Sono nata a Milano il 13/05 /60, ma le mie radici affondano nel centro e nel sud Italia: la famiglia di mia madre, toscana, mi trasmette l’amore per la natura, gli animali e la semplicità del vivere, la famiglia di mio padre, salernitana, l’amore per il mare, il sole, l’accoglienza e le diverse sfumature musicali del cuore e delle sue passioni.
Ma Milano, la mia città, è la città che vede la mia crescita e maturità e arricchisce le mie radici di tante bellezze, artistiche, sociali e culturali e di una mentalità più ampia e moderna. Insomma, alla fine mi sento figlia dell’Italia tutta, senza discriminazione alcuna, anzi figlia del mondo se aggiungiamo un marito di origine pugliese ed un bimbo adottato nella terra d’Africa.
La mia formazione, dopo gli studi liceali classici, prosegue all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano dove mi specializzo nel campo dell’orientamento scolastico- professionale e nell’area psicopedagogica. In quegli anni lavorando nel centro di psicologia dei Salesiani di via Melchiorre Gioia ho avuto modo di approfondire questi ambiti facendo consulenza in molte scuole elementari, medie e medio superiori, come psicopedagogista ed anche in alcune come formatrice ed insegnante.
La mia esperienza si arricchisce quindi anche nel settore sociale della disabilità mentale e della promozione al benessere, lavorando qui in campo educativo e preventivo con bambini, genitori ed insegnanti.
Avendo ripreso gli studi ed essendomi infine laureata a Padova in Psicologia Clinica e di comunità e specializzatami poi alla Scuola di Psicoterapia Psicoanalitica di Milano (SPP di via Pergolesi) mi sono dedicata a tempo pieno all’area clinica e di cura, come psicologa e psicoterapeuta.
Attualmente, dopo parecchi anni di lavoro sia privato che istituzionale nell’Asl di Milano, mi dedico alla cura della persona in qualità di psicoterapeuta libero professionista.
La mia formazione ad orientamento psicoanalitico si è arricchita negli ultimi anni , soprattutto nella cura specifica del trauma e del disturbo post traumatico da stress, dall’approccio psicoterapico dell’EMDR.
Che bella storia di una vita ricca di affetti, o meglio, che bello sguardo amorevole nei confronti della sua storia. Quanto questo ha influenzato la sua scelta professionale?
Io penso che in ogni lavoro di cura, sia insito, tra gli altri fattori di scelta, -oltre ad una predisposizione all’ascolto, al sentire e alla relazione e comprensione degli altri e della loro sofferenza -anche un bisogno di comprendere profondamente la propria storia, la propria personalità ed un cercare di sanare le proprie ferite.
Nella mia famiglia di origine ed in quella allargata ed anche, ma non solo, nelle sue radici cristiane cattoliche, ho potuto trovare la predisposizione all’accoglienza e all’aiuto degli altri. Il rispetto della diversità l’ho potuto coltivare anche nell’opportunità che mi ha dato la vita di conoscere tradizioni e culture diverse da quella lombarda prima e italiana poi.
I viaggi all’estero, l’approfondimento dell’arte e della letteratura hanno in questo sicuramento ampliato l’apprendimento.
La sensibilità al sentire invece penso che si sia allenata non solo attraverso le dinamiche relazionali vissute, ma anche proprio nell’intimo e profondo rapporto con la natura.
Le ferite…beh qui sarebbe lungo ed improprio raccontare, ma anche proprio da quelle, se rielaborate, passano nuovi apprendimenti ed opportunità, basti pensare a quello che insegna l’antica arte giapponese del Kintsugi, che invece di buttare via un oggetto rotto lo ripara evidenziando le fratture con un metallo prezioso, facendolo diventare così unico ed irripetibile.
Ha avuto tante esperienze di lavoro…
Sì, vero. Mi hanno dato ricchezza e bagagli preziosi di esperienza, ognuno nella sua specificità, in generale però posso dire che mi hanno insegnato l’umiltà, la flessibilità e la possibilità di guardare le questioni da diversi punti di vista. Un lavoro sempre in corso…
La scelta della facoltà di psicologia è maturata nel tempo
Sì, vero! Un viaggio con più tappe…
A dirla tutta dopo il liceo classico, mi ero iscritta all’università statale di Milano alla Facoltà di Lettere Moderne pensando che la mia via fosse l’insegnamento.
