Le parole friulane di Pier Paolo Pasolini non le conosce, ma Salvatore Frega sa che cosa vuol dire lanciarsi nel futuro portandosi dietro il passato remoto. Non i trascorsi di Casarsa della Delizia del corsaro PPP, ma la singolarità di Firmo, in Calabria, dove il compositore è nato antico, in un’enclave immutata, e diventato più contemporaneo di un abitante di Tokyo.
Frega appartiene a una comunità arbëreshë: parla l’albanese di cinque secoli fa, è pervaso da musica balcanica ed è deciso a formare il pubblico dell’avvenire. Diplomato in pianoforte al Conservatorio di Cosenza e in composizione alla Scuola di Musica di Fiesole, ha frequentato l’Accademia Nazionale di Santa Cecilia a Roma e conseguito l’alto perfezionamento con Ivan Fedele.
Nel 2018, a 29 anni, vinse la medaglia d’argento al The Global Music Awards a Los Angeles, gareggiando con 4000 colleghi, e la sua composizione fu eseguita in prima assoluta dalla Budapest Simphony Orchestra. Quest’estate, per la seconda volta, è composer in residence al Festival Puccini (inaugurazione 15 luglio, direzione artistica Giorgio Battistelli) dove presenterà Lux ignis dedicato a Pasolini, appunto, nel centenario della nascita.
“Ho scelto una sua poesia, tratta dalla raccolta La meglio gioventù, che verrà cantata da una voce bianca e da un soprano sia in italiano che in friulano: s’intitola Il chiarore.
Perché l’hai scelta?
È un po’ cupa, ma allo stesso momento tende al domani. All’interno del brano, che dura intorno ai 25 minuti, c’è un dialogo fra la luce e il fuoco, due elementi diversi che hanno il chiarore come tratto comune. Cerco di far sentire la loro contrapposizione, la leggerezza della luce e pure un po’ di buio.
È già composto?
Sono in fase di rifinitura, devo consegnare a fine giugno [risposte raccolte a maggio n.d.r.]. Di solito riesco a consegnare qualche giorno in anticipo. Spesso ai miei colleghi prende l’ansia e allora guardano e riguardano la partitura, arrivando in ritardo. Io invece non ci ritorno su troppo perché compongo più di cuore che di mente e mi piace lasciare intatta l’emozione dell’attimo. Stravinsky diceva che ciò che scrivi il giorno prima non lo scrivi il giorno dopo, per una questione di continua crescita personale. Quindi se ho composto qualcosa in quel momento significa che va bene così. È il mio pensiero.
Prima di questa commissione avevi consuetudine con il cinema e i libri di Pasolini?
Poco. Sapevo quello che ha lasciato nella nostra quotidianità perché era un visionario che ha creato qualche terremoto. Smuoveva gli abiti consueti per far pensare. Adesso ho approfondito, soprattutto entrando nel dettaglio della sua poesia. Ne ho lette moltissime. Mi sono immerso in un universo che, vista la mia età, non ho vissuto. Purtroppo.
Per fortuna, sennò saresti più vecchio.
In effetti. Sono dell’89, il 29 settembre entro nei 33. Vengo da una delle pochissime comunità che ancora oggi parlano l’albanese del 1500 quando il nostro patriota Giorgio Castriota, detto Scanderbeg, ci salvò, sfuggendo alle invasioni turche. Nel costume, nella cucina, nello svolgersi della giornata, nelle celebrazioni è una cultura ancora molto presente.
Come ha influito sulla tua musica?
Tantissimo, anche inconsciamente. È una musica balcanica che si muove su scale pentatoniche e ci sono cresciuto anche perché papà è uno dei massimi esponenti arbëreshë e preparava il paese alla festa. Vado sempre a riprendere quelle melodie bellissime: lamenti, canti di preghiera, canti gioiosi che ricordano il passato e un sapere che il popolo albanese attuale ignora. Difatti gli albanesi emigrati in Italia negli anni Novanta, dopo la caduta del comunismo, non si aspettavano minimamente di trovarci e piangevano nell’ascoltarci. Pensa se un italiano sentisse qualcuno che parla alla Dante Alighieri.
