Ritrovarsi in un silenzio carico di parole, rigenerarsi in un tempo differito, in un luogo apparentemente lontano dal compulsivo digitare su uno smartphone. Essere, forse, più “bestie da latte che da carne”, essere insomma degli eterni “apprendisti” della vita. È questo in estrema sintesi il pensiero che sta alla base dell’opera di Gian Mario Villalta, poeta e scrittore friulano, nato a Visinale di Pasiano in provincia di Pordenone nel 1959.
Villalta, che è anche direttore artistico del festival letterario Pordenonelegge, ha vinto il premio Viareggio 2011 con l’opera in versi Vanità della mente e il premio Carducci 2016 con la raccolta Telepatia. Nel 2020 è stato candidato al premio Strega con il romanzo L’apprendista.
Sia ne “L’apprendista” che in “Bestia da latte”, due dei suoi romanzi di successo, emerge un Friuli misterioso, affascinante proprio perché sa scaldare il cuore come quelle antiche cucina contadine che raccontano un tempo ormai lontano.
“Il mondo rappresentato è sicuramente quello del Nord Est rurale che è da dove provengo, quel basso Friuli la cui parlata è molto vicina a quella veneta. Rispetto al Veneto, c’è stato in passato un maggiore isolamento, tuttavia è un territorio che ha subito una repentina trasformazione a partire dagli ’60-’70 quando il progresso ha cominciato a creare benessere. Tutto è mutato in fretta da quando ero bambino. Un tempo in cui si viveva uno stato di necessità che strappava alla natura la sussistenza, con le mani e le braccia, l’unico motore erano gli animali.
Nel giro di un tempo rapidissimo il mondo si è trasformato in modo tale che oggi parliamo di una realtà naturale minacciata dallo sterminio. E dovremo fare sforzi enormi per tutelare la nostra vita, la civiltà che ci ha portato a questo livello di conoscenza, di potenza e di capacità, allo stesso tempo, di fare del male a noi stessi e al pianeta”.
I cambiamenti sono stati materiali ma non solo.
“Sono stati cambiamenti paradigmatici dal punto di vista filosofico e politico, fondamentali, ma se nessuno ci racconta quel mondo come facciamo poi a capire la differenza? Ci sono bambini che pensano che il latte sia un prodotto industriale (ci siamo però vicini) o che non ha mai visto semplicemente i processi elementari della natura. Per le generazioni che oggi attraversano l’infanzia, il mondo naturale rischia di essere solo un esempio di bella fotografia o di documentario televisivo. Oppure di lezione scolastica sulla chimica e la biologia. Credo però ci siano delle cose da raccontare, dove c’è molta realtà vissuta, perché si possa confrontare la propria esperienza con quella degli altri”.
Ecco perché i suoi romanzi attraggono lettori di tutte le età, perché narrano di un mondo che non esiste più. In quel mondo antico che lei “idealizza” non manca comunque la ferocia e la crudezza del mondo contadino.
“Oggi la violenza e la ferocia sono per ottenere dei follower o per farti vedere migliore immaginando che solo così esisti, o magari sperando di scalare qualche ignobile, piccola carriera locale. Allora si trattava di sopravvivenza, si pensi a un mondo in cui i legami famigliari erano ancora patriarcali, in cui non si aveva controllo delle nascite. Un mondo in cui non solo il matrimonio era indissolubile ma anche c’era lo ius corrigendi, cioè un marito poteva picchiare la moglie senza subire conseguenze.
C’era poco per tutti ed era sempre lo stesso: il lavoro nei campi, la chiesa e l’osteria. Si cominciò a fare la vacanza negli anni ’70, prima non esisteva nemmeno l’idea. Col progresso c’è stato un allontanamento dalla relazione umana e dalla solidarietà obbligata studiata dagli antropologi. Era un obbligo morale per tutti aiutare chi ne aveva bisogno. Oggi invece la gente sta chiusa in casa con tutti i dispositivi elettronici possibili: comunichiamo con tutto il mondo ma siamo isolati da ogni contatto umano”.
Nel 2022 chi sono i le bestie da carne e le bestie da latte?
