«Buttateli in mare in caso di avaria». Questa frase è il reale contenuto di una registrazione telefonica di un’indagine sui trafficanti di esseri umani, tra l’Africa e l’Unione Europea (UE), in corso da parte della magistratura italiana. Questa frase toccante, che sembra tratta da un film dell’orrore, evidenzia l’ordine che è stato realmente impartito da alcuni trafficanti agli scafisti per facilitare il loro compito in caso di una eventuale avaria dell’imbarcazione.
Esseri umani che, avendo oltre la propria anima un peso corporeo, vengono valutati come zavorra da scaricare in caso di pericolo per non fare affondare il natante. Una zavorra utile per i loro loschi affari e utile perché essendo disposti nella stiva dell’imbarcazione abbassano il centro di gravità e dunque rendono più stabile l’imbarcazione stessa. Ma ciò va bene fintanto che il mare non è eccessivamente agitato. Diversamente, con mare agitato, anche se l’imbarcazione non ha alcuna avaria, gli esseri umani possono costituire una zavorra da eliminare. Un peso, il cui valore economico può essere paragonato a meno di quello di un sacco di pietre e, come tutti i pesi inutili, in caso di avaria è meglio alleggerire l’imbarcazione e buttarli a mare.
Si presume che i migranti, per i trafficanti, abbiano il valore pari al costo che devono pagare per la loro traversata. Tale valore, dopo che il relativo importo è stato incassato, diventa poi zero lasciando liberi i trafficanti di buttare le persone a mare se ritenuto necessario per il prosieguo della navigazione. Nel caso sopra citato, probabilmente, il prezzo del viaggio era stato già pagato, dunque non aveva più alcuna importanza per i trafficanti che il migrante arrivasse vivo o fosse disperso in mare.
Sembra importante partire da questo triste e crudele episodio, verificatosi nei giorni scorsi, per potere fare delle considerazioni su questa maledetta “tratta di nuovi schiavi” che sta interessando il Mediterraneo e tutta l’Europa. Con l’attuale traffico incontrollato, le vite umane diventano solo numeri e la morte per emigrazione è una delle malattie contemporanee che stanno facendo diventare il Mediterraneo sempre più un cimitero senza lapidi.
Questo problema viene però strumentalizzato dagli aderenti ai diversi partiti politici che si richiamano, anche se ormai in maniera desueta, a partiti di sinistra, di centro o di destra, oppure a democratici o repubblicani. Essendo di fatto crollate le vecchie ideologie politiche del periodo della guerra fredda tra i due blocchi USA-URSS, le coalizioni partitiche sembrano esser caratterizzate sempre più dal soggetto politico che principalmente le rappresenta.
Si stanno così creando sempre più dei veri e propri schieramenti pro e contro gli immigrati, non tanto in ragione umanitaria, ma in coerenza al pensiero del partito politico cui si aderisce, senza sentire la necessità di approfondire le necessarie informazioni sull’argomento.
Nel presente articolo si farà riferimento principalmente agli sbarchi in Europa che provengono dalle coste del Mediterraneo centrale e in particolare a quelle che dalla Libia arrivano alle coste siciliane. Ma l’argomento trattato può essere facilmente esteso ai migranti provenienti dalle coste dell’Atlantico per arrivare in Spagna e provenienti da Marocco, Mauritania e Senegal, oltre che ai migranti provenienti dal Mediterraneo Orientale: Grecia, Cipro e Bulgaria. Non vengono trattate le pressioni migratorie che sono presenti sulla Tunisia, sull’Algeria e sul Marocco provenienti dall’Africa sub equatoriale, ma solo le masse di popolazioni che eludendo i controlli di questi Paesi si spingono fino alle coste mediterranee.
