Non è mai stata mia intenzione dire agli altri quello che devono fare. Se qualche volta nella vita ho pensato di intuire qualcosa di valido al massimo l’ho condiviso con chi mi sta vicino. Ma non credo nemmeno.
Sono cresciuto in un’Italia che, mantenendo fede alla sua identità di fanalino di coda, negli anni ’70 viveva il ’68, in tutti i suoi aspetti più noti: da “Fate l’amore, non fate la guerra” ai ciclostilati delle Brigate Rosse. Come i dieci anni precedenti mi hanno segnato portandomi ancora oggi il profumo delle rose e del glicine del giardino della scuola in cui studiavo e la serenità della mia infanzia, così gli anni ’70 mi hanno fatto crescere non solo dal punto di vista politico, ma soprattutto, da quello spirituale, aspetto dell’essere che in quegli anni raggiungeva mete insospettabili e, alcune di loro, sarebbe stato meglio lo rimanessero.
Uno dei motti che imperavano all’epoca era: “Non mi starai per caso dicendo quello che devo fare?”, frase di solito accompagnata da un’alzata di sopracciglio e un impercettibile, ma rivelatore, allontanamento dall’interlocutore. E dato che, per indole, non ho mai sopportato l’autorità, di qualunque genere, me ne guardavo bene da indicare la via per la redenzione. Questo è il principio che mi anima tutt’ora: io non so cosa sia giusto o dove si debba andare, ma vorrei poter vivere in un mondo in cui poter scegliere.
Lo scrissi già altre volte e lo dico spesso, ma una frase che mi toccò molto la lessi sul muro di un Ghat a Varanasi: “La povertà non è essere senza soldi, ma senza scelta!”. Per questo il mio voler scrivere, parlare, comunicare ha come unico scopo permettere la nascita di una società veramente libera, in cui ognuno abbia la libertà di scegliere il tipo di vita che si sente di condurre.
Fermo subito le facili opposizioni tipo: “E se uno volesse passare la vita ad uccidere il prossimo?”. Per prima cosa è quello che sta accadendo e non sembra disturbare più di tanto la coscienza sociale, ma la società a cui penso sarebbe formata da persone che hanno risvegliato la loro coscienza, che capiscono perfettamente fino a che punto hanno diritto di portare avanti le proprie ragioni e quando fermarsi, per un bene collettivo.
Sì, queste sono le persone che potrebbero appartenere all’evoluzione del nostro stare insieme.
Chi fa parte di quella che mi piace chiamare “la vera opposizione”, visto che tutti i partiti sono al governo, sta svolgendo un lavoro encomiabile, nonostante le mille e più avversità che chiunque gli sta mettendo contro: a cominciare dai DPCM del duce di turno, alla propaganda terroristica in atto, alla non informazione a cui la popolazione mondiale è sottoposta, ai dettami molto poco democratici della Silicon Valley/ Wall Street, fino al corpo a corpo con gli ex amici (personalità fragili sulle quali quanto sopra ha funzionato molto bene), con i conoscenti e i colleghi di lavoro. La signora della porta accanto che non ti denuncia perché ancora non danno sostanziose ricompense ai delatori.
La vera opposizione è formata da persone eccezionali che stanno rivedendo il concetto stesso di società, a cominciare dall’aspetto antropologico. E lo fanno per tutti, nonostante gli sputi in faccia quotidiani.
Ma. Ma. Ma. …Molti di loro, soprattutto quelli che vengono erroneamente ritenuti i leader, non si rendono conto di un fattore fondamentale. Tutti assorti dal cercare una strada per ottenere visibilità e il cambiamento, stanno tralasciando l’aspetto cruciale: non si ottiene una nuova idea di società, di stare insieme, applicando le vecchie logiche. Non c’è niente da fare, se non cambia l’individuo non cambierà mai l’intorno. È come dire che, dato che si ha una fretta terribile e bisogna assolutamente andare, non si deve perdere tempo per salire in macchina, ma si debba correre a piedi. Sicuramente questo potrebbe dare la sensazione che si stia facendo qualcosa, ma non andremmo né molto lontano, né molto veloci. Forse è meglio perdere un po' di tempo a salire in macchina e metterla in moto che correre per centinaia di chilometri a piedi.
Ma non mi si equivochi: cambiare se stessi non è il modo più veloce per cambiare la società, anzi è il più lungo e faticoso. Ma è l’unico modo.
Certo ve ne sono altri, come i padroni del mondo sanno bene e infatti li applicano e lo fanno da decenni; hanno fondato scuole ed università dove non solo si insegnano i principi del “mors tua vita mea”, ma dove si formano i docenti del futuro, oltre che i lavoratori del futuro; hanno investito enormi somme di denaro nei mezzi d’informazione - che non vedevano l’ora di avere un nuovo padrone purché fosse molto ricco -che si arrogano il diritto e l’autorità di dire al mondo intero cosa fare e cosa dire, cosa è giusto e cosa no, cosa è vero e cosa è falso (vedi fake news).
Quindi, se noi disponessimo di fondi illimitati faremmo la stessa cosa, formeremmo le persone del futuro, rendendole conformi alla società che noi abbiamo in mente? Spero proprio di no, anche se immagino che qualcuno stracolmo di se stesso e della propria saggezza starà già pensando a questa possibilità.
No, non è sicuramente il mio auspicio.
Non siamo tutti uguali, per nulla; quello che va bene per me non necessariamente deve andare bene per tutti: la taglia unica è un’assurdità. Io voglio un vestito su misura, magari fatto da me stesso.
Sì, continuate pure a dire che è un’utopia e continuate a cercare di cambiare il mondo senza prima capire che è esattamente il contrario: l’utopia è pensare che il cambiamento esteriore è tutto quello di cui abbiamo bisogno e non rendersi conto che l’unica cosa su cui possiamo contare siamo proprio noi stessi ed è da qui si deve cominciare.
Sono molto fiducioso nella specie umana e nelle sue potenzialità, sono assolutamente certo che abbiamo tutto quello di cui abbiamo bisogno per reinterpretare il senso della nostra presenza e ribaltare i fatti, passare da essere una razza d’invasori che distruggono tutto al loro passaggio, a diventare i giardinieri coscienziosi di questo Eden, con tutte le implicazioni che ciò comporta.
Se alla maggior parte delle persone sta bene vivere così, facendosi infilare aghi in ogni pertugio al grido di “Lunga vita alla scienza”, o sentirsi impotenti e impauriti davanti all’avanzata del gigante rosso, o lottando per la maggior parte della propria esistenza per avere una promozione o il SUV, questi sono affari loro. Solo non voglio che mi obblighino a condividere queste loro fantasie e vorrei che ci fosse spazio per chi la pensa più o meno come me o in qualunque altro modo. Se riuscissimo a dar vita ad una società parallela, formata da individui di buona volontà, dove i valori non sono quelli in uso, dove le persone pensano ad evolversi prima che a dire al prossimo dove sbaglia, se saremo veri e onesti fino all’ultimo allora il nostro esempio potrà essere seguito e appartenere ad una società piuttosto che ad un'altra sarà una libera scelta dell’individuo.
Non la sto facendo facile, credetemi, è ovvio che ciò porta con sé considerazioni importantissime, condivisione di valori e priorità; non è per nulla facile né scontato.
Ma che altro senso volete dare alla vita se non cercare di rendere questo un mondo più armonico, più vero e slegato dalle logiche irrazionali dominanti?
E come viene detto ne Le crociate di Ridley Scott: “Anche se un mondo simile durasse poco, avrebbe sempre il pregio di essere esistito”.