Guerra e Pace è il romanzo-mondo di Tolstoj. Nelle settimane che ho passato a leggerlo ho vissuto una vita raddoppiata. La prima vita era scandita dagli impegni quotidiani, ravvivata dalla compagnia dei familiari e degli amici, intessuta di momenti difficili e di svago. Poi aprivo il libro e cominciava la seconda vita: grazie all’occhio indiscreto di Tolstoj, mi catapultavo all’inizio dell’800 per lasciarmi sedurre dal fascino di Natal’ja che con spontaneità e grazia superava ogni situazione; seguivo con una certa apprensione le avventure del principe Andrej che con l’eccitazione della guerra compensava le disillusioni matrimoniali; infine, mi interrogavo su che possibilità avesse il giovane Serge nel superare i propri dubbi e portare a buon fine i suoi progetti.

Certamente non ho letto per conoscere la campagna di Russia di Napoleone, né le abitudini della nobiltà russa del primo ottocento. Per questo scopo sarebbero stati più efficaci libri di storia e di sociologia. Ho letto Guerra e Pace non per sapere, ma per piacere.

Sempre per piacere, mentre ero a Washington per impegni di lavoro, ho rubato un paio d’ore per stare in compagnia de Le déjeuner des canotiers, dipinto da Auguste Renoir nel 1880-81, ora presso la collezione Phillips.

Un incontro desiderato da tempo, avendo letto il romanzo della Vreeland che ne immagina la realizzazione, il testo di Sue sulla vita dei pittori impressionisti, e la biografia di Auguste Renoir scritta dal figlio, il famoso regista Jean Renoir1 .

Il dipinto mostra un gruppo di amici che, appena terminato di pranzare su una terrazza in una bella giornata estiva, si gode il piacere di conversare e stare insieme. Insomma, niente di epico o di spettacolare, nessun messaggio religioso, nessuna rappresentazione di virtù civiche. La scena è un semplice episodio di vita di giovani borghesi della Parigi fin-de-siecle. Eppure, non riuscivo a sottrarmi al fascino del dipinto, al senso di leggerezza, vivacità e gioia che l’opera mi trasmetteva.

Ho passato anni a rimuginare su quell’esperienza estetica. Quello che ho capito può essere riassunto in tre passaggi. Per il primo mi affido alle efficaci parole di Paolo D’Angelo:

L’attività estetica, insomma, ci si sta mostrando sempre più come un esercizio parallelo dell’esperienza, a un suo funzionamento per così dire ‘a vuoto’, ma carico di conseguenze. La duplicazione dell’esperienza che ha luogo in essa, infatti, permette non solo di mantenere efficienti le nostre capacità, ma anche di creare un’anticipazione di esperienza (imparo a confrontarmi con varie possibilità), e al tempo stesso una intensificazione di essa (mi concentro su determinati aspetti di quello che accade) e una riserva di esperienza (tramite l’attività estetica posso entrare in contatto con tante situazioni che non ho potuto effettivamente esperire)2 .

In sostanza, l’esperienza di un’opera d’arte è una sorta di esperimento che l’homo sapiens ha inventato per tenere in esercizio la capacità cognitiva più sofisticata: immaginare mondi nuovi, andando oltre la semplice rappresentazione dell’esistente.

Il secondo passaggio è relativo alla natura della conoscenza personale. Per lungo tempo si è data una importanza spropositata alla conoscenza razionale. Una conoscenza che coinvolge la memoria, l’attenzione, il linguaggio, che fa uso di strutture di pensiero quali il ragionamento logico, l’argomentazione, la computazione, la modellizzazione matematica e statistica, il metodo deduttivo-induttivo.

La conoscenza emozionale, quella relativa all’espressione di stati d’animo, alle reazioni istintive, ai sentimenti, alle sensazioni corporee è stata considerata una conoscenza che, pur dando sapore e valore alla vita, purtroppo non è affidabile, perché inquinata dalla soggettività e dalle passioni. Così, le emozioni hanno ricevuto l’attenzione della letteratura e delle arti, ma scarsissimo rilievo nelle analisi scientifiche. Ancora oggi si insegna nelle scuole di economia che le buone decisioni sono quelle non inquinate dalle emozioni. Poi, grazie alle ricerche degli psicologi cognitivi e dei neuroscienziati, si è capito che il cervello razionale non è separato da quello emozionale3. Una mente razionale non decide se non riceve un impulso emotivo. Infatti, nella vita di ogni giorno utilizziamo scorciatoie intuitive, accuratamente selezionate dall’esperienza, in cui reazioni emotive sono integrate con ragionamenti analitici. E fu proprio la cooperazione tra ragione ed emozione ci ha permesso 70.000 anni fa di sviluppare la capacità squisitamente umana di immaginare mondi nuovi e simulare nuove esperienze, sottraendoci alla tirannia di quello che già sappiamo.

Il terzo passo può essere riassunto: l’uomo ha inventato l’arte come mezzo per allenare le nostre abilità cognitive, quelle implicite, che si manifestano nelle emozioni, e quelle esplicite che si manifestano nella osservazione analitica e nel ragionamento. Il contatto con un dipinto, una musica, un balletto, un’opera teatrale, un film sollecita le nostre abilità di comprensione, richiede di immergerci nell’esperienza, di godere dei dettagli, di seguire il flusso delle sensazioni. Mentre vivevo le peripezie di Natal’ja e Serge in Guerra e Pace imparavo a dominare i miei sentimenti. Quando, osservando Le Dejeuner des Canotiers, sono stato rapito dalla giovane Aline Charigot che gioca col suo cagnolino, stavo allenando la mia capacità di utilizzare i dati dell’esperienza.

I grandi scrittori e i grandi artisti hanno una capacità quasi magica di tradurre le abilità cognitive, di cui tutti siamo dotati, nelle strategie compositive dell’opera: in trame, in immagini, in spartiti musicali, in sculture, in coreografie. E, quando entriamo in sintonia con un’opera d’arte, facciamo qualcosa di ugualmente magico: usiamo l’esperienza sensoriale dell’opera d’arte per risvegliare l’abilità immaginativa che le abitudini di pensiero e di comportamento ha assopito.

Insomma, per dirla tutta, l’arte è la palestra più efficace per imparare a immaginare un mondo nuovo. Non possiamo farne a meno, oggi più che mai.

Note

1 Susan Vreeland, La vita moderna, Beat, 2019; Sue Roe, Impressionisti. Biografia di un gruppo, Editori Laterza 2009; Jean Renoir, Renoir, mio padre, Adelphi, 2015.
2 Paolo D’Angelo, Estetica, Milano, Laterza, 2011, pag. 83.
3 Antonio R. Damasio, L'errore di Cartesio. Emozione, ragione e cervello umano, Adelphi, 1995; Putnam, L. L., & Mumby, D. K. (1993), “Organizations, emotion and the myth of rationality”, in S. Fineman (Ed.), Emotion in organizations (pp. 36–57). Sage Publications, Inc.