La qualifica di migrante
Sembra opportuno evidenziare preliminarmente chi realmente sono e cosa rappresentano i migranti e per semplicità espositiva, si farà riferimento a quelli che provengono dalle acque mediterranee, ma l’esempio, con le dovute eccezioni, è estendibile anche a quelli che arrivano via terra. La prima cosa a cui si assiste nel mondo è una sorta di ostentato pietismo verso i migranti che mirano ad arrivare nell’UE, con la volontà di dovere accogliere chiunque arrivi in Europa dal Mediterraneo, senza mai cercare di comprendere chi veramente è il migrante.
Non possiamo dimenticare che negli anni scorsi tra i migranti arrivarono anche delinquenti, persone ricercate nei loro Paesi per avere commesso dei reati e terroristi dei quali poi si perdevano subito le tracce, per riscontrarne poi le loro azioni nefaste in Italia, dove erano sbarcati, o in altri Paesi europei dove erano riusciti ad arrivare eludendo tutti i sistemi di controllo.
Tutte le persone che tentano di raggiungere un Paese diverso dal loro, non per turismo, ma per una loro nuova residenza, sono dei migranti, ma non tutti possono legalmente essere accettati, come è di seguito descritto, al di là di ciò che si legge su di loro attraverso affermazioni talvolta fortemente condizionate da aspetti politici e/o religiosi di chi le descrive. Un migrante sfollato è chi ha dovuto abbandonare la propria residenza o il proprio centro abitato a causa di una guerra, di una calamità naturale o per motivi di sicurezza. Lo sfollato cerca poi rifugio in altro Paese assumendo la condizione di rifugiato quando viene regolarmente accolto.
Quella di rifugiati è certamente la condizione della maggior parte dei migranti, definita dalla Convenzione di Ginevra del 1951, un trattato delle Nazioni Unite firmato da 147 paesi. Nell’articolo 1 della convenzione si legge che il rifugiato è una persona che «per causa di avvenimenti anteriori al 1° gennaio 1951 e nel giustificato timore d’essere perseguitato per la sua razza, la sua religione, la sua cittadinanza, la sua appartenenza a un determinato gruppo sociale o le sue opinioni politiche, si trova fuori dello Stato di cui possiede la cittadinanza e non può o, per tale timore, non vuole domandare la protezione di detto Stato; oppure a chiunque, essendo apolide1 e trovandosi fuori dei suo Stato di domicilio in seguito a tali avvenimenti, non può o, per il timore sopra indicato, non vuole ritornarvi ». Dunque, se scappano da guerre e/o da persecuzioni per motivi vari, ad esempio politici o religiosi o comunque per motivazioni che mettono in repentaglio la loro vita per il mancato riconoscimento dei più elementari diritti umani, essi sono dei rifugiati e i loro diritti sono disciplinati dalla citata Convenzione che si ricollega alla carta dei diritti umani delle Nazioni Unite2.
La Convenzione è stata poi negli anni successivi ampliata nei contenuti, prevedendo tra i rifugiati non solo i beneficiari della protezione umanitaria, ma anche quelli che hanno bisogno di una “protezione sussidiaria”. Quest’ultima protezione è stata prevista dalle norme europee per coloro che non sono riconosciuti come rifugiati, perché non sono vittime di persecuzione individuale nel loro paese, ma che hanno comunque bisogno di protezione e/o assistenza perché sono soggetti particolarmente vulnerabili sotto il profilo medico, psichico o sociale o perché se fossero rimpatriati potrebbero subire violenze o maltrattamenti. In definitiva può ottenere la protezione sussidiaria chi corre il pericolo di subire nel proprio Paese tortura, condanna a morte o trattamenti inumani o degradanti per motivi diversi da quelli previsti dalla convenzione di Ginevra. Il governo italiano, in una guida che ha emanato specifica in maniera chiara chi può essere riconosciuto come rifugiato in base alla Convenzione di Ginevra del 1951. I migranti rifugiati una volta accolti devono fare richiesta di protezione umanitaria che è anche una domanda implicita di richiesta di asilo. Nell’attesa dell’accettazione della domanda il rifugiato assume lo stato di richiedente asilo, mentre lo stato di rifugiato gli sarà riconosciuto con l’avvenuta accettazione della sua richiesta di asilo.
