Come si racconterebbe?
Mi racconto come donna che accetta il progressivo sfiorire, ma attenta a che la natura possa rifiorire nel suo ciclo continuo che ammanta e nutre il pianeta. La mia occupazione centrale è stata l’insegnamento e, come dicono gli inglesi, “Once a teacher, forever a teacher”. Quindi il mio focus primario verte sull’impegno di disegnare un futuro sostenibile per le giovani generazioni. Ne derivano scelte di vita quali una alimentazione mirata a eliminare o almeno a ridurre gli allevamenti intensivi, nocivi agli animali e inquinanti per l’habitat. Bisogna ideare “ricette per la Terra” che dall’aspetto gastronomico si estendano a includere cicli agroalimentari rispettosi dell’ambiente e della piccola economia di una produzione non industriale bensì locale, regionale, contadina.
La passione per le lingue straniere e quella per il sociale sembrano essere un continuum...
Le lingue sono il migliore veicolo di comunicazione. Se le arti visive e la musica trasmettono emozioni e messaggi, è però l’articolazione della parola a dar forma chiara e ben definita al pensiero. Per questo amo la letteratura sopra ogni cosa. Preferenze? Jane Austen, Elizabeth Gaskell, Virginia Woolf, Doris Lessing, Agatha Christie, Louisa May Alcott, Dorothy Parker, Katherine Mansfield, Ernest Hemingway… Sì, un autore piuttosto macho tra donne di genio, e la scoperta di uno stile asciutto che giunge al nocciolo dei concetti con lucido risparmio di orpelli. Le lingue permettono molteplici livelli di comunicazione fra persone di origini diverse e questo è un arricchimento che entra in profondità nelle culture con cui ci si relaziona. Superare lo stadio primitivo della pura gestualità per allacciare rapporti di spessore umano e culturale ci eleva a una maggiore completezza dell’essere.
E poi compare il teatro di figura: di cosa si tratta?
Proprio grazie alla conoscenza delle lingue è iniziato il mio rapporto con la Compagnia Marionettistica Carlo Colla & Figli che porta in giro per il mondo i suoi spettacoli favolosi. Veniva utile avere i testi delle rappresentazioni anche in inglese e così sono nate le versioni Sleeping Beauty, messa in scena a Broadway, a Boston, al Festival dei Due Mondi Spoleto-USA di Charleston, nel Sultanato di Oman. Poi si sono aggiunte The Treasure Island, The Pied Piper… Questa esperienza eccezionale mi ha dilatato lo sguardo dal teatro di persona al teatro di figure di legno che diventano attori e attrici a tutto tondo. Fondali, colonne sonore, costumi, parrucche, materiali scenografici sono opera della Compagnia che esiste fin dal tardo Settecento e crea ogni cosa artigianalmente nei propri atelier del MUTEF (Museo del Teatro di Figura), attiguo al MUDEC e ai Laboratori del Teatro alla Scala Ansaldo. Il vastissimo repertorio spazia dall’opera lirica (Trovatore, Aida, Turandot, Rinaldo…) ai drammi shakespeariani (Macbeth, Tempesta tradotta in napoletano antico e recitata da Eduardo De Filippo, Sogno di una notte di mezza estate…), intervallando Goldoni, Commedia dell’Arte. E principalmente le fiabe (Hänsel e Gretel, Bella addormentata, Pifferaio magico, Gatto con gli stivali, Pinocchio…). È un genere letterario che ho sempre amato, anche e soprattutto se rivolto al gusto di un pubblico non esclusivamente dell’infanzia. In questo senso memorabile è la resa cinematografica di Pelle d’Asino con Catherine Deneuve, Jean Marais, Micheline Presle, Jacques Perrin, Delphine Seyrig, per la regia di Jacques Demi. Musiche e costumi mozzafiato sullo sfondo del castello di Chambord, evocativo della monarchia francese, del Re Sole, alla cui corte cominciò a diffondersi la moda letteraria dei cosiddetti racconti di fate soprattutto per merito di Charles Perrault. Eugenio Monti Colla, fondatore e presidente della Compagnia attuale, attingeva alle fiabe d’autore con rigore filologico, solo talvolta introducendo un finale più vicino alla sensibilità del nostro tempo. Era il maître sul cui giudizio si costruiva l’intero spettacolo, fino ai più minuti dettagli sulla scelta di passamanerie, pizzi, tessuti.
