La situazione sociopolitica della Libia è veramente complessa. L’elenco cronologico delle ultime principali azioni governative è un ginepraio inestricabile da cui sembra quasi impossibile uscire. Dalla formazione di due governi si è passati alla loro riunificazione temporanea per potere convocare le elezioni parlamentari. Una volta raggiuto l’accordo con la formazione di un governo di transizione e la convocazione delle elezioni, queste sono stata rinviate “sine die”, col ritorno di nuovo alla formazione di due governi.
Una situazione paradossale che potrebbe sembrare il frutto di uno stato confusionale generale, mentre in realtà è verosimile che si tratti di una confusione guidata da precisi motivi collegati ad alti interessi internazionali e al tentativo di fare assurgere a comando del paese i componenti di uno solo dei due governi attualmente in carica, con l’esclusione dei rappresentanti dell’altro.
Si crea, così, una nuova crisi che non potrà essere risolta con la sola partecipazione del popolo libico, poiché le due parti della popolazione, l’una contro l’altra, sono sostenute reciprocamente da importanti paesi stranieri che hanno grandi interessi economici e politici in Libia e intendono influire sul futuro governo libico.
A chiunque si chieda qual è in questo momento la situazione generale della Libia, se non è un vero esperto di geopolitica mediterranea, la risposta più certa è: “non si capisce nulla”. Se poi ha qualche minima informazione risponderà: “sembra un popolo in cerca di una sua identità che non riesce ancora a trovare”. Entrambe le risposte esprimono una piccola della verità che è molto complessa e sulla quale si spera di potere avere qualche ulteriore delucidazione con quanto viene descritto di seguito.
Sull’attuale situazione governativa
Dal 2015 al 2019 sono stati in carica due Governi:
- Il Governo di Accordo Nazionale (GNA) con sede a Tripoli riconosciuto dall’ONU e appoggiato da USA, Francia, Italia, Turchia e Qatar, presieduto da Muṣṭafā al-Sarrāj;
- Il Governo della Camera dei Rappresentanti di Tobruk guidato dall’autoproclamato Esercito Nazionale Libico del Generale Khalifa Haftar, con sede a Tobkuk in Cirenaica, appoggiato da Russia, Egitto, Giordania, Arabia Saudita e Emirati Arabi Uniti.
Dopo il tentativo fallito nell’aprile 2019 da parte di Haftar di prendere il controllo di Tripoli e del suo governo, ovvero l’unico considerato legittimo dall’ONU, ci furono importanti mediazioni internazionali per arrivare alla pacificazione. A seguito di tali azioni, si era deciso che, in attesa delle elezioni, per mediare gli interessi politici dei due governi in carica, si formasse un unico governo con sede del Parlamento a Tobruk e sede del Governo di Unità Nazionale a Tripoli (GUN) presieduto nel periodo di transizione da Abdul Hamid Dbeibah, che il 15 marzo 2021 era stato nominato Primo Ministro della Libia ad interim. Un accordo che fece superare la formazione di due governi contemporanei in attesa della riunificazione ufficiale che sarebbe dovuta avvenire dopo le elezioni fissate per il 24 dicembre 2021.
Purtroppo, a seguito dell’eccessivo numero di candidati alla presidenza, e soprattutto per forti contestazioni mosse contro alcuni di loro, l’Alta Commissione elettorale nazionale libica (Hnec) il 21 dicembre ha ordinato lo scioglimento dei comitati elettorali, facendo slittare le elezioni a data da destinarsi.
Dopo il rinvio delle elezioni, a febbraio il parlamento libico ha nominato a Tobruk il nuovo Primo Ministro libico Fathi Bashagha, già Ministro dell’Interno, in quanto riteneva scaduto il mandato di Abdul Hamid Dbeibah.
Il governo a interim che opera a Tripoli, Governo di Unità Nazionale (GNU), non ha invece riconosciuto la validità di tale nomina mantenendo a capo del governo Abdul Hamid Dbeibah. Poiché Fathi Bashagha ha dichiarato di non rinunciare al suo incarico, di fatto si sono formati nuovamente due governi, con due autonomi schieramenti armati: uno per la parte a ovest della Libia con sede a Tripoli e uno per la parte a est con sede a Tobruk. Da evidenziare che le tensioni sociali avevano raggiunto nuovamente un livello di alta pericolosità, infatti, il giorno della nomina di Bashagha ci fu un attentato a Dbeibah, che per fortuna rimase illeso.
