Janine Antoni è una delle più famose performer americane rimaste a rappresentare il mondo femminile nel suo disagio moderno. Antoni è riuscita con fermezza e delicatezza a sensibilizzare un'opinione pubblica distratta e disabituata alla riflessione, rivolgendo spesso la sua attenzione alle donne vittime del loro aspetto fisico, ossessionate dal trucco, dai cosmetici e dalla chirurgia estetica o vittime delle loro stesse ossessioni che finiscono nella bulimia e nell'anoressia, o nella ricerca di sé e delle proprie contraddizioni, specifiche del mondo femminile e portando la riflessione infine sulla vita e sulla morte con lucidità.
L'artista è nata nel 1964 a Freeport nelle Bahamas e attualmente vive e lavora a Brooklyn, New York. Dal 1977 in Florida ha frequentato il Sarah Lawrence College, laureandosi nel 1986 e in seguito perfezionandosi in scultura presso il Rhode Island School of Design.
È un'artista che ha realizzato opere contemporanee nel campo fotografico, dei video, della scultura e della performance: si è concentrata sulle transizioni e sul processo tra la realizzazione e il prodotto finito, sempre ispirandosi ad ideali femminili, utilizzando cibo, pellame, vernici e apparecchi medici e altri materiali, non disdegnando di usare il proprio corpo al fine della creazione dell'opera.
L'insieme delle tematiche emergenti dalle sue opere, infatti, derivano da un continuo lavoro di indagine che l'artista compie intorno alla propria identità di donna, che riflette la conformità umana, all'interno di una cultura occidentale e cattolica. Mentre progetta l'azione artistica, si offre come oggetto estetico mettendo in gioco il proprio corpo, ispirandosi al suo vasto panorama onirico. Ma, soprattutto, utilizza il proprio corpo per una rilettura dell'evoluzione storica del concetto di bellezza e di femminilità.
Mettendo in gioco la propria identità, diventa un testimonial della società americana, come un corpo su cui attuare un’indagine e un'analisi per portare alla luce quali siano i significati più reconditi e nascosti sotto l'immagine patinata e sensuale della donna moderna. E questo confronto, all'inizio, avviene con le femministe degli anni 70, di cui Valie Export è stata l'antesignana, ricollegandosi al loro senso di humor e soprattutto con il loro modo di procedere nelle performances.
Ma rispetto alla loro arte rivela una riflessione ironica e provocatoria, presentata con un linguaggio delicato, per cui lo spettatore non si sente assalito dalla crudezza con cui la Export si esponeva, ma, al contrario, rimane affascinato e nel contempo perturbato, dalle operazioni che l'artista mette in scena.
La Antoni propone allo spettatore un’arguta analisi della quotidianità, attraverso la manipolazione della realtà, ripetendo azioni banali, cui si accompagna una precisa simbologia come la camicia da notte che le ricorda l'immagine del malato di mente perseguitato dalle sue visioni. Essa stessa afferma: "Sono interessata ai rituali quotidiani del corpo e a convertire gli atti più essenziali, come farsi il bagno, mangiare, in atti scultorei: nel far ciò imito i riti tradizionali delle Belle Arti, quali la cesellatura con i denti, la pittura con i capelli e la modellazione con il corpo."
Janine Antoni ripropone un gesto banale trasfigurato in un'operazione estetica che conduce alla presa di coscienza dell'identità femminile: essa infatti non cerca la protesta, come la femminista a cui si è ispirata, ma cerca la sua identità di donna. Ma è anche una narratrice di miti che disegna con le proprie ciglia, intessendole e trasformandole in materiali, che registra al computer la sua attività cerebrale durante il sonno: tutto ciò attribuisce ai suoi quadri e alle sue installazioni un'atmosfera da messinscena.
Una delle prime installazioni l'ha giocata di persona, dormendo per 28 giorni nella galleria in cui si trovava, mentre un elettroencefalogramma registrava i modelli Rem del suo cervello. In seguito, li ha tessuti in una coperta prendendo i fili dalla camicia da notte con cui dormiva. Su quest'opera, Slumber del 1994 lei stessa ha dichiarato “Questa perfomance non era qualcosa che avevo intenzione di fare. Stavo facendo un lavoro che riguardava il significato del fare, cercando di avere un rapporto di amore-odio con l'oggetto. Mi sento sempre più al sicuro se riesco a riportare lo spettatore alla sua realizzazione. Cerco di farlo in molti modi diversi, per residuo, per contatto, con questi processi che sono fondamentali per tutte le nostre vite. E con cui le persone potrebbero relazionarsi in termini di processi di attività quotidiane: fare il bagno, mangiare, ecc..Ma ci sono momenti in cui il modo migliore per mantenere le persone in quel luogo, che per me è così vivo e pertinente, è mostrare il processo e la realizzazione”. E conclude “Queste mie parole riassumono il mio rapporto col pubblico: ho un profondo amore per lo spettatore che è il mio amico immaginario”.