Le materie umanistiche mi avevano da sempre appassionata e l’insegnamento anche, grazie anche alla mia insegnante delle medie, che mi aveva trasmesso la sua passione per la letteratura, la poesia, ma anche per la bellezza del trasmettere conoscenza agli altre l‘incontro poi con la straordinarietà del Guglielmino al liceo Carducci…
Poi alla Statale col professor Scaparro feci il mio primo esame di psicologia. Il suo corso mi appassionò moltissimo, si parlava della figura del clown e della simbologia del Circo. Qualcosa in me scattò ed andai a parlare con il professore pensando di cambiare facoltà, non saprei dire bene cosa successe dentro di me. … forse guardare oltre la maschera del clown? Forse scoprire qualcosa anche in più di me, degli altri, dietro le maschere che ognuno di noi porta? Andai al colloquio ed in verità lui mi sconsigliò di cambiare indirizzo. Eppure, quel colloquio invece che sconfortarmi mi indusse ad andare avanti nel mio desiderio. La facoltà di psicologia però era lontana ed i miei non mi concessero di andare a Padova o forse io in quel momento non avevo abbastanza indipendenza per insistere in questa direzione, non so, fu allora che ripiegai in Cattolica a Milano, al corso per Consigliere di Orientamento Psicopedagogico.
Quando iniziai il tirocinio e poi il lavoro dai Salesiani capii del tutto che l’incontro fugace con i ragazzi e le loro famiglie, i test psicodiagnostici, i profili di personalità, gli incontri con gli insegnanti…tutto questo non mi bastava…io volevo aver cura degli altri, forse nello stesso modo che tanti anni addietro, in un momento difficile della mia adolescenza, un giovane psicoanalista ebbe cura di me, per un certo periodo. Sì, quell’ascolto, su quel lettino di pelle marrone mi era rimasto nel cuore più di quello che avessi immaginato ed unito a tante altre cose, aveva dato questo frutto.
Da lavoratrice e donna sposata, iniziai quindi a percorrere con pazienza, motivazione e determinazione il tragitto Milano-Padova, andata e ritorno.
A fianco una cara amica che aveva iniziato lo stesso percorso di studi e soprattutto mio marito, che ha sempre sostenuto ed incoraggiato le mie scelte, la mia grande quercia.
L’avventura di scegliere “Psicologia”
La facoltà di psicologia a Padova l’ho vissuta poco perché a quell’epoca lavoravo dai Salesiani prima ed in una Cooperativa di solidarietà sociale poi.
Mi ricordo i viaggi in treno, il famoso treno delle 6.05 alla stazione di Milano Centrale…quanti incontri su quei treni, ci si potrebbe scrivere, e sono anche nate delle belle amicizie, alcune delle quali durano ancora… mi ricordo i mercatini delle splendide piazze di Padova, delle erbe, dell’orologio dove ci si rilassava dopo un esame. Spesso ero in compagnia di amiche e si prendevano poi quei giorni, smaltita l’ansia degli esami, anche come delle piccole gite... bei ricordi!
E poi la formazione presso la Scuola di specializzazione in età evolutiva, che esperienza è stata? Quale le differenze sostanziali rispetto all’università?
Beh, tra la formazione specialistica e l’università c’è un mare di differenza! L’università ti dà una base, una cultura psicologica e di altre materie, poi arriva l’esperienza indispensabile del tirocinio e della scuola di specializzazione.
L’S.P.P. (Scuola di Psicoterapia Psicoanalitica) insieme al mio percorso di analisi personale, alle supervisioni, sono state per me un’esperienza fondante, di quelle che fanno da spartiacque nella tua vita, un’esperienza davvero fondamentale per apprendere l’assetto mentale psicoanalitico, la disponibilità all’ascolto, la rêverie, il transfert, il controtransfert…insomma i diversi concetti psicoanalitici, ma non so come dire, “incarnandoli”. Ecco i concetti incarnati. Mi ricordo una volta che dissi ad una mia maestra: “Ma allora…il transfert esiste davvero!!”
Ma non è stato “solo” questo, nel senso che non è stato un apprendimento solo individuale, ma anche di gruppo.