A chi sventola la bandiera umanitaria, a chi grida allo scandalo per la mancata accoglienza, sarebbe opportuno chiedergli quale accoglienza sarebbe disposto a dare a casa sua a migranti di sconosciuta provenienza, poiché quasi sempre arrivano senza alcun documento identificativo.
L’impiego più disponibile per gli immigrati clandestini
Ipotizzando che parte dei migranti, in qualunque modo sbarcati in Paesi europei, siano dei veri rifugiati per i quali non è stato possibile riconoscere tale loro stato, quali attività si pensa che possano svolgere legalmente in Paesi dove la loro presenza non è ancora legittimata da alcuna autorizzazione? È evidente che una buona parte degli arrivati, sia perché disorientati e impauriti per il loro destino, sia perché allettati da un facile guadagno, resteranno in balia delle persone che gestiscono tale traffico. Ad essi si aggiungono coloro che devono completare di pagare il loro debito per l’attraversamento del Mediterraneo.
E non è difficile ipotizzare quale lavoro possono svolgere questi migranti che, assumendo lo stato di “immigrati clandestini”, poiché non sono ancora legittimati da alcuna autorizzazione, tentano facilmente di disperdersi nel territorio che li ha accolti. Sono comunque persone che dovranno nella clandestinità esercitare un’attività che possa assicurare loro un reddito per la loro sopravvivenza.
Adesso comincia forse ad essere chiaro perché molte delle donne sbarcate illegalmente sfuggono al controllo e si disperdono dandosi alla prostituzione, vivendo nell’ombra e sotto l’attenta protezione di chi dal loro lavoro vuol trarre profitto. Sono donne immesse in un circuito malavitoso dal quale non potranno uscire facilmente. E gli uomini e soprattutto i giovani, che allo stesso modo si disperdono nel territorio che li ha accolti, non hanno le stesse esigenze? Spesso sono ragazzi in perfetta forma fisica, che vengono facilmente cooptati nel losco traffico dello spaccio di droga, correndo costantemente forti rischi non solo per la vigilanza delle autorità locali, ma anche e soprattutto per l’attento controllo che su di loro esercita la malavita organizzata.
Con gli sbarchi arrivano quasi sempre anche dei bambini le cui tracce sono le prime ad essere disperse, ma nessuno reclamerà mai la loro sparizione. Alcuni sono soli, senza che si abbiano notizie dei loro genitori, dei quali non si saprà mai se sono morti, se hanno ceduto i loro figli ai trafficanti per denaro o se i bambini erano stati a loro portati via con la forza. Nessuno saprà mai se e quanti di questi bambini siano poi finiti nelle reti dei donatori di organi o degli amanti della pedofilia. I giovani più fortunati che sfuggono alle attività criminali sopra menzionate spesso sono sfruttati nei cantieri, nei ristoranti, in agricoltura, nei pascoli, ecc. Vivono in un mondo sommerso ai margini della società, senza alcuna garanzia sanitaria, con una bassissima paga, con donne che spesso oltre che sfruttate sono anche maltrattate. Vivono una vita senza una vera dignità e nessuno riuscirà mai a controllare chi e quanti sono questi “nuovi schiavi” che vagheranno, come anime in pena, per il territorio dell’Unione Europea alla ricerca di una residenza e un lavoro stabili.
Sui migranti economici
Tra i migranti ci sono poi quelli definiti “economici”. Sono persone che mirano a migliorare la loro posizione economica e sociale. La loro legittima aspirazione dovrebbe però seguire la via di tutti i “migranti economici” che nei secoli scorsi si sono spostati da una parte all’altra del mondo. Essi, dopo essere stati autorizzati preliminarmente dal loro Paese, dovrebbero fare richiesta ufficiale di accoglienza al nuovo Paese. La richiesta dovrebbe essere valutata e, se ritenuta compatibile con le esigenze lavorative di quel Paese, essere accettata o nello stesso Paese da loro indicato o in altri Paesi europei dove si riscontrasse la compatibilità della loro presenza.