Mi affascina la storia del costume, tanto che con passione mi adoperai nell’organizzazione di una sfilata che si tenne alla Casa delle Donne di Milano il 17/04/2018 in memoria di Rosa Genoni, pacifista, femminista, stilista inventrice del made in Italy, legata all’Unione Femminile e all’Umanitaria. Per coniugare impegno sociale e creatività coinvolsi nell’iniziativa lo Sprar di Villa Amantea, centro di aggregazione giovanile che offre assistenza legale ai migranti e accoglienza a richiedenti asilo, rifugiati e minori. Sfilarono quindi come indossatrici improvvisate le ragazze dello Sprar, in prevalenza senegalesi, e per gli abiti si scelse di ibridare le colorate stoffe wax africane con qualche accessorio europeo, in omaggio a Karen Blixen. Sempre insieme a Villa Amantea organizzai alla Casa delle donne la festa per la soppressione del rito juju che i trafficanti di esseri umani sfruttavano per ricattare le ragazze nigeriane promettendo lavoro in Europa, ma poi obbligandole a prostituirsi per pagare il costo del viaggio, pena la maledizione di morte sulle loro famiglie rimaste nei villaggi.
È socia fondatrice della Casa delle donne, ce ne vuole parlare?
Molti dei miei ricordi più belli sono legati alla Casa delle donne di Milano, perché l’ho vista nascere quando era ancora un piccolo embrione. A seguito delle elezioni comunali del 2011, Anita Sonego divenne Presidente della Commissione Pari Opportunità e subito lanciò un appello convocando 9 Assemblee delle Donne da cui si svilupparono i “Tavoli delle donne” che si occuparono di salute, lavoro, spazi cittadini. Io partecipai a Spazi e dopo mesi di assemblee e riunioni maturò il progetto della Casa delle donne. Con quel nome fondammo una associazione di promozione sociale e partecipammo al bando comunale che nel giugno 2013 ci diede in concessione l’ex scuola di via Marsala 8, dopodiché il 18 e 19 gennaio 2014 ci fu l’open day della Casa delle donne, ufficialmente inaugurata poi nella data simbolica dell’8 marzo 2014. Innumerevoli sono le attività svolte negli ampi locali, ristrutturati e abbelliti da volontarie: riunioni, corsi di ben-essere, conferenze. Io ho scelto subito il gruppo denominato Città bene comune, che in piena epoca covid ha deciso di trasformarsi nel tavolo I CARE, un modulo trasversale tra i gruppi che raccoglie le molteplici istanze legate alla pratica della cura intesa nel suo senso più ampio, come compito espletato in maggioranza dalle donne.
Ha contribuito anche a fondare l'associazione Il Governo di Lei. Quali sono gli obiettivi, le caratteristiche, le attività che la caratterizzano?
Governo di Lei è un’associazione femminista ambientalista, a struttura orizzontale e inclusiva, dichiaratamente ispirata ai principi del pacifismo. Purtroppo molti sono gli ostacoli da superare, tra cui la frammentazione del femminismo in una serie di microrealtà che non sempre riescono a fare massa critica e ad avere peso politico, finendo per assecondare il gioco di chi nei partiti (tutti) promuove da sempre la leadership maschile e perpetua la società patriarcale. Ma questo, lungi dallo scoraggiarci, diventa un motore propulsivo.
Ci ispiriamo a un metodo di lavoro femminista, tollerante, aperto, pacifista, antifascista, libero da personalismi e leaderismi, finalizzato alla valorizzazione dei contributi delle donne tramite buone pratiche di confronto che minimizzino i contrasti, in modo da far emergere il protagonismo femminile come soggetto politico. Ecco perché ci chiamiamo Governo di Lei.
Qui si coniuga la sua attenzione per il femminile ed il sociale, il suo essere “careful”, piena di cura per la condizione delle donne e per l'ambiente.
Sono grata alla meglio gioventù che sull’esempio di Greta Thunberg ha colto il grido di allarme della Terra e sta sollecitando i governi a intraprendere misure significative e immediate di salvataggio della natura e dei beni comuni. Partecipo al Comitato Milanese Acquapubblica che in azione congiunta con il Forum dei movimenti per l’acqua ha promosso il referendum del 2011 contro la privatizzazione di questo bene comune universale e continua a diffondere la consapevolezza che la crisi idrica è il più drammatico segnale di cambiamenti climatici devastanti. Il nostro comitato è uno dei tanti presenti a Milano, collegati in una rete di ascolto reciproco e di forze coese per individuare i punti critici delle proposte di legge e individuare soluzioni rispettose dell’ambiente, della convivenza civile, della pace fra i popoli.
L'associazione di Toponomastica femminile cosa si prefigge? Quale è il suo ruolo?
