Tutta l’umanità un giorno tornerà a “muoversi” e questo nonostante i nostri attuali sistemi di riferimento, quelli con cui da qualche millennio blindiamo la nostra esistenza percettiva, limitino o impediscano la comprensione del valore fondamentale che il movimento corporeo ha per la mente umana.
Nel 1997 Carlos Castaneda dà alle stampe un curioso manuale dal titolo Tensegrity, termine tecnico di ambito architettonico prodotto dall’unione delle parole “tensione” e “integrità”. All’interno dell’eccentrica e fabulosa cornice che costituisce la cifra della sua scrittura, l’autore inserisce la sequenza dei cosiddetti “passi magici”, particolari movimenti che gli sarebbero stati ancora una volta impartiti dal nagual messicano Don Juan Matus.
Ciò che assume un grande rilievo, a nostro avviso, è che l’insieme strutturato di movimenti che lo sciamano affida in eredità a Castaneda ha come scopo qualcosa di molto diverso dai tradizionali rituali di magia e non ha nulla dell’aura superstiziosa e arcaica di molte performance tipiche delle più note popolazioni tribali. Il gruppo di suddetti movimenti ha infatti l’esplicito obiettivo di far penetrare il moderno uomo occidentale - e la sua mente non proprio acuta insieme con lui - nell’antico mondo cognitivo degli sciamani.
È ben noto a chi studia le scienze della mente come la percezione umana sia viziata da un numero fin troppo considerevole di cosiddette “distorsioni cognitive”, da quelle più immediatamente osservabili come le illusioni ottiche a quelle più impalpabili come gli schemi disfunzionali che gli esseri umani usano per fare le loro scelte in base a “pregiudizi” di vario genere, meglio noti con il termine tecnico di “biases”. Lo stesso atto della percezione visiva, lungi dall’essere il prodotto esatto e infallibile di una serie di cifre oggettive, è stato da qualche studioso definito una “allucinazione guidata dall’esterno”.
L’assunto di fondo di Don Juan, per il tramite della voce del suo autore, è allora che non solo la mente, ma prima di ogni altra cosa il corpo è in ogni sua parte costantemente impegnato nel trasformare il flusso vibratorio delle informazioni sensoriali in una serie di dati leggibili secondo schemi interpretativi che l’ambiente e la società forniscono – o impongono – all’essere umano fin da bambino. Un dato, questo, incontrovertibile, che trova corrispondenza perfetta nelle tradizioni della filosofia occidentale almeno dall’empirismo alla fenomenologia.
L’argomentazione di Don Juan fa però un passo avanti rispetto agli assunti della scienza normale e giunge ad affermare che proprio la ripetitività automatica e inconsapevole dei suddetti schemi interpretativi impedisce in realtà all’uomo di accedere alla forza vitale di cui egli è in ultima istanza costituito, condannandolo ad usare una quantità irrilevante del proprio potenziale energetico ed esponendolo in tal modo a problemi fisici e psichici di vario tipo.
Alla luce di ciò, racconta lo sciamano, i nagual del suo lignaggio hanno scoperto circa diecimila anni fa la possibilità di bloccare il sistema di interpretazione automatico di cui ciascun individuo si serve meccanicamente per recitare la propria “parte” nel grande teatro dell’esistenza. Lo strumento di questa operazione è, però, sorprendentemente tutt’altro che di natura mentale e mira invece ad impegnare il corpo in specifici movimenti che permetterebbero di “ridistribuire l’energia” all’interno dell’individuo. Quest’ultima, dalla bizzarra foggia di una sfera o palla dai filamenti luminosi che avvolge l’essere umano, è stata nel tempo considerata dagli sciamani del lignaggio di Don Juan come il “vero sé” dell’uomo, la sua essenza invisibile che lo collega come in una sorta di cordone ombelicale all’energia dell’universo intero. Da questa stessa “matrice” energetica, però, l’uomo è destinato a rimanere separato a causa del flusso automatico e nocivo della sua mente cosciente, responsabile del fitto dialogo interiore in cui egli è fin dall’infanzia imbrigliato mediante la preoccupazione costante imposta dalle relazioni sociali.
Lo scopo della pratica dei passi magici è allora quello di far cadere la “maschera della socializzazione” che ciascuno fin da bambino è costretto ad indossare pur di essere accettato in un mondo che trova il suo centro nella relazione costante, condivisa e imprescindibile con gli altri e che si serve di rituali - questi sì più che tribali - che gli impongono di pensare, di credere, e di volere ciò che è stato deciso dalla comunità come giusto, buono e normale.
Il singolare strumento dei passi magici, allora, ridando il potere al corpo e sottraendolo al flusso venefico della ruminazione mentale, permette, secondo Castaneda, di far penetrare la mente in quel silenzio interiore necessario per l’azione che gli sciamani definivano l’atto di “vedere”. Attraverso la memoria cinetica in cui il corpo viene impegnato, la mente viene infatti ad un certo punto sottratta al flusso delle distorsioni e degli schemi precostituiti, permettendo allo sciamano di “vedere” e quindi di “sapere” quale percezione sia reale e autentica.
Questa silenziosa riconnessione attraverso i complessi movimenti del corpo può essere quindi fatta in gruppo o in solitaria. La vera e difficile arte resta quella di sfuggire ai cosiddetti “comandi sintattici” (- non ce la faccio!-, - Ti riesce proprio bene! -, ecc.), quella sequela di enunciati esortativi o informativi che quando si è in gruppo tendiamo tutti ad usare come formule di apprezzamento o deprezzamento su noi stessi o sugli altri, ritenendoli per automatica pratica condivisa inoffensivi, ma che sono per lo più responsabili della costruzione delle maschere sociali da cui il corpo - cioè l’anima - vuole intimamente riscattarsi.
La mente, allora, sembra volerci insegnare quest’antica saggezza, può ingannare imponendoci di recitare una parte che non ci appartiene, e infatti ci inganna molto spesso mediante il linguaggio articolato con cui ci comunichiamo l’un l’altro ovvietà superflue e fuorvianti generalizzazioni. Il corpo, invece, non può mentire perché è sincerità e libertà e, quando non lo è perché lo si inibisce, diventa malattia. Il giorno è ancora lontano, ma l’uomo prima o poi comprenderà che prima di parlare, credere e sapere deve imparare a conoscere sé stesso, gli altri e perfino l’intero universo attraverso il proprio corpo in movimento.