Altri influssi?
Non influssi, ma ricerca. Faccio un percorso continuo che durerà fino all’ultima nota, fino all’ultimo respiro, per creare qualcosa che possa essere quasi tridimensionale: vorrei dare prospettiva al suono. Ho avuto il privilegio di studiare con Ivan Fedele e Andrea Portera e sto cercando di trovare un mix fra due personaggi così lontani. Portera ha una visione più musicale mentre Fedele ha una visione più sistematica. Perciò vorrei unire l’organizzazione del lavoro a questa sorta di tridimensionalità del suono, con l’eco della tradizione arbëreshë. È la mia strada nel tentativo di essere unico, riconosciuto. Insomma vorrei essere Salvatore Frega che è… difficilissimo (ride). Oggi più che mai siamo influenzati perennemente da “carovane” di ascolti on line, così mentre scrivo esco dalla mia mente, dal mio corpo e mi guardo dall’alto. Dobbiamo cercare un po’ di originalità, no?
L’Accademia musicale della Versilia?
Una scommessa del 2017. Oggi, forse, vinta. Il percorso anche lì è stato lungo. La passione mi ha animato fin da ragazzino. Partii con l’organizzare il primo concorso internazionale di composizione di musica contemporanea a Cosenza, nel meraviglioso teatro Rendano, sempre chiuso. Ebbi voglia di contemporaneo in una città super tradizionale nel poco che faceva. Mi ha aiutato papà ed è stato un gran successo, un tutto esaurito di due giorni per il concerto e il concorso con partecipanti da 24 Paesi e settemila euro di premi, il che dimostra che il cittadino ha bisogno di stimoli. Mi ispirai alla Scuola di musica di Fiesole perché ne facevo parte.
Da lì mi dissi che forse potevo fare qualcosa in più: trasmettere l’adrenalina che viviamo noi musicisti durante la scrittura e l’esecuzione. Siamo partiti un po’ da pazzi, eccessivi, proprio con l’esigenza personale di far vivere le mie emozioni: da un ragazzo a dei ragazzi, con il contatto diretto.
L’Accademia è basata su un modo di insegnare totalmente fresco. C’è un team di maestri giovani, affiancato da un paio di figure di esperienza che guidano anche noi. Ho scelto anche musicisti quasi agli inizi perché mi interessava la loro spontaneità e questo ha portato a un’affermazione importante perché poi, più che la pubblicità social e mediatica, conta il passaparola: “C’è un’accademia dove sprizzano entusiasmo”. Siamo partiti nel 2017 e a fine 2018 avevamo trecento iscritti. Ora abbiamo trovato una sede più importante in collaborazione con il comune di Viareggio e ci stiamo avvicinando anche a Firenze, Sesto Fiorentino, grazie a un partner di spessore, Zoworking.
A chi è destinata?
A tutti. Anche qui ho preso come punto di riferimento la scuola dove ho studiato: Fiesole. Piero Farulli è il mio idolo perché lui, il grande violista del Quartetto Italiano, ha avvicinato tutti alla musica: i bambini, gli anziani, la gente che non se lo poteva permettere dei quartieri periferici di Firenze.
Tuttavia da quest’anno c’è anche il corso di alto perfezionamento per i ragazzi che escono dai conservatori. E, sempre, il seguitissimo corso di self management con Valentina Lo Surdo: L’arte del successo. Nei conservatori non insegnano a promuoversi e invece è fondamentale. Uno ha studiato dieci anni piano, violino, canto lirico e si trova spiazzato: dove suono? Come mi presento? Da chi devo andare?