Non sono stati anni facili perché questi apprendimenti hanno scardinato tante certezze e hanno lavorato nel profondo, a volte, anche con dei maremoti, non solo delle onde leggere, ma li ricordo con riconoscenza e col sorriso.
Tanti ricordi mi si affacciano alla mente…i seminari residenziali con le amiche colleghe e le nostre risate leggere oltre agli occhi furbetti e curiosi che vagavano di qua e di là, i cineforum, il bravissimo cagnolino della dottoressa Magda Viola, che lavorava con noi sull’Infant Observation, che abbaiava in modo sommesso solo al finire dell’ora.
Le lezioni della dottoressa Lilia d’Alfonso, sempre lezioni di vita e di umanità…che ci spingevano ad unire la storia, la cultura psicoanalitica e l’imprescindibilità di alcuni dogmi sacri della psicoanalisi all’importanza del sentire ed a una certa flessibilità di pensiero.
“Un buon terapeuta deve essere anche una brava persona, sennò si combinano guai seri.” Ci sottolineava la D’Alfonso.
Ed in seguito la pratica clinica. Come la racconterebbe uscendo dai soliti stereotipi?
Una bella domanda! Sono state proposte tante definizioni e letture della pratica psicoterapeutica.
Per me è un’esperienza conoscitiva e profondamente trasformativa, non solo per il paziente, ma anche per lo psicoterapeuta.
Una esperienza relazionale, un viaggio a due, in posizioni impari, che ha come condizioni essenziali e protettive le regole del setting e della pratica psicoterapeutica, il rispetto, l’assunzione di responsabilità e la giusta distanza.
È la possibilità quindi di stabilire una buona alleanza tra i due soggetti con l’obiettivo di dar sollievo alla sofferenza del paziente aiutandolo a dare un senso ai suoi vissuti, emozioni, sensazioni e comportamenti e creando o aumentando strumenti per stimolare la curiosità nel comprendersi ed imparare ad aiutarsi.
Nella sua formazione si aggiunge la pratica EMDR. Cosa significa questo acronimo? A chi risulta utile?
L’EMDR – acronimo di Eye Movement Desensitization and Reprocessing ovvero Desensibilizzazione e Rielaborazione attraverso i movimenti oculari, è un approccio terapeutico scoperto dalla ricercatrice americana Francine Shapiro nel 1989, che scoprì in maniera casuale che i movimenti oculari volontari riducevano l’intensità dei pensieri negativi disturbanti .
Shapiro iniziò così uno studio per esaminare l’efficacia dell’EMDR nel trattamento di reduci del VIETNAM traumatizzati e di vittime di aggressioni sessuali e scoprì che i movimenti oculari indirizzati dal terapeuta in maniera ritmica a sinistra e a dx secondo un approccio terapeutico mirato, riducevano notevolmente i sintomi dei loro disturbi da PTSD (disturbo post traumatico da stress).
Continuarono così gli studi e venne affinato il modello fino a diventare poi un metodo psicoterapeutico strutturato vero e proprio, supportato da numerosissime ricerche scientifiche e neurofisiologiche e riconosciuto dall’OMS nel 2013 come strumento d’elezione per la cura dei traumi e dei disturbi ad esso correlati.
L’EMDR, attraverso i movimenti oculari e le libere associazioni del paziente, favorisce la comunicazione tra i due emisferi cerebrali e lavora sulla parte del trauma che è rimasta bloccata, ovvero non integrata nelle reti neuronali.
Come dice l’acronimo è quindi psicoterapia in primis del trauma psichico basata sul riprocessamento a livello neurofisiologico e del corpo; particolarmente indicata quindi per situazioni traumatiche concrete ed evidenti tipo lutti, incidenti, eventi improvvisi e soverchianti, come violenze, guerre, pandemie e per i traumi relazionali, ed in particolar modo dell’attaccamento.
Come mai si è incuriosita di questo modello?
In parte sicuramente mi spingeva la curiosità di apprendere e sperimentare un approccio terapeutico che teneva in molta considerazione il corpo, dall’altra l’esigenza professionale di sperimentare un metodo che permettesse di avere strumenti specifici per lavorare in ambito istituzionale, e quindi con possibilità di percorsi terapeutici medio-brevi, con pazienti pluritraumatizzati e la necessità per lo più di lavorare in modo focale o di rimettere in moto un processo bloccato dal trauma e risvegliare risorse e capacità.
