Classe 1840, nato sotto il segno della Vergine, Giovanni Verga di Fontanabianca racchiude la sua parentesi di vita a Catania almeno ufficialmente, pur avendo vissuto in altre città italiane ed estere.
Il suo cognome, di origine aragonese, pare risalisse al Duecento; il nonno era stato carbonaro e membro del primo Parlamento siciliano, erede del feudo di Fontanabianca e del titolo di barone. Avviato allo studio dei classici, abbandonò gli studi giuridici ai quali era iscritto per dedicarsi al giornalismo e alla scrittura.
Arrivato Garibaldi a Catania, Verga si arruolò nella Guardia Nazionale dove militò per alcuni anni. Fonderà riviste e giornali, scrivendo racconti, commedie e romanzi. Fu nella capitale del Regno d’Italia, Firenze, dove l’incontro con molti intellettuali gli permise una certa sprovincializzazione, l’incontro con i Macchiaioli e con Luigi Capuana, con il quale condividerà l’idea verista.
Nel 1870 pubblicò su Il Corriere delle Dame il romanzo epistolare Storia di una capinera, poi pubblicato in libro. Sarà quindi a Milano, frequentando salotti letterari, dove scrisse lavori tardo-romantici e con primi cenni di quel Verismo di cui fu uno dei massimi esponenti.
Nel 1878 scrisse la novella Rosso Malpelo, mentre tre anni dopo apparve un episodio de I Malavoglia che fu accolto bene solo da pochi, tra cui Arrigo Boito. Fu a Parigi per incontrare Zola, poi a Londra; nel 1884 la novella Cavalleria rusticana divenne opera teatrale interpretata anche da Eleonora Duse, musicata da Pietro Mascagni.
Tormentato da problemi economici e dall’idea di non riuscire nella stesura dei suoi lavori come desiderava, produrrà Mastro don Gesualdo, uscirà Vita dei campi, si dedicherà alla fotografia, e manifesterà un pessimismo secondo il quale gli umili non potevano attuare alcun riscatto, pur se era loro sempre molto vicino. Per questo giustificò i Fasci siciliani e la cruenta repressione milanese attuata dal generale Bava Beccaris, che porterà all’assassinio del re Umberto I due anni dopo, contestando anche la democrazia parlamentare.
Assunse posizioni interventiste durante la Prima guerra mondiale, accanto a Gabriele D’Annunzio che apprezzava soprattutto per l’azione politica; nel primo dopoguerra, si avvicinò all’idea politica di Benito Mussolini, anche se non si iscrisse al suo movimento politico.
Nominato Senatore del Regno da Vittorio Emanuele III, venne onorato pubblicamente da Pirandello in occasione del compimento degli ottant’anni, in presenza di Benedetto Croce allora ministro dell’Istruzione. Morì nel 1922.
Verga negherà l’idea di una Provvidenza su modello manzoniano, ma anche laica, che avrebbe permesso ai poveri il riscatto, pensando che non fosse possibile la felicità che forse credeva a lui stesso negata, mentre la famiglia e il lavoro potevano essere unica vera fonte di pace. Verga costituirà la punta di diamante del Verismo, corrente letteraria di istanza italiana, in un momento in cui molta parte delle mode letterarie arrivavano d’Oltralpe. I suoi romanzi e le sue novelle costituiranno nel tempo un elemento imprescindibile della letteratura nazionale, in cui i personaggi delineati a tutto tondo sono stati modello per molti confronti e commenti, esempio della tenacia e della volontà di riscatto ostacolata dal fato impietoso, sul quale aleggiava l’ignoranza e la poca organizzazione distaccata e oggettiva. Unico vero motivo di una mancanza di miglioramento nel quale, in fondo, i personaggi verghiani davvero non credevano fermamente.