Antoni rivela così il profondo desiderio di comunione coi suoi fruitori, il desiderio di far comprendere il suo sentire più intimo che l'ha, in seguito, spinta così spesso ad esprimere la sua arte attraverso le performances.
Così la sacra architettura del tempio di Delfi è assunta come esperimento privato, iniziato dall'artista nel 1996 e terminato nel 1999: consisteva nello sfregare senza interrompersi due pezzi di calcare. L'ispirazione le era venuta durante un viaggio in Grecia, in cui rimase incantata dalla precisione con cui le pietre delle pareti dell'antico tempio erano incastrate. Infatti, le fessure sono impercettibili, in quanto le pietre erano state levigate attraverso un lento e complesso processo di abrasione, fino a che le pietre aderivano l'una all'altra.
Il progetto dell' Antoni and si basava sull'imitazione di questo procedimento: due enormi blocchi di calcare da 400 chilogrammi furono trapanati al centro e montati su di un asse d'acciaio verticale. Un'asticella forniva la spinta che trasformava le pietre in una macina. L'artista dedicava all'opera di levigazione circa cinque ore al giorno creando una forma immutabile, monumentale e naturale, ma identificabile nella galleria in cui era esposta come un'opera artificiale, poiché era evidente la presenza dell'asse e dell'albero motore.
Era una satira degli anni 80 in cui cercava di ironizzare con il mondo artistico: e questa perlustrazione è continuata, secondo le tendenze artistiche di quel periodo, interessate alla ricerca delle testimonianze, col restaurare un appartamento abbandonato e condannato al fine di riprodurre le tracce della sua occupante.
Altra opera notevole è del 1997 Swoon, in cui presentava una scena tratta dal famoso Lago dei Cigni e nella quale i ballerini erano parzialmente nascosti dal sipario, in modo che fosse possibile vedere solo le gambe che danzavano.
È dello stesso anno Butterfly Kisses un disegno creato battendo le ciglia ricoperte dal mascara. Tutta la sua opera si pone in una prospettiva irridente, il lato umoristico della sua arte è che riesce a instaurare una complicità scherzosa con lo spettatore: il pubblico non è turbato dalla sua ironia, ma dalla sottile autoironia. Nel 1993 in Lick and lather ha realizzato 14 busti suoi, sette di cioccolato e altri sette di sapone: quindi ha riscolpito i busti, leccando il cioccolato e bagnandosi con il sapone, stravolgendo la rappresentazione. Ha voluto con quest'opera ritrarre le complesse idee di femminilità e il suo rapporto con se stessa come donna. Infatti lavarsi, fare il bagno, mangiare sono atti amorevoli ed indulgenti: nella distruzione della propria immagine esplora la relazione tra amore e odio che abbiamo con noi stessi.
È del 1998 il quadro fotografico Coddle, in la Vergine culla nelle sue braccia, con un atto mistico, la parte inferiore della sua gamba: l'artista non solo rielabora le immagini storiche dell'arte, ma gioca anche con il pathos religioso.
D'altra parte fin dal 1994 aveva realizzato in Tender Bottons, una narcisistica riproduzione dei propri capezzoli e areole in spille d'oro in cui ogni papilla era realizzata esattamente in scala e il reticolo delle vene era visibile. Il tutto era da interpretare come ironico femminismo: rispetto per il corpo, un gioco imperniato sulla sua frammentazione, parodia dell'aura che l'arte conferisce al banale.
Antoni non ha solo giocato con la commedia: nel 1992 la sua performance ha richiesto un duro sforzo fisico: infatti in Gnaw ha masticato e rosicchiato, fino ai limiti della resistenza fisica, due blocchi di 270 chilogrammi, uno di lardo l'altro di cioccolata, modellandoli in una scultura classica. Dopo un lungo lavoro di mascelle le sculture sono state esposte in galleria mentre il grasso residuo veniva mescolato con cera d'api e pigmenti per farne rossetti, esposti poi in una vetrina come feticci. Con il resto del cioccolato ha realizzato scatole per cioccolatini a forma di cuore: il colore marrone dei contenitori di plastica evidenziava le praline, presentate come gioielli.
Il culto dei cosmetici, il lardo e il cibo come compensazione della frustrazione, le confezioni alimentari e l'atto artistico della creazione erano collegati in un processo di riciclaggio la cui base era la forza con la quale l'artista faceva transitare i morsi di materiale nella sua bocca, attirando l'attenzione sulle immagini della donna legate al corpo.