Si tratterebbe, in tal caso, di nuove forze lavorative, facilmente integrabili nella società che li accoglie, che potrebbero diventare una valida opportunità e una sconfitta per il caporalato, ormai presente in molti Paesi europei, soprattutto nel settore agricolo. L’arrivo non autorizzato, dunque abusivo, del migrante economico lo farà invece diventare un immigrato clandestino che, pur di sopravvivere, sarà poi costretto ad eseguire lavori clandestini, senza alcuna tutela per la sua incolumità e con forti rischi suoi e di chi gli offre il lavoro temporaneo. Così si potrebbe ritrovare anch’egli nelle condizioni di una facile cooptazione da parte della criminalità organizzata.
Ma ci siamo mai chiesti perché tante persone e soprattutto tanti giovani, che rappresentano la maggioranza dei migranti economici, tentano di attraversare paesi e deserti, pur conoscendo il rischio elevato per la loro vita e il pericolo di cadere nelle mani dei trafficanti?
La risposta semplice e naturale è perché nel loro Paese non vedono alcuna speranza per la loro vita futura. Quindi, sono portati a inseguire un loro sogno, a viaggiare, a tentare l’avventura nella speranza di una loro sistemazione futura per vivere una vita dignitosa. E partono perché nel loro imaginario vedono nell’UE una sorta di Eden con la popolazione che vive dignitosamente nel rispetto dei propri diritti umani e magari sperano che col proprio lavoro possano vivere anche loro una vita dignitosa, inimmaginabile nei loro paesi.
Questo sogno è spesso il segnale tangibile del naufragio delle politiche di sviluppo sociali ed economiche in cui versa il loro Paese. È il risultato del fallimento della politica derivante da un sistema politico che ostacola ogni sviluppo, che non ha programmi chiari, con la conseguenza che una parte della popolazione, soprattutto quella giovanile, perde la speranza in un futuro migliore. Pertanto, sui sogni di questi giovani nessuno ha il diritto di esprimere critiche negative. Per alcuni, infine, ancorché vivono in un Paese in forte crescita sociale ed economica, è il tentativo di ridurre drasticamente i tempi per il loro miglioramento economico e sociale.
Purtroppo sono pochi quelli che, prima di tentare un espatrio abusivo e avventurarsi in così difficili viaggi, valutano le condizioni reali del livello occupazionale dei giovani nel Paese dove aspirano di essere accolti; sarebbe infatti questa una prima necessaria sommaria valutazione per decidere se affrontare o meno il rischio del viaggio.
Dal Ministero dell’Interno italiano viene comunicato che la maggior parte dei migranti economici che sbarcano in Italia sono egiziani e tunisini e sono persone che partono dal loro Paese volutamente senza alcun documento di riconoscimento per entrare illegalmente in Europa per tentare di migliorare la loro condizione economica. Essi non cercano uno specifico Paese, purché sia in Europa, anche se in genere dichiarano di preferire l’Italia.
Quale controllo esiste sugli imbarchi di naufraghi dalle ONG?
Nelle scorse settimane sono stati pubblicati video e foto che evidenziano, in un mare calmo, il passaggio di migranti dai gommoni degli scafisti alle navi delle ONG. Navi che si sono soffermate per lungo tempo in un preciso specchio di mare, dando la chiara sensazione dell’attesa dell’arrivo dei migranti, che poi puntualmente arrivano. Sono attualmente in corso delle indagini della magistratura italiana per avere chiarezza su queste azioni di un quantomeno “sospetto” salvataggio.