Il risultato finale di tali tensioni è stato dunque che la Camera dei Rappresentanti di Tobruk ha eletto autonomamente un nuovo Governo di Stabilità Nazionale (GSN), completo di ministri, che non è stato riconosciuto da Tripoli. Nei mesi successivi la pace non è regnata in nessuno dei due governi: ci sono state le dimissioni di alcuni ministri di questo nuovo governo e contemporaneamente sono stati fatti diversi tentativi per impedire il concreto insediamento del nuovo governo di Tripoli, tra cui il tentativo non riuscito, da parte dello stesso Haftar, di insediare a Tripoli il nuovo governo che era stato costituito a Tobruk.
Oggi, a distanza di un anno dal rinvio delle elezioni, le tensioni sembrano aumentate e il Paese sembra caduto in un nuovo profondo stato di ingovernabilità. Allo stato attuale c’è un quadro politico caotico e fortemente pericoloso, dato che manca anche un adeguato controllo sulla criminalità organizzata. È evidente che in questa situazione complessa si aggrava fortemente la situazione economica del Paese, anche a causa della difficile gestione delle risorse energetiche che rappresentano quasi l’unica o comunque la maggiore fonte di sostentamento per la Libia.
L’anatema di Gheddafi
La persistente ingovernabilità della Libia, a 11 anni dall’uccisione di Muammar Gheddafi (avvenuta a Sirte il 20 0ttobre 2011), fa ricordare le sue parole riportate nell’ultima sua intervista italiana rilasciata poco prima della sua morte al quotidiano “il Giornale” il 15 marzo 2011 e richiamata su “giornale.it” del 17 febbraio 2015. In quell’occasione Gheddafi affermò che «Se al posto di un governo stabile, che garantisce sicurezza, prendono il controllo queste bande legate a Bin Laden, gli africani si muoveranno in massa verso l'Europa. E il Mediterraneo diventerà un mare di caos».
Parole sicuramente profetiche che oggi risuonano come un vero anatema lanciato da Gheddafi contro i suoi avversari, e non solo contro i libici delle tribù a lui avverse, ma in generale contro quanti erano diventati suoi avversari, anche al di fuori del suo Paese, ben prevedendo che l’eventuale caos avrebbe interessato l’intero Mediterraneo e buona parte del mondo. Un anatema inteso come una vera maledizione, presagendo quanto di negativo poteva avverarsi nell’eventualità della sua perdita di controllo sulle miriadi di tribù di cui è composta la Libia.
I fatti stanno confermando, sempre più, l’avverarsi di quella che possiamo dunque definire la probabile conseguenza di quelle tristi predizioni: un popolo allo sbando, guidato da più governi l’un contro l’altro armato. Nel frattempo, si registra nel Paese un incremento della criminalità organizzata. Un pericolo generale evidenziato da accuse mosse a livello internazionale da associazioni umanitarie e dalle dichiarazioni del Procuratore della Corte Penale Internazionale dell’Aja che ha chiaramente evidenziato un incremento dei crimini commessi nei centri di detenzione, oltre ai crimini contro i migranti. Questi ultimi, per dichiarazione del Procuratore «possono essere qualificati come crimini di guerra e crimini contro l’umanità». Come risulta da “Numbeo”, il grande database di informazioni su città e nazioni, l’indice della criminalità in Libia è 60,70%, con un forte incremento negli ultimi 3 anni.
Tale situazione pericolosa è dichiarata anche dal Dipartimento federale degli affari esteri svizzero (DFAE), che relativamente ai consigli di viaggio in Libia scrive: «La situazione nel Paese è confusa e insicura e la sicurezza non è garantita. In ampie parti del Paese dominano milizie armate o altre forze armate. Inoltre, scontri violenti possono aver luogo regolarmente anche nelle città di Tripoli e Bengasi. Per esempio, nell’estate del 2018 scontri armati fra diverse milizie armate hanno avuto luogo a Tripoli. Si usano anche le mine. In tutto il Paese vi è un elevato rischio di sequestro per le persone di cittadinanza libica come pure per le persone straniere».