“Oggi purtroppo le bestie da carne sono quelli che devono fare carriera a tutti i costi, sono quelli che hanno fatto corsi di studi legati al mondo dell’economia che si sono prefissi di fare carriera nel mondo del denaro della finanza e del commercio. Se un tempo fare il commercialista o l’ingegnere per molti voleva dire essere il primo che si laureava in famiglia, un risultato che significava un passaggio culturale, l’opportunità di poter accedere a un mondo più ampio, più interessante, a una dimensione diversa di vita, oggi quella dimensione di vita è appiattita sul denaro e sul consumo, sul pacchetto all inclusive super esclusivo per tutti.Quelle sono le bestie da carne”.
E le bestie da latte?
“Le bestie da latte sono, invece, quelle che fanno più fatica a trovare una collocazione in questo tipo di società perché sono forse più lente e pensose. Il ceto medio è stato spazzato via, impiccato alle scadenze del futuro. Quando ce la fa ancora, vive comunque sotto minaccia delle urgenze e delle scadenze, dato che è condannato a tenere in piedi il Paese.
La dimensione di Instagram e Facebook detta la linea, e così anche i più giovani attrezzati intellettualmente vivono nel “mercato delle vacche” della comunicazione. La bestia da latte che cerca un senso nella vita che vada al di là del mercato e del consumo, fa tentativi di esistenza di vari tipi, cerca di fare cose spesso controproducenti, avvia lavori sociali, gruppi di interesse che producono cultura. Altrimenti si rischia di trovare che la nostra bestia da latte si è spiaggiata su carriere universitarie in cui a 50 anni cerca di rinnovare l' assegno di ricerca, o sta ancora facendo l’ennesimo master”.
Tornando a “L’apprendista”, titolo ambiguo visto che i due personaggi Tilio e Fredi sono due anziani chiusi nello spazio di una sacrestia, come le venuta questa idea?
“Parcheggiavo la macchina ogni giorno vicino alla grande chiesa del paese e vedevo comparire dalla porticina della sacrestia un signore di una certa età. Da lì è nata l’idea del personaggio di Fredi, un uomo gravato da una certa fatica di vivere, e da quell’immagine ho concepito la scena iniziale che apre il romanzo. Tra Tilio e Fredi, passa un sentire, un legame particolare, non avvengono cose speciali ma è una comunicazione che non si interrompe e che si arricchisce di ogni istante”.
“L’apprendista” sembra quasi una pièce teatrale, sia per l’ambientazione che per i dialoghi.
“C’è molto del teatro, nel teatro si possono leggere i pensieri. Diciamo che il significato del romanzo vuole evidenziare quanto della nostra vita con le persone con cui viviamo è fatto di silenzi, di sguardi e di parole dette a metà. Il contatto tra Tilio e Fredi genera un flusso di coscienza che pervade tutto il libro e dal loro intreccio l’intera anima di un paese”.
Pordenonelegge è l’altra sua creatura, la direzione artistica di un festival letterario così importante deve essere anche molto impegnativa. Quale il segreto del successo?
“In questi ultimi 20 anni è stato uno sforzo costante e continuo. Forse il segreto del successo è non avere mai ceduto e soprattutto pensare sempre che la cultura è lavoro. E prima ancora avere intorno a te persone che ci credono, con le quali, se pure nelle diversità, costituire una squadra che, quando è il momento di remare, rema tutta nella stessa direzione. Poi c’è un fenomeno incredibile attorno a Pordenonelegge, che pochi altri festival possono vantare. La città si identifica completamente col festival, Pordenone è Pordenonelegge”.
Certo, la selezione degli autori sarà dura.
“La selezione è un lavoro che fa perdere la testa, a volte si diventa lettori affaticati e poco sorridenti perché si ha la fretta di capire che libro sia e si va più veloci del libro. A volte ci sono libri talmente belli che decidono loro. Nella selezione non siamo presuntuosissimi, accettiamo suggerimenti e questo aiuta”.
Quindi, la bestia da latte…
“La bestia da latte sono io, si capiva già, ma ormai il latte scarseggia”.