo le foglie che poi vanno a costituire un morbido letto che si trasforma in humus, prezioso alimento per la pianta stessa e quelle vicine, oltre a dare vita a tutto il processo di decomposizione con l’aiuto di microfauna che vive sotto terra e si nutre di materiale vegetale, per non parlare di funghi saprofiti che vivono sul legno morto e parti di corteccia che la pianta perde nel tempo. In questa relazione mutualistica con la pianta (da cui ne traggono vantaggio entrambi) alcuni funghi producono sostanze nutritive utili all’albero in cambio di carboidrati.
Questo atlante che riporta novanta specie, non sempre note, ha un grande valore soprattutto per il corredo fotografico che fa del libro un prezioso strumento del naturalista e dell’appassionato, anche sedentario, tanta la forza delle fotografie che sprigiona, e la capacità di mettere in evidenza particolari per il buon riconoscimento. Devo dire che alcune schede dell’autore, Noel Kingsbury, oltre che saggista anche progettista di giardini e studioso del paesaggio ed ecologia, peccano di qualche interpretazione fantasiosa sull’evoluzione del paesaggio come quella nella scheda del Pinus palustris, conifera delle zone paludose Americane: “gli incendi causati dalle esplosioni e dai proiettili traccianti contribuiscono a mantenere l’ecosistema ambientale.” E che il 3% delle foreste di questo pino palustre sopravvissuto grazie ai campi di addestramento insediati dall’esercito americano che per quanto possa sembrare strano spesso costituiscono habitat perfetti per la salvaguardia naturale.
Le immagini dell’artista dello scatto Andrea Jones, fotografa scozzese che da molto tempo immortala gli alberi più spettacolari e monumentali del mondo e tiene mostre delle sue opere, ci conduce invece negli ambienti di origine dei colossi vegetali: tra le acque delle mangrovie, sulle cime delle dei giuggioli indiani, dentro i gusci spinosi degli ippocastani, tra le fronde giallo oro della mimosa, sulle cortecce scultura degli immensi castagni, sulle punte affilate degli altissimi Cedri del Giappone, mentre fa sentire la potenza delle radici del Fico sacro e fa toccare la corolla ingegnosa e bizzarra dell’ albero dei Tulipani.
Grazie a questo incitamento, nella prima giornata di sole mi getto a cercare qualche meraviglia botanica nel più vicino paesaggio collinare del Veneto, i Colli Berici, e immortalo una meraviglia, ma dal vero questa volta ed è una storia che vi dovrò raccontare… l’albero dei rosari (Melia azedarach L.) che contro un cielo azzurro e scintillante mi catapulta in India!