Le risorse di idrocarburi
La profonda crisi energetica, che sta creando seri problemi in diverse parti del mondo e soprattutto in Europa, nei Paesi del Mediterraneo e dell’Africa subequatoriale, derivante principalmente dall’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, mette in maggiore risalto la grande potenzialità delle riserve di idrocarburi di cui la Libia è dotata. Il controllo principale di dette risorse avviene con la compagnia petrolifera libica National Oil Corporation (NOC), il cui consiglio di amministrazione è stato nominato dal Consiglio dei ministri del Governo di Unità Nazionale, ma con a capo Farhat Omar bin Qadara, persona di grande capacità tecnica e vicina ad Haftar, dunque all’altro governo. Una scelta che sembra ottimale dal lato tecnico e dal lato politico, forse capace di mediare anche i rapporti tra i rappresentanti dei due governi.
Tale situazione potrebbe infatti influire sul governo di Tobruk per la riapertura di pozzi della Cirenaica, che erano stati chiusi da Haftar poiché gli introiti dell'export contribuivano al mantenimento delle milizie che controllano Tripoli. Una chiusura che ha fortemente ridotto importanti introiti per la bilancia economica del Paese.
Poiché le riserve di idrocarburi della Libia sono rilevanti - e forse le più grandi dell’Africa - è evidente che le mediazioni internazionali per riarmonizzare questo Paese sono in continua attività, soprattutto perché mosse da grandi interessi economici, oltre che politici.
È importante ricordare che una delle forniture di gas all’Europa arriva attraverso il “Greenstream”, il gasdotto più lungo d'Europa gestito dalla “Mellitah Oil & Gas”, joint venture fra Eni1 e Noc. Il gasdotto parte dal giacimento offshore di Bahr Essalam difronte la costa libica a circa 120 km a Nord-Ovest da Tripoli e da quello di Wafa a circa 540 km a sud-est della città di Tripoli, e arriva alla Centrale di Compressione di Mellitah, sulla costa ad ovest di Tripoli. Attraversando il Mediterraneo arriva in Sicilia, nella città di Gela, per raggiungere buona parte dei Paesi europei.
Il fabbisogno energetico, per fare fronte alla forte crisi conseguente all’invasione dell’Ucraina, si è sensibilmente ridotto in molti Paesi, mentre è aumentata la ricerca di nuove fonti di approvvigionamento di idrocarburi e di fonti energetiche alternative. Per la cooperazione sulla ricerca petrolifera sono stati sottoscritti diversi contratti in diversi Paesi. Una dimostrazione è data dall’accordo di fine ottobre tra Libano e Israele, dall’accordo tra Turchia e il governo libico, dagli accordi dell’Europa con l’Algeria, ecc. In questo quadro generale, la Libia, che negli ultimi anni ha fortemente ridotto la sua capacità estrattiva, è oggi sotto l’attenzione internazionale per le sue potenziali grandi riserve e dalla lotta per assicurarsi il loro controllo emerge una delle principali cause dell’attuale crisi libica. Basta pensare che la Libia, prima della rivoluzione, viveva con le economie derivanti principalmente dalla vendita di idrocarburi.
Una veloce panoramica sui rapporti internazionali
La Primavera Araba in Libia purtroppo non ha funzionato. La rivoluzione partita dalla Tunisia ed estesasi velocemente ad altri Paesi, ha portato alla deposizione di molti governanti (Zine El Abidine Ben Ali in Tunisia, Muammar Gheddafi in Libia, Hosni Mubarak in Egitto, di Ali Abdullah Saleh nello Yemen). Non ha dato però l’esito atteso, tranne che in Tunisia. In Libia ha portato all’attuale caos. Ma anche in altri Paesi, oltre quelli sopra citati, si sono verificate delle forti sommosse che sono state poi fermate da interventi dei governi in carica.
Diversi Paesi sono attualmente interessati al futuro della Libia, promuovendo azioni di mediazione e nello stesso tempo cercando di concludere accordi.