Quando ho fatto un intervento all’Università Europea di Roma, su invito del professor Marco Camisani Calzolari, ho spiegato che i ragazzi hanno bisogno di capire come funziona il sistema della musica. E ho bisogno di capirlo anche io. Nella Classica, non mi piace dividere in settori, ma lo dico per intenderci, manca proprio la parte della comunicazione.
Un po’ però l’hai già capito. Su Instagram hai decine e decine di migliaia di followers.
Sono abbastanza seguito sui social perché per coinvolgere nel mio mondo, impresa ardua, parlo il linguaggio che il giovane (e non solo perché spazio circa dai diciotto ai sessanta) vuol sentire. Non un linguaggio trash, come il social in alcune situazioni ci ha abituato, ma basic. Faccio vedere l’approccio di un compositore alla musica, l’idea, la progettazione. Mi scrivono in parecchi. Una signora sui cinquanta, sbalordita, mi ha mandato questo messaggio: “Ho sempre fatto la casalinga e pensavo che l’ultimo compositore fosse Chopin. Non sapevo che esistesse oggi un compositore. Che bello partecipare”.
In un mondo tutto puntato sulle tv noi non ci siamo, non abbiamo popolarità e così mi sono messo nella scia di Chiara Ferragni quando lei è esplosa nella moda. Non me vergogno.
È una delle poche che ha avuto un’inventiva. Per quello che fa è molto brava, lo è sempre sempre stata.
Non sei affetto dallo snobismo della famosa serie: “C’era proprio bisogno che andasse la Ferragni agli Uffizi?”.
Se Chiara Ferragni un giorno mi facesse pubblicità con due foto, io sarei contento. Magari!
Con lo snobismo da qui a vent’anni noi compositori ed esecutori saremo “morti”. Non ci sarà più pubblico perché oggi l’età media dello spettatore consapevole, quello che è abituato ad ascoltare almeno un concerto a settimana, è altissima. Se va via questo pubblico siamo finiti.
Ci chiudiamo nel nostro universo pensando che possa essere un sacrilegio tutto ciò che è popolare. Il sacrilegio è il teatro vuoto. A volte c’è di scena un artista strepitoso e nessuno lo sa.
Noi musicisti dobbiamo portare la musica a tutti, ci devono conoscere tutti, ma non perché io voglio essere una celebrità. In fondo una volta l’opera lirica era (anche) il gossip di alto livello. Dobbiamo rivedere il teatro, portare freschezza a un sistema vecchio. Non è da ridisegnare la struttura che è formidabile: per me il teatro è una chiesa. Entro da spettatore e sto benissimo, se poi lo vivo da protagonista… mi vengono le lacrime dalla commozione. Bisogna far provare queste emozioni a chiunque, portando novità all’interno del teatro. I giovani, che sono il nostro futuro (frase fatta ma giusta), non ci vengono. Alle mie esecuzioni, proprio quando sono fortunato, si contano in sala un paio di centinaia di persone.
Da dove cominciare?
Io introdurrei la tecnologia all’interno del teatro, facendolo vivere non solo in poltrona, ma in palcoscenico e dietro le quinte. La tecnologia di qualità, quella bella, che ci aiuti a sviluppare il teatro musicale in maniera più contemporanea. Immagino il pubblico quasi parte integrante di un’opera, interattivo. Oggi esistono gli occhialini in realtà aumentata e anche un filtro per le storie di Instagram funziona così: tramite lo schermo posso mostrare qualcosa di diverso di una persona o di un oggetto. Sto facendo progettare una App da una società informatica dove l’orchestra e i cantanti hanno il loro posto, ma il resto, come la scenografia, viene scelto dal pubblico. Non è mai stato fatto niente di simile, forse sono fra i primissimi. L’idea è vivere l’opera come viviamo tutto il resto. Può essere un piccolo spiraglio, la possibilità di attrarre chi è abituato a certe sensazioni e si avvicina per curiosità, non sapendo nemmeno chi è Salvatore Frega.
E, chissà, magari mi scopre.