Con quest'opera ha indagato anche il campo della schizofrenia perché entrambi gli alimenti, lardo e cioccolato, sono oggetto di nevrosi perché uno attrae e l’altro genera repulsione: nelle scissione di questi elementi entra in gioco la schizofrenia, infatti. Come si può ravvisare, la sua scala di riferimento è sempre il corpo umano: anche se è assente è sempre presente, la sua funzione consiste nel collegare le idee e i concetti puri che in assenza di un contatto fisico non avrebbero un punto di riferimento.
L'artista ha la consapevolezza che il soggetto donna non sia un'essenza monolitica definita una volta per tutte, ma piuttosto il luogo di una serie di esperienze multiple, complesse e potenzialmente contradditorie, definite da variabili sovrapposte e si evidenzia l'importanza di rifiutare ogni generalizzazione sulle donne per tentare di essere il più possibile consapevoli del luogo da cui si parla. L'idea chiave consiste nel guardare la natura collegandola con le affermazioni legate al tempo e alla storia.
In Loving care ha usato, inginocchiata a terra, i suoi stessi capelli per dipingere la galleria di Londra in cui esponeva, rovesciando lo stereotipo femminile della cura e della pulizia della persona. In Mortar and pestle Antoni arriva a leccare la pupilla di un amico, lasciandoci il dubbio che ad ispirare l'opera ci sia un retrogusto di feticismo e di premura anormale, mentre il suo obiettivo è in ambito culinario perché con questo gesto cerca “il sapore dello sguardo”: l'ironia e il gioco sono sempre presenti nelle sue opere che vengono liberate dalla pesantezza che portano con sé per veleggiare in un campo più leggero e ludico.
Ugualmente, presenta come un gioco in Mon & Dad, un argomento sempre più attuale. Chi è il papà? Chi è la mamma? Non esiste una risposta perché il video presenta due immagini che si sovrappongono e si dissolvono, scambiandosi i ruoli.
Le sue opere, come le performance, sono sempre state molto apprezzate dal pubblico e dai critici e le sue mostre hanno sempre suscitato interesse e discussioni: ha esposto al Whitney Museum Art di New York, al Salomon R: Guggenheim Museum, sempre nella città della mela, al S.I.T.E. di Santa Fè, all'Irish Museum of Modern Art di Dublino e in molti altri luoghi prestigiosi a livello mondiale.
Numerosi sono stati i premi ed i riconoscimenti prestigiosi, come il “John D. e Catherine T. MacArthur Fellowship del 1998 e la successiva premiazione presso la Fondazione Premio Larry Aldrich dell'anno successivo. Nel 2003 ha ricevuto il Premio della scuola di Disegno di Rhode Island, dal 2011 è membro del Guggenheim e dal 2012 ha la sovvenzione Creative Capital, riservata ai grandi artisti che si sono particolarmente distinti negli Usa.
Ha continuato a produrre anche dopo il 2000: nel 2002 ha presentato il video Touch e nel 2003 la performance To draw a line, metafore sull'equilibrio, mentre nel 2008 si è cimentata con lavori sulla maternità come One another e con Tear in cui ha creato una palla da demolizione in piombo e poi l'ha usata per demolire un edificio sincronizzato con il battito delle sue palpebre, con l'intento di lasciare allo spettatore l'interpretazione della reazione psicologica ad un imminente pericolo.
Nel 2009 ha presentato Inhabit. Le ultime opere sono Crowned del 2013, in cui ha coinvolto la figlia, dopo l'esperienza del parto: è una scultura di una parete con modanatura a corona in gesso con due ossa pelviche ugualmente in gesso che sporgono dalla parete: ricorda la seconda fase del parto, quando la testa del bambino è circondata dall'orifizio vaginale. Nel 2019 ha realizzato I am Fertile Ground una installazione site-specific nelle catacombe del cimitero Green-Wood di Brooklyn, New York: sono piccole fotografie, corpi viventi presentati in cornici dorate modellare come ossa umane.
È un’opera che affronta la fragilità e la paura umana della morte, in un luogo in cui sono sepolte mezzo milione di persone. Le sue opere e Performances sono conosciute in tutto il mondo e ha esposto anche in Italia nel 2016. Dal 2000 è docente di belle Arti in un corso di laurea, il “Master Class della School of the Arts/Mentor Groups” presso la prestigiosa Columbia University.
Il suo contributo è stato notevole perché ha saputo essere, con ironia e dolcezza, la degna erede delle artiste degli anni '60-80, che tanto hanno contribuito, soffrendo e sacrificandosi, alla sensibilizzazione della discriminazione nei confronti delle donne, che purtroppo esiste ancora in troppe parti del mondo, e spesso anche in Occidente.