La Turchia il 3 ottobre scorso ha firmato a Tripoli un accordo tra il Governo di Unità Nazionale della Libia e il Governo della Repubblica di Turchia, con l’obiettivo principale di promuovere tra i due Paesi la cooperazione per la ricerca scientifica e commerciale nel settore degli idrocarburi. Un fatto certamente importante per il Primo Ministro del Governo Nazionale Libico Dbeibah, ma subito criticato pesantemente dal Primo Ministro del parlamento libico Bashagha, che riteneva l’accordo sottoscritto illegale e dunque inaccettabile. A tale accordo si sono anche opposte l’Unione Europea e la Grecia per l’interpretazione che veniva fatta sui confini delle esplorazioni marittime. La Turchia giustifica invece l’accordo interpretandolo come una continuazione di quello già sottoscritto nel 2019, che però a suo tempo era stato ugualmente fortemente criticato da diversi Stati e dall’UE, in quanto non rispettava le varie convenzioni internazionali sulla Legge del Mare.
L’Egitto, fortemente schierato col governo presieduto da Fathi Bashagha, si oppone a Dbeibah e quando nella riunione della Lega Araba del 6 settembre 2022 Najla Mankouch, ministra degli esteri del Governo libico di Tripoli, è stata chiamata a presiedere i lavori dell’assemblea, la delegazione del Cairo si è allontanata dall’aula in segno di non riconoscimento del governo di Unità Nazionale della Libia. La ministra ha potuto continuare a presiedere l’assemblea grazie all’intervento dei delegati degli Emirati Arabi Uniti. Ciò non deve però meravigliare, poiché l’Egitto è stato sempre vicino al governo di Tobruk, territorialmente confinante, e attualmente presieduto da Fathi Bashagha.
In Tunisia il Presidente Saïed ha ben accolto la rappresentante del governo Nazionale Libico, territorialmente confinante con la Tunisia, evidenziando i legami di stima e di cooperazione che esistono tra i due Paesi. Per l’Algeria, i ministri dell’economia e del commercio del governo libico di unità Nazionale (GUN) e quello algerino si sono incontrati prima della riunione della Lega Araba discutendo concrete ipotesi di sviluppo commerciale tra i due Paesi. Un incontro che potrebbe fare sperare in un auspicabile distensione anche tra l’Algeria e il Governo di Unità Nazionale libico sostenuto dell’ONU.
Anche la Russia e gli USA hanno un ruolo di gande importanza nell’attuale situazione libica. La Russia, che da anni sostiene Khalifa Haftar assieme ai siriani, appoggia il suo Esercito Nazionale Libico (LNA) della Libia Orientale (Cirenaica) e mira a ripristinare la sua rappresentanza diplomatica in Libia, come dichiarato dall'inviato russo in Medio Oriente e Africa, Mikhail Bogdanov2, all'agenzia di stampa Russian Tass: «È molto importante lavorare sull'intero territorio libico e riportare la nostra presenza a quella che era prima dello scioglimento dell'ex Unione Sovietica».
Gli USA, sostenuti apertamente anche dalla Turchia, sostengono il governo di Tripoli (GNA) nella Libia occidentale con l’accordo anche di Francia, Germania, Italia e Regno Unito. Con questi ultimi Paesi gli USA hanno rilasciato una dichiarazione comune con la quale diffidano gli «individui o le entità, all’interno o all’esterno della Libia, che ostacolano o minano il completamento positivo della transizione politica da parte della Libia, possono essere designati dal Comitato per le sanzioni in Libia del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite», come riportato nell’articolo “Libia: dichiarazione congiunta Francia, Germania, Italia, Regno Unito e USA”, pubblicato online sul “Giornale Diplomatico” il 04 marzo 2022.
A completare la descrizione sommaria del quadro politico libico, già di per sé abbastanza complesso, intervengo gli aspetti religiosi del mondo musulmano, che sono di grande importanza e in alcune situazioni sono anche determinanti sulla stabilità dei Paesi dove prevale l’Islam. Nel caso della Libia, ad esempio, Turchia e Qatar, che sostengono il governo di Tripoli, sono schierati per la fratellanza musulmana che è fortemente ostacolata da Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita e Egitto che sostengono Haftar e quindi il governo di Tobruk.
Riflessioni finali
La crisi generale libica, per quanto sopra descritto, può essere addebitata principalmente a tre cause in buona parte collegate:
- La crisi politica. Questa è dovuta alla divisione della struttura tribale tra parte orientale e occidentale del Paese, alla difficoltà di fare le nuove elezioni, alla frammentazione politica della popolazione, alle diverse “protezioni” internazionali di Paesi talvolta tra loro in forte tensione, e forse in buona parte è dovuta alle ambizioni sfrenate di soggetti fortemente discussi che concorrono alla formazione di un nuovo governo unitario;
- La crisi energetica. Da una parte causata dalla cattiva gestione degli impianti di produzione dell’energia elettrica, in parte al forte calo di estrazione degli idrocarburi.
