Durante l’arco temporale del suo impero (54-64 d.C.) Nerone si era posto come interprete di una nuova mentalità che proponeva un rinnovamento attraverso due valori: il luxus e l’agon. Il fasto con la sua manifestazione di splendore doveva caratterizzare la città di Roma, dominatrice del mondo, e il momento più alto di questa visione si realizzò con l’edificazione della Domus Aurea Neronis.
Del fasto della Casa d’oro imperiale una delle testimonianze meglio conservate è la decorazione pittorica del padiglione lungo circa 300 metri posto sul colle Esquilino, giunta sino a noi quasi nel suo originario nucleo. Vi sono conservati dipinti del III e del IV stile, ascrivibili al periodo dal 64 al 68 d.C., anno della morte dell’imperatore romano, l’ultimo appartenente alla dinastia giulio-claudia.
Purtroppo la Domus Aurea venne presto sacrificata dalle Thermae Titi che l’imperatore Tito (79-81) fece realizzare sopra la Casa d’oro. A seguire la costruzione delle Thermae Traiani dedicate a Traiano nel 109 occuparono la sommità del Colle Oppio.
La Domus Aurea andò in rovina e venne quasi completamente interrata, soltanto intorno al 1480 fu svegliata dal lungo sonno, quando alcuni artisti si calarono in quelle grotte rimanendo sbalorditi nel vedere alla fioca luce delle torce quei meravigliosi affreschi.
I grandi maestri del tempo presero a modello quei dipinti riproponendoli nei palazzi delle corti italiane e straniere: nasceva così il genere di pittura a grottesche. Molti furono i pittori che ebbero da quelle grotte fonte d’ispirazione, Raffaello, Giulio Romano, Giovanni da Udine, Pinturicchio, Perin del Vaga, Pirro Ligorio, Signorelli e molti altri.
Alla diffusione delle pitture della Domus tra il Settecento e l’Ottocento ha contribuito la produzione di acquerelli ed incisioni a partire dal Recueil de peintures antiques del conte di Caylus illustrato con riproduzioni di disegni acquerellati da Pietro Santi Bartoli.
Nel 1776 Ludovico Mirri editò album contenenti i fogli dipinti in quattro anni da tre pittori (Brenna, Smuglewicz e Carloni) con l’errata attribuzione di Vestigia delle Terme di Tito e loro interne pitture. Giovanni Volpato, tra il 1772 e il 1776, realizzò tre volumi con la serie delle incisioni riproducenti gli ornati dei pilastri delle Logge di Raffaello. Con Volpato collaborarono l’incisore Giovanni Ottaviani, l’architetto Pietro Camporese e il pittore Gaetano Savorelli.
Le riproduzione delle antiche pitture influenzarono fino alla metà dell’Ottocento la società e il gusto, tanto da trovarle impresse sui soffitti, sui muri, sui mobili, sulle carrozze.
La mostra
Al Museo Civico Archeologico di Anzio è attualmente esposta la mostra Domus Aurea le grottesche. La riscoperta della pittura antica attraverso le incisioni e gli acquerelli dal XVII al XIX secolo. La cura della straordinaria esposizione è di Clemente Marigliani, studioso molto apprezzato per le sue pubblicazioni scientifiche e per essere l’ideatore e il titolare della Biblioteca Clementina di Anzio. Tutte le incisioni e gli acquerelli esposti in mostra e pubblicati nel relativo catalogo delle Edizioni Tipografia Marina di Anzio provengono dalla sua Biblioteca.
La mostra annovera alcune sezioni, la prima è La riscoperta della pittura antica ed il suo impiego tra il Quattrocento e il Cinquecento. Probabilmente intorno al 1480 avvenne la scoperta della Domus Aurea, anche se a lungo non si comprese che quella era la reggia fatta costruire dall’imperatore Nerone. Si apriva così un lungo periodo di fioritura per la decorazione a grottesche, tra le più note le Logge del cortile di San Damaso in Vaticano iniziate nel 1508 da Donato Bramante per ordine di Giulio II della Rovere e terminate da Raffaello Sanzio.
La fortuna grafica della pittura antica tra Sei e Settecento è il titolo della seconda sezione. Il professore Marigliani delinea in particolare Pietro Santi Bartoli (1635-1700), una delle personalità che maggiormente hanno contribuito alla diffusione dei monumenti e dei dipinti antichi. La sua attività di incisore-antiquario al servizio dei papi e della regina Cristina di Svezia ha lasciato una vasta produzione attraverso ricostruzioni riprodotte su stampe delle antichità romane spesso in collaborazione col Bellori.