Oggi, tramite il controllo satellitare non dovrebbe essere difficile identificare il percorso dei migranti fino all’arrivo ai punti d’imbarco sui natanti dei trafficanti e da lì al punto d’incontro con le navi delle ONG. Allo stesso modo, non dovrebbe essere difficile identificare il percorso delle navi ONG dal porto che le ospita al punto d’incontro con i trafficanti. Da ciò si potrebbe dedurre se l’incontro è stato frutto di casualità o il risultato di un ben preciso appuntamento. Infine, è opportuno evidenziare che a seguito dell’incontro in mare aperto e senza pericolo di annegamento i migranti, visibili nelle foto e nei video diffusi, sono stati fatti salire su unità navali delle ONG. Sembra ovvio che quei migranti non possono essere definiti giuridicamente “naufraghi”.
Ora se di tali notizie, che sembrano ormai certe, si dovesse avere piena conferma attraverso le indagini giudiziarie in corso, sarebbe legittimo affermare che alcune ONG avrebbero operato a servizio dei trafficanti, consentendo un’attività di traffico di esseri umani, assolutamente illegale, che avrebbe prodotto lauti guadagni a tutta l’organizzazione criminale che gestisce questo moderno traffico umano. Un’organizzazione criminale che non opera certamente per spirito umanitario, ma solo per trarre profitto dal trasporto in mare, appropriandosi rapidamente di quei pochi beni che i profughi sono riusciti ad accumulare e portare con loro.
E quando le somme in loro possesso non sono sufficienti per pagare il costo del transito fino all’altra sponda o fino al simulato soccorso delle ONG, è verosimile ipotizzare che molte di queste persone potrebbero essere poi costrette ad assumere gravosi impegni economici da assolvere successivamente, durante la loro attività lavorativa clandestina nel Paese dove vengono sbarcate, sotto il costante controllo di uomini senza scrupoli. In realtà il vero compito delle ONG poteva consistere, una volta che a seguito di accordi internazionali veniva identificato lo stato dei migranti, nella collaborazione per il loro trasporto e la loro assistenza e per l’eventuale salvataggio in mare di quelle poche persone, che, escluse dall’accoglimento con regolare imbarco, avessero tentato autonomamente la traversata con natanti provvisori e insicuri. Riportando questi ultimi al punto della loro partenza e affidandoli alle autorità locali.
In caso di accertate persone richiedenti asilo le ONG avrebbero potuto dare un grande contributo, portando i migranti direttamente in un porto europeo di accoglienza, mentre nei casi dichiarati di soccorso in mare erano tenuti a portarli nel primo porto sicuro più vicino, che è certamente un porto in Tunisia o in Libia.
Riflessioni finali
Non si vedono all’orizzonte proposte che vanno oltre le critiche sul mancato accoglimento dei migranti in maniera indiscriminata. Non si legge di proposte di azioni che mirano ad escludere la partecipazione attiva dei trafficanti a questo nuovo business. Di contro, si legge spesso la necessità di applicare il Regolamento di Dublino che prevede che il Paese di primo approdo è quello in cui il migrante arriva e nel quale il migrante deve avanzare richiesta di asilo e che il Paese di sbarco deve farsi carico della gestione dell'accoglienza, della valutazione della richiesta di asilo e dell'eventuale rimpatrio. Inoltre si legge poco sull’obbligo delle navi di soccorso, quando di vero soccorso in mare si tratta, di approdare nei porti dei Paesi più vicini, che in genere non sono le coste italiane, ma quelle tunisine, se non quelle libiche.
Non viene chiaramente regolamentato come valutare la legittimità dei richiedenti asilo prima del loro imbarco per le coste europee, anche per l’ingestibilità già riscontrata per il loro accertamento dopo lo sbarco nei porti europei dove restano poi, in ambiti perimetrati, per tanti mesi.
L’UE sta affrontando, sempre con maggiore fermezza, l’intensificazione degli accordi con i Paesi transfrontalieri, soprattutto con la Libia, per rafforzare la lotta al traffico dei migranti, attraverso un approccio più coordinato per la ricerca e il salvataggio, assieme a una nuova politica per i ricollocamenti cercando di superare gli aspetti burocratici che, negli anni scorsi, hanno vanificato la corretta attuazione delle vigenti disposizioni.