- La crisi economica. La guerra in Ucraina ha causato un forte calo del Pil e un vertiginoso aumento del costo delle risorse alimentari provenienti perlopiù nei due paesi in guerra.
Sono queste tre componenti della crisi generale che hanno causato disagi alla popolazione alimentando ondate di proteste e impedendo la nascita di un nuovo unico governo.
Le azioni promosse per una politica di armonia e di pace in Libia sono sempre criticate positivamente, anche se solo raramente sono dettate da spirito umanitario. È probabile che il tentativo della Russia di intervenire sul “problema Libia” direttamente o indirettamente tramite i miliziani Wagner3 , abbia un obiettivo ben più ampio di quello che formalmente appare. È infatti legittimo ipotizzare che tale tentativo sia rivolto principalmente a ridimensionare il potere degli USA e della NATO nel Mediterraneo, col sostegno, anche se non sempre ufficiale, della Cina. Sono mire espansionistiche, sicuramente pericolose, che potrebbero minare non solo l’attuale precario equilibrio euro-mediterraneo, ma anche quello mondiale.
La posizione geografica della Libia è sempre più appetibile, poiché rappresenta un punto di osservazione privilegiato per il Mediterraneo e per l’uso delle basi navali militari. Un accordo tra le parti libiche che si contrastano sembra oggi difficile. In Libia è ancora fortemente radicato il clientelismo tribale, vige una forte corruzione e il controllo di diverse parti del territorio avviene con forze armate. Inoltre, la composizione della popolazione attraverso la miriade di tribù esistenti, gli interessi elevatissimi sulle riserve di petrolio e gas, la posizione strategica mediterranea e la strada ancora oggi preferita dai flussi migratori provenienti dall’Africa subequatoriale fanno della Libia un Paese di difficile controllo, fortemente instabile e strategico per gli equilibri di pace nel Mediterraneo.
Per potere sperare nell’unificazione della Libia sono indispensabili vari elementi: una prioritaria unificazione del controllo delle fonti petrolifere e del gas, l’armonizzazione di aspetti religiosi all’interno del Paese ancora fortemente contrastanti e la sottoscrizione di un accordo solido tra le parti oggi in opposizione condiviso anche dai Paesi che oggi sostengono i due governi.
L’utilizzo delle grandi potenzialità estrattive della Libia è di interesse generale e ad esso sicuramente aspirano tutti i Paesi attori in questo grande teatro libico, dove ognuno recita la sua parte. Ma è un’aspirazione comune far riprendere la Libia dalla pesante crisi in cui versa. Da non sottovalutare infine che il perdurare di questa situazione caotica e instabile potrebbe alimentare la nascita e/o il mantenimento di terroristi e in particolare di quelli guidati dal fondamentalismo islamico.
Allo stato attuale all’orizzonte sembra di assistere a inviti rituali a collaborare per il raggiungimento di un futuro politico di pace e di repressione verso chi minaccia la stabilità con la violenza o con l’istigazione. Purtroppo, spesso tali inviti restano una semplice enunciazione di principi, mentre, di fatto, non si intravedono ancora oggi spiragli di azioni concrete e attuabili che possano smentire il triste “anatema di Gheddafi”.
Note
1 Eni S.p.A., Ente Nazionale Idrocarburi, è un'azienda multinazionale creata dallo italiano che opera nei settori del petrolio, del gas naturale, della chimica, della biochimica, della produzione e commercializzazione di energia elettrica da combustibili fossili, da cogenerazione e da fonti rinnovabili.
2 Tale dichiarazione è riportata nel “The Libya Obsever” del 05 ottobre 2022 nell’articolo “La Russia cerca di ripristinare l'influenza in Libia”.
3 Organizzazione paramilitare russa protagonista nell'offensiva russa in Ucraina. L’organizzazione è stata presente anche in diverse guerre civili come in Libia, Siria, nella guerra in Mali, ecc. sempre a supporto di forze filorusse.