Toponomastica femminile si è formata nel 2012 a seguito di una constatazione semplicissima che chiunque può verificare camminando per strada: le targhe delle vie commemorano quasi esclusivamente personaggi maschili. Nel 2012 un nutrito gruppo di volontarie organizzò un censimento di portata nazionale, contattando un altissimo numero di Comuni per recuperare le percentuali di nomi femminili negli stradari. Ne risultò un desolante 4%. Di fronte a questa offensiva “cancellazione” fu inviato ai sindaci il progetto “3 strade, 3 donne” in cui si chiedeva un cambio di rotta che iniziasse proprio in concomitanza con l’8 marzo successivo tramite la triplice intitolazione a una figura femminile locale, una nazionale, una straniera. Da allora si sono moltiplicate le iniziative, coinvolgendo spesso le scolaresche: convegni, mostre fotografiche, il concorso “Sulle vie della parità”, biciclettate, spettacoli teatrali… L’obiettivo è sempre la valorizzazione di donne eccellenti, dimenticate dalla Storia. Il magazine “Vitamine vaganti” dà voce al ’associazione pubblicando articoli in linea con le sue tematiche.
Come riesce a conciliare la sua vita così ricca di impegni con la vita privata?
Non vedo contraddizione. Il privato è polis e la polis è ambito in cui si pongono le basi per una vita partecipativa, inserita nella comunità, mirata alla costruzione del bene comune. Il termine stesso “comune” include anche me tra i beni da tutelare. Non vorrei sembrare troppo schematica e rigidamente ideologizzata, quindi riassumo il mio modello di vita nella frase “entusiasmo individuale ma condiviso”.
Milano-Nizza, due città del cuore, due città della vita... Ma c'è un angolo, uno spazio a Milano che le sta particolarmente a cuore?
Milano è anzitutto fermento, movimento. Mi piacciono numerosi suoi angoli, ma identifico il mio afflato particolare con la sua operosità e con gli zero gradi di separazione tra le persone che frequento. Dopo aver visto il film di Schepisi (1993) mi sono interrogata sulla teoria che in semiotica e in sociologia pone l’ipotesi “che ogni persona possa essere collegata a qualunque altra persona o cosa attraverso una catena di conoscenze e relazioni con non più di 5 intermediari” (definizione di Wikipedia).
A Milano quasi non esistono gradi di separazione e ogni persona che incontro al primo nominare casuale di qualche conoscente stabilisce una concatenazione immediata. Insomma qui ci si conosce tutte e tutti. Un piccolo universo comunicante che stimola gli interessi e allarga gli orizzonti.
Per circa metà dell’anno vivo a Nizza, e forse anche questa scelta deriva dal desiderio di espansione, ma di un tipo diverso. In questo caso la curiosità è linguistica e culturale. Nizza ha sfaccettature composite: è rimasta parzialmente ligure nei “carugi” della città vecchia, ma è francese nell’amministrazione, nel sistema sanitario, in una miriade di aspetti a supporto della cittadinanza, a cominciare dalle donne con prole, molto favorite da strutture adeguate.
Certo, è in primis una stazione balneare incline al “loisir”, alla “flânerie”. Ha una lunga tradizione di residenti e visitatori illustri, praticamente tutti i pittori del XIX-XX secolo affascinati dal bel cielo di Provenza, scrittori (non c’è libro che almeno una volta non collochi i suoi personaggi a Nizza), filosofi come Nietzsche, la regina Vittoria, l’aristocrazia russa qui rifugiatasi dopo la Rivoluzione sovietica del 1917 — non a caso qui sorge la più grande cattedrale ortodossa fuori dalla Russia. In ogni strada sono affisse targhe commemorative di questa o quella celebrità, con le date dei loro soggiorni. Non meno numerosi sono gli atelier che perpetuano la vocazione artistica di Nizza, fiera di essere città imperiale dedita alle memorie napoleoniche, come testimoniano Place Masséna e l’omonimo museo. Ha un castello fortificato in posizione dominante sul mare, interessanti strutture culturali. C’è tutto, perché non si tratta di un paesino, ma del quinto comune più grande della Francia, importante centro turistico, commerciale e amministrativo servito dal terzo aeroporto a livello nazionale e primo della regione PACA (Provence-Alpes-Côte d'Azur) per numero di passeggeri.
Non considero Nizza il mio “buen retiro” perché non amo l’idea di ritirarmi e infatti mai sceglierei l’isolamento della campagna. In buona sostanza potrei definirmi anima ad alto tasso urbano.