Avendo sperimentato su di me il metodo durante la formazione, ero rimasta colpita dalla capacità del processo di indurre calma o di immagazzinare in modo veloce e molto solido immagini e risorse, nonché dalla velocità e precisione con cui si poteva riconnettere un problema attuale con uno o più eventi traumatici del passato che peraltro contenevano un pensiero negativo e disturbante del sé, associato ad emozioni e sensazioni corporee ben precise e riconoscibili.
Ero rimasta anche colpita sulla possibilità di riconnettere in modo veloce dal passato al presente e dal presente al passato pensieri, ricordi, emozioni ed evoluzioni del Sé e della propria storia …certo forse su un terreno molto arato con già molto lavoro personale fatto era più facile, ma era incredibile lo stesso. Così cominciai a studiare questo approccio terapeutico e ad imparare a ragionare anche in modo diverso rispetto a prima, collegando concetti, teorie e ricerche e facendo supervisione.
Come è riuscita a lavorare con il metodo EMDR mantenendo l’assetto mentale psicoanalitico?
Devo confessare che all’inizio della pratica clinica con EMDR mi sentivo una traditrice rispetto alla psicoanalisi, anzi “vedevo” quasi Freud o Bion in persona, dietro le spalle, che scuotevano la testa o dicevano No con il dito in segno di disapprovazione.
Non è stato facile autorizzarmi ad applicare questo metodo e c’è voluto del tempo e della riflessione per poter integrare l’EMDR con la psicoterapia analitica, ma poi ho cominciato a pensare che ero cresciuta dal punto di vista professionale ed umano ed avevo abbastanza esperienza per permettermi di integrare un nuovo approccio, che il mio obiettivo era trovare un modo per allievare la sofferenza anche in ambiti non così facilitanti all’uso di una terapia classica e che in fondo ero abituata sia dalle esperienze di vita, ma anche dal mio lavoro con bambini ed adolescenti ad essere flessibile e usare metodi e strumenti diversi: il gioco, il role playing, le favole della dott.ssa Marcoli, o il metodo di Ferruccio Marcoli su Fare storie. Da tempo anche le neuroscienze avevano portato ricchezza al pensiero psicoanalitico e anche nella terapia Emdr si utilizzavano le libere associazioni nel momento della desensibilizzazione e riprocessamento, si poneva l’accento imprescindibile sulla relazione terapeuta-paziente e si consideravano le difese ed il transfert.
Ridare al paziente la possibilità di riconnettere con le reti neuronali, ricordi, memorie traumatiche sbloccando la possibilità di pensare, anche attraverso i movimenti oculari che ricordano l’attività che hanno gli occhi nel sonno Rem, questo alla presenza di un terapeuta che contiene, ha un’attenzione silenziosa, ma partecipativa e sostenente, non costituiscono anche il recupero della capacità di sognare? Tante riflessioni mi portarono a tranquillizzarmi ed iniziai a lavorare al meglio.
Può raccontare cosa succede dentro di sé?
Nel mio lavoro il mio assetto rimane comunque psicoanalitico, dando la priorità all’ascolto dell’altro e dell’altro in me, alla comprensione, alla rêverie, al transfert e controtransfert, a quello che succede nel campo, a quello che si sviluppa e accade nella relazione, alle difese, ma soprattutto a quello che mi sta chiedendo, dicendo il paziente.
A volte mi capita di partire subito anche con un approccio più strutturato ed è in quelle situazioni in cui il paziente mi chiede di rielaborare un trauma in particolare , per esempio un incidente subito oppure quando capisco che per il tempo a disposizione, le difese presenti e le risorse esistenti un paziente può trarre più vantaggio da un approccio che dà strumenti anche concreti per ridurre l’ansia, imparare a rilassarsi e recuperare velocemente le risorse.
A volte invece capita che, effettuando un’integrazione in un processo psicoanalitico anche con strumenti Emdr rispetto ai traumi subiti, si possa superare un momento di blocco o affinare la sensibilità propria e del paziente all’ascolto del corpo e delle sue emozioni e sensazioni….
