Capitale di un impero sterminato, Roma è una città ricca di storia, cultura, bellezza e fascino. Devi viverla giorno dopo giorno e ti affascinerà con la sua magia.
Poco distante da Piazza di Spagna e Via Condotti, nel cuore storico, culturale ed economico della città troviamo Palazzo Borghese, storica residenza della famiglia Borghese a Roma, detto anche il Cembalo Borghese a causa della sua insolita pianta. Passeggiando così tra le strade del centro di Roma, un giorno assolato di giugno, arrivo a Palazzo Borghese e mi fermo ad ammirare le magnifiche sale affrescate della galleria terrena, la Galleria del Cembalo che ospitava una bellissima mostra fotografica: Mare Omnis di Francesco Zizola.
Ho conosciuto la Galleria del Cembalo grazie ad una cara amica, Norma Waltmann, a testimonianza del fatto che contrariamente a quanto si pensi a Roma ci sono luoghi dedicati all’arte contemporanea da fare invidia a New York e che sicuramente meritano una visita o un viaggio. La Galleria del Cembalo è stata aperta per iniziativa di Paola Stacchini Cavazza che ha così reso visibili le sale del pianterreno che Marcantonio IV Borghese fece decorare a fine ‘700 per ospitare la propria collezione di opere d’arte. Le mostre, curate insieme a Mario Peliti ruotano attorno alla fotografia spesso in dialogo con altre forme di espressione artistica.
Come dicevo durante la mia visita ho potuto ammirare le opere di Francesco Zizola, fotografo romano che per oltre 30 anni ha fotografato le principali crisi e conflitti del mondo. La sua passione inizia giovanissimo quando voleva sapere cosa era la Shoah ma tutte le spiegazioni che riceveva non lo convincevano del tutto. Poi vede la foto di un campo di concentramento e capì immediatamente. Capì anche l’importanza delle immagini, quanto un’immagine può dire rispetto a tante parole. Ha documentato i migranti che cercano di arrivare in Europa, la Maldive sommerse dall’acqua, i bambini delle favelas… Nella mostra Mare Omnis ha portato in esposizione 22 foto di grandi dimensioni che “sembrano raffigurare delle costellazioni lontanissime, ma che in realtà sono tonnare, ossia reti da pesca inserite nel grande mare Mediterraneo fotografate da un drone: reti che i tonnarotti – coloro che si occupano della mattanza – installano per catturare i tonni nella loro migrazione verso la costa”.
Mi sono venute in mente le parole di Hemingway da Il vecchio e il mare: “La lenza si alzò lentamente e regolarmente e poi la superficie dell’oceano si sollevò davanti alla barca e il pesce uscì. Uscì senza fine e l’acqua gli ricadde dai fianchi. Era lucente nel sole e la testa e la schiena erano di un rosso scuro e nel sole le strisce sui fianchi apparivano larghe, di un lavanda leggero. La spada era lunga come una mazza da baseball e appuntita come un’alabarda e il pesce si alzò in tutta la sua lunghezza dall’acqua e poi vi rientrò, dolcemente, come in un tuffo, e il vecchio vide la grande lama falcata della coda andare sott’acqua e la lenza incominciò a filare. «È mezzo metro più lungo della barca»”.
Ma torniamo alla mostra.
Le immagini sono state tutte realizzate nel mare del Sulcis, nella Sardegna sud occidentale, presso la Tonnara di Portoscuso, che in quelle acque opera da secoli. Nelle fotografie i punti bianchi sono boe e i fili argentati sono le cime che assicurano le parti galleggianti ai fondali. La mostra Mare Omnis documenta in maniera antropologica la vita vissuta in mare attraverso forme di pesca ancora manuali, locali, sostenibili, secondo tradizioni centenarie, indagando il rapporto dell’uomo con la natura e della sua influenza sul mare declinato attraverso un linguaggio visivo articolato e complesso. Costruire i propri strumenti di lavoro, gettare le reti in mare, trascorrere giorni e mesi in attesa della pesca, essere soggetti alle leggi della natura, compongono quel patrimonio di sapere legato alla prossimità con il mare e ad una vita in rapporto con esso che oggi è sostituito da metodi di pesca intensivi e industriali. Le immagini presentate ci restituiscono - attraverso un quadro visivo potentissimo - il sentimento di una relazione simbiotica che ricuce quella separazione tra uomo e natura adottata dalla società contemporanee: acqua che diventa paesaggio astratto, pesci colti nelle fitte reti immerse nel mare”.
Un viaggio onirico ed affascinante dove il dettaglio di una rete apre mille riflessioni sociologiche ed antropologiche sospese tra passato e futuro.