Anche la Tunisia, l’Algeria e il Marocco, a seguito di accordi con la Comunità Europa, hanno già messo in atto azioni per limitare fortemente i flussi che potrebbero partire dai loro Paesi verso l’Unione Europea. Purtroppo, attuali condizioni politiche locali non hanno sempre consentito di potere metter in atto in maniera completa ed esaustiva le relative misure massime di controllo e sicurezza.
I trasporti attraverso i trafficanti impoveriscono ulteriormente gente già molto povera, perché per ogni partenza dall’Africa vengono pagati agli scafisti migliaia di euro. Un effettivo controllo concordato dei migranti nelle coste sud del Mediterraneo e una seria politica dei rimpatri, da mettere in atto in tutta l’Europa, darebbero la possibilità di accogliere persone che potrebbero così evitare lo sfruttamento e integrarsi nel Paese ospitante, diventando forze lavoratrici attive col pieno riconoscimento dei loro diritti umani e il ripristino della loro dignità.
Il Governo italiano mira attualmente a dissuadere i trasporti illegittimi e a non cedere alle critiche dell’opposizione, fin quando non saranno chiarite le regole che, come prima cosa, dovrebbero evitare i tanti morti in mare. Fino a quando non ci sarà un preciso accordo tra Europa e Paesi transfrontalieri, che consenta un controllo sullo stato effettivo dei migranti prima del loro imbarco per l’attraversamento del Mediterraneo, il divieto di sbarco dalle navi non autorizzate nei porti europei potrebbe avere i seguenti risultati positivi: - scoraggiare le partenze dei potenziali profughi dai loro Paese, rendendo ben noto che il rischio che corrono per la loro vita e per il buon esito della traversata è probabilmente superiore al rischio dovuto alla permanenza nel loro Paese; - ridurre l’attuale enorme traffico di esseri umani; - ridurre il numero di “nuovi schiavi” poiché molte delle persone clandestine, una volta sbarcati in Paesi europei, verrebbero indotte alla prostituzione e allo spaccio di droga e tenute sotto costante controllo dalla malavita organizzata; - ridurre la potenziale scomparsa di bambini di cui si perdono facilmente le tracce dopo il loro sbarco; - eliminare il transito delle navi delle ONG che si prestano ad attuare discutibili “salvataggi in mare per pericolo di affogamento”; - valorizzare il contributo delle ONG, indirizzandolo al trasporto dei migranti autorizzati, con una piena assistenza e cura dei passeggeri a scopo umanitario.
Infine, deve essere sempre ben evidenziato che la vera povertà, presente in alcuni Paesi dell’Africa sub equatoriale, potrà essere vinta potenziando gli interventi economici in quei paesi, aiutandoli a meglio utilizzare le loro risorse naturali, evitando così inutili sfruttamenti da parte di alcune multinazionali e l’illecito arricchimento personale di pochi individui del loro Paese. Questo problema, in considerazione anche delle migliaia di migranti morti provenienti dall’Africa sub equatoriale, dovrebbe però essere affrontato fortemente oltre che dall’UE anche dall’Unione Africana, poiché alcuni governanti di Paesi interessati al fenomeno migratorio sembra che mirino più a consolidare il loro potere politico ed economico nell’ambito del Continente, che ad affrontare, per tentare di risolverlo, questo triste problema.
L’Unione Europea certamente non mancherà al suo impegno di concedere il diritto d’asilo a quanti ne hanno le caratteristiche, ma non potrà mai consentire un ingresso indiscriminato e incontrollabile idoneo ad alimentare economicamente i trafficanti di esseri umani e la malavita organizzata, sotto il cui potere e controllo restano irretiti tanti migranti, tra i quali potrebbero trovarsi persone ricercate dalla giustizia nei loro Paesi. Nel DNA della popolazione europea esiste il vero senso dell’accoglienza umanitaria, ma nei limiti che non venga trasformata in involontaria condivisione del malaffare.