Giuseppe Vasi, Giovanni Battista Piranesi, Ludovico Mirri
In L’apogeo della pittura antica nel Settecento e nei primi anni dell’Ottocento incontriamo due grandi maestri dell’incisione: Giuseppe Vasi (1710-1780) e Giovanni Battista Piranesi (1720-1778). Le opere dei due incisori assumono il carattere dell’esaltazione di Roma, di documento da proporre ai viaggiatori del Grand Tour. Tra il 1747 e il 1761 il Vasi compiva la sua opera Delle Magnificenze di Roma antica e moderna comprendente duecento tavole in dieci libri.
L’opera più importante di Piranesi, le Vedute di Roma, usciva nel maggio del 1756 in quattro tomi in folio comprendenti 61 pagine di testo e 216 tavole. Grazie alle incisioni del Piranesi, il 9 settembre 1786, Johan Wolfgang Goethe (1749-1832) decise di intraprendere il famoso viaggio in Italia. Da Roma Goethe scriveva: “Altrove bisogna cercare ciò che è notevole, qui invece ne siamo oppressi e sopraffatti”.
Nella sezione della mostra L’album delle cosiddette Terme di Tito e loro interne pitture si analizza l’opera di Ludovico Mirri, mecenate, mercante di quadri, abitante presso la chiesa di Sant’Andrea delle Fratte, che verso il 1774 intraprese degli scavi allo scopo di pubblicare e vendere incisioni riproducenti gli elementi copiati dalla Domus Aurea. La raccolta comprendeva sessanta tavole di notevoli dimensioni (cm 54 circa di altezza, per 58 di lunghezza le più piccole e cm 85 le più grandi) accompagnate dal commento di un erudito romano, l’abate Giuseppe Carletti. “I visitatori appassionati di archeologia, di pittura e di avventura si addentravano tra le rovine dalla sommità del Parco Oppio, e penetravano nelle camere attraverso le aperture scavate nei soffitti a volta o nella parte superiore delle pareti. Alcuni di essi hanno lasciato una traccia commovente del loro passaggio con iscrizioni”.
L’album del Louvre
Tra i vari album che riproducono gli affreschi della Domus Aurea straordinario è quello del Louvre, sul cui dorso è scritto in lettere d’oro: Miniatae à Rome Piéces 60. Sequins 250. Le sue tavole sono interamente ricoperte di tempere di grande freschezza e di effetto notevole. L’album è composto di tre gruppi di acqueforti: innanzi tutto la tavola del frontespizio con il titolo e due piante acquarellate con tocchi di tempera, di cui la prima mostra le camere sotterranee della Domus, visitabili nel XVIII secolo, la seconda le terme vere e proprie.
Il secondo gruppo consiste di venticinque fogli raffiguranti la decorazione delle volte, interamente o parzialmente sviluppata in piano, e quella delle pareti laterali e delle lunette. Questi motivi, formati da molteplici ramificazioni di grottesche, restituiscono perfettamente la struttura decorativa degli affreschi antichi.
Infine, l’ultima parte, la più spettacolare, presenta trentadue tavole superbamente colorate a tempera raffiguranti i principali quadri dipinti sulle volte delle camere, incorniciati da una splendida bordure di grottesche. Tra queste sala della volta delle civette, sala della volta dorata, sala della volta nera.
Conclusioni
Tra il Cinquecento e il Settecento le grottesche ebbero una grande fortuna critica e furono al centro di varie dissertazioni ad iniziare dal Vasari. Durante il Seicento e, in particolare, nella seconda metà del secolo, si assiste ad una evoluzione dello studio iconografico dell’antico. Tuttavia è soprattutto nel Settecento che il collezionismo di pittura antica in copia acquerellata conosce una vera passione e le rappresentazioni della Domus Aurea Neronis erano oggetto di un vero e proprio culto. Naturalmente le rappresentazioni tenevano conto del nuovo gusto imperante dettato da Johann Joachim Winckelmann (1717-1768), cioè un mondo classico euritmico e aureo che chiedeva una produzione figurativa forte con colori brillanti e perfezione grafica.