Una volta, mentre stavo facendo la desensibilizzazione e il riprocessamento Emdr ed eravamo nel momento del sentire le sensazioni e le localizzazioni corporee ad esse collegate, in una paziente che mi aveva chiesto aiuto per la perdita improvvisa del marito, quest’ultima mi disse che era commossa perché non si era mai sentita così ascoltata nella sua vita, anche nelle pieghe del suo corpo.
Certo ci sono situazioni invece in cui non è possibili applicare l’Emdr, perché il paziente ne ha timore, lo rifiuta, perché ha paura a lasciarsi andare o ha tratti dissociativi importanti, con questi pazienti bisogna lavorare, a mio parere, in maniera molto delicata, in altro modo.
Poi c’è invece chi ha proprio il bisogno dell’ascolto e del processo trasformativo profondo che attiene al lavoro psicoanalitico.
E, avendo la possibilità e gli strumenti per poterlo sostenere, è disponibile a procedere in maniera più classica.
Cosa succede dentro di me quando si avvia un processo di desensibilizzazione e riprocessamento non è facile a dirsi perché è come chiedere cosa succede al terapeuta in un ascolto psicoanalitico col paziente, tante cose….a volte si aprono viaggi incredibili...,mi arrivano emozioni, sensazioni anche corporee, miei ricordi oppure mi sento come stessi sognando col paziente nel senso anche che proprio mi viene sonno o al contrario mi sento molto disturbata o sono presa con lui dall’ascolto fine del processo... tutto materiale prezioso da notare e su cui lavorare in un secondo momento.
Mi sembra contenta della sua vita professionale. Come riesce a coniugarla con quella privata?
Si, sono soddisfatta della mia vita professionale anche perché mi ritengo fortunata a poter fare un lavoro che mi piace così tanto e del resto non ho ambito ad altro nella mia professione se non fare un buon lavoro con i miei pazienti.
Mah, ora è abbastanza semplice coniugare il lavoro con la mia vita personale perché da quando ho chiuso il mio capitolo di lavoro in Asl, faccio la libera professione e non ho mai occupati tutti gli spazi. Quindi posso dedicarmi alla mia famiglia e ai miei interessi, quali la lettura, la musica, la meditazione e gli acquerelli, che mi stanno appassionando sempre più.
Diversi erano quegli anni invece che avevo mio figlio piccolo, non è mai facile per una donna coniugare l’essere madre-lavoratrice, in più negli anni passati lavoravo a tempo pieno ed il lavoro, soprattutto in Asl, ti mette a contatto con situazioni multiproblematiche molto complicate e con assunzioni di responsabilità che, a volte, non mi facevano dormire.
Passate sono anche, per il momento, le tempeste personali e familiari che a tratti, come capita a tutti, ci hanno coinvolto. In quel caso era complicato, non era facile lavorare, anche se poi ti accorgevi che il lavoro ti dava forza e ti ricostituiva nello stesso tempo.
Ora Marco, mio figlio, è grande e vive nella sua casa, mio marito è pensionato e siamo in un mare tranquillo, per il momento, grazie anche a Dio.
Milano sembra che abbia avuto e abbia una parte importante nella sua realizzazione
Amo molto Milano e diverse sono le zone a me care, da quella dove sono nata e poi cresciuta che è la zona che va dalla stazione Centrale a piazzale Argentina e poi al Corso Buenos Aires, a Porta Venezia ,da sempre un crogiolo di persone di origini diverse, con i suoi giardini e le sue ville, alle vie, i palazzi del centro storico, di cui sono innamorata, col nostro meraviglioso Duomo e la Madonnina d’oro che ci protegge, alla zona dei Navigli e della Darsena dove ho lavorato per alcuni anni…
C’è una zona, un angolino della città che le è particolarmente caro?
La zona che però mi ha vista maturare nella mia professione e che ho nel cuore è quella intorno a piazzale Giulio Cesare, dove ho anche il mio studio.
Starei ore a guardare la meravigliosa Fontana delle quattro stagioni dove dietro svettano le tre torri alte e moderne, si vedono palazzi vecchi e dei primi del 900 accostati ad altri modernissimi e questo incontro tra arte, storia passata e modernità, verde, acqua e cielo mi sembra meraviglioso.