In questi ultimi tempi si sono moltiplicate azioni di protesta nei musei, contro l’utilizzo di fonti energetiche fossili. Ovviamente il tema è serio, l’incidenza dell’inquinamento - e più in generale dell’antropizzazione selvaggia del pianeta - si fa sentire in misura crescente, e sarebbe opportuno che venisse affrontato in modo responsabile, coinvolgendo non solo i governi, e non solo l’occidente.
Purtuttavia, questa azioni recenti si prestano a qualche riflessione. Una prima, forse maligna, è che la scelta operata nasca da una sorta di fastidio, per il fatto che la guerra - come già prima la pandemia - abbia oscurato mediaticamente la questione dei cambiamenti climatici. Mentre infatti tradizionalmente i movimenti ambientalisti hanno sempre legato le proprie azioni alle controparti, fossero esse istituzionali o private, in questo caso la scelta di agire nei musei, e ‘contro’ famose opere d’arte, sembra più che altro rispondere ad una logica di marketing.
Se guardiamo alla storia recente dei movimenti ambientalisti, diciamo dall’apparizione della figura di Greta Thunberg in poi, appare evidente come questi siano sempre più caratterizzati da una partecipazione adolescenziale; che se da un lato è certamente una cosa positiva, poiché segnala la sensibilità delle nuove generazioni, dall’altra finisce però col portare con sé anche i tratti di inesperienza ed immaturità che dell’adolescenza sono caratteristici. Che, ovviamente, li rende facilmente manipolabili.
Già la stessa esplosione mediatica del fenomeno Greta è, in sé, un indizio in tal senso. Solo con la grande ingenuità di un adolescente si può credere che, a proiettarla dai sit-in al Riksdag di Stoccolma sino all’assemblea generale dell’ONU, siano stati semplicemente il suo candore e la bontà delle sue idee. Con tutta evidenza, questi elementi sono stati utili per la ‘caratterizzazione’ del personaggio (le treccine, la sindrome di Asperger...), ma il fattore determinante, quello che ha spinto i media occidentali ad innalzarla sulla cresta dell’onda, è stata la coincidenza tra la sua spinta simbolica e gli interessi di potentissimi gruppi economici globali (che direttamente o indirettamente controllano i media), i quali puntano ad una radicale ristrutturazione dell’economia e della società, caratterizzata tra l’altro da un’impronta ‘green’.
Una volta esaurita quella spinta, o meglio, una volta che ha raggiunto gli scopi per i quali fu usata, ecco che Greta scompare dal proscenio mediatico. Certo anche grazie a due fenomeni epocali come SARS-COV19 e guerra in Ucraina, che non solo hanno azzerato mediaticamente ogni altra ‘emergenza’, ma che - soprattutto la seconda - in virtù delle scelte politiche fatte ha determinato un’inversione di rotta in campo energetico, rilanciando in grande stile le fonti fossili.
In termini più generali, la questione si pone oggi in termini contraddittori, ed ha necessariamente più piani di lettura. È evidente che esistono, a livello di economia globale, interessi contrapposti, tra chi intende puntare sul ‘green’ come volano di una nuova rivoluzione industriale, e chi è invece legato alle fonti energetiche fossili. I gruppi portatori di questi interessi si collocano comunque all’interno del medesimo mondo capitalistico-occidentale, e quindi non solo i reciproci equilibri sono mutevoli, ma risentono appunto anche dei condizionamenti esterni - la crisi energetica conseguente alle sanzioni anti-russe, ad esempio, da un lato spinge verso un ritorno all’energia fossile, dall’altro è cavalcata per forzare, anche traumaticamente, una transizione verso un nuovo modello socio-economico.
Al tempo stesso, mentre una parte dei paesi occidentali - o meglio, delle loro elite economico-finanziarie - intende accelerare questa transizione, anche a costo di imporre sul breve-medio termine enormi danni sociali, le economie dei paesi emergenti in Asia, Africa ed America Latina, che non sono in condizione di affrontare oggi questa transizione, non intendono rinunciare al benessere che può derivare loro dal proseguire uno sviluppo economico basato sulle fonti fossili.
Si tratta, insomma, di una questione assai complessa, sotto molti punti di vista, che non può essere né affrontata né risolta con un approccio semplicistico, idealistico e massimalista. E che non può esserlo nemmeno a macchia di leopardo, qui si e lì no. Un approccio ragionevole non può quindi che essere meditato, ben calibrato nei tempi, coordinato a livello quanto più ampio possibile, e soprattutto senza scaricare sulle fasce più fragili della popolazione i costi di una accelerazione inevitabilmente traumatica. Anche se certamente determinato.
Tornando quindi ai musei, ed alle azioni di protesta, difficile non coglierne le innumerevoli ingenuità. Ovviamente siamo di fronte a ragazzi in perfetta buona fede, convinti di fare non solo la cosa giusta, ma anche di fare un’azione ‘di rottura’. Sfortunatamente, non è per nulla così. Ci vuole davvero l’ingenuità di un adolescente, per credere che si possa effettuare una protesta del genere senza il placet di fatto delle istituzioni museali stesse. Perché è evidente che di certo non passa inosservato l’arrivo massiccio di fotografi e videoperatori, così come è evidente che opere così importanti come ‘I Girasoli’ di Van Gogh sono attentamente vigilate da presso. Gli stessi filmati delle proteste dimostrano che si sono svolte senza alcun impedimento. Che è come dire fare la rivoluzione col permesso della questura... Meglio poi tacere sull’esibizione in favore di camera della lattina di zuppa Heinz, una sfacciata operazione di marketing - non si sa bene se fatta anche questa ingenuamente, o perché preordinata da qualcuno che ingenuo non è, e magari ha ricevuto un bel contributo. Del resto, difficile credere ad un caso, visto che proprio la zuppa di quella marca è stata usata sia alla National Gallery di Londra che al Museo dell’Aja.
Non da meno è la questione della simbologia utilizzata. Porre in contrapposizione, sia pure, appunto, solo simbolicamente, l’interesse e l’amore per l’arte con quello per l’ambiente ed il pianeta è, francamente, un’operazione completamente errata. Non solo sul piano della comunicazione - laddove infatti il dibattito susseguente è stato sulle implicazioni del gesto e non sulle sue motivazioni - ma proprio concettualmente. Testimonia una incomprensione dell’arte, del suo significato più profondo - della sua storia, del suo valore culturale...
Insomma, ed ancora una volta, entra in azione l’ingenuità dell’adolescenza. La spinta ideale ed etica che viene dalle giovani generazioni, le loro legittime preoccupazioni e domande sul proprio futuro, non possono e non devono né essere ignorate, né essere strumentalizzate. Proprio per questo devono essere accolti in un processo di elaborazione, capace di far emergere risposte efficaci ma rispettose non solo del domani remoto ma anche del presente e del futuro prossimo, non inseguite furbescamente.