Introvabile, senza replica di ristampa. Prima pubblicazione, nel 1937, edito da Bompiani nel ‘40. Momentaneamente non disponibile.
Un romanzo filosofico godibile in ogni suo rigo. Raffinato e colto. Per chi lo ha incontrato, compagno di vita, compendio di vita. Un manuale con precise linee guida da abbracciare. Caldo nonostante il suo essere carta. Da rileggere quando ci si prende troppo sul serio, nel girone bizzarro della vita terrena, incomprensibile per noi occidentali affetti da varie frenesie dell’animo, ma da comprendere per viverle al meglio.
Lin Yutang è cinese. Prende la mossa dalla sua cultura, un po’ la esalta, ma fa parte del gioco. Va oltre, creando una sorta di formula con lettere e numeri per identificare il pensiero umano. Uno specismo filosofeggiante, in cui analizza il senso di realtà, umorismo, capacità di sognare degli appartenenti alle varie comunità e ai singoli. Un’equazione semplice dove la saggezza del vivere si esplica con la giusta dose di senso della realtà, strettamente collegata al senso dell’umorismo, alla capacità di sognare ed a una buona dose di sensibilità. Giuste parti, miscelate come una pozione magica per camminare sul mondo terreno. Superficie sacra su cui siamo di passaggio, invoca l’autore, per questo non dovremmo affannarci a possedere con avidità. Bizzarria tutta umana quella dell’accumulo materiale, siamo mortali e abbiamo a disposizione solo qualche decennio. Quello che abbiamo oggi sarà di qualcun altro domani.
Ci resta solo quello che ci circonda, nella sua bellezza struggente. Ma per divenire saggi, prima dovremmo avvertire le tragedie della vita, piangere per poi ridere e divenire filosofi sorridenti. Perché lo struggimento non è salutare, bensì lo è il sorriso, la costante accettazione che la vita non si vive con rinuncia o dramma ma godimento e contemplazione. Secondo Yutang i filosofi occidentali, imbronciati e tristi, non hanno ancora lontanamente compreso cosa sia la vita e come tentare di viverla. Perché siamo esseri imperfetti. La nostra mente è nobile ma debole, per questo dovremmo armonizzarla; educare i nostri sensi, accettare l’emotività, accordare gli istinti; essere compassionevoli. Le idee vanno e vengono, i postulati sono più caduchi della carne umane, solo il sentire ragionevolmente può salvarci. E perché no, anche il sogno aiuta a vivere meglio. Però dice l’autore, i sogni devono corrispondere alla realtà; bisogna avvicinarcisi discretamente, esserne aderenti. Così non si cadrà nella follia della fuga dalla realtà.
Nella semplicità sta la virtus, come una discretio sacra, un agire “mezzo e mezzo”; un ordine che consente al cuore pace nel patire, ed in cui la vita ordinata e senza ottusità si disvela. Dall’individuo questa saggezza si espande alla vita familiare, alla cerchia di amici e conoscenti e poi ad un intero popolo.
Ma come vivere felici? Scovando con le papille gustative le varie gradazioni di gusto di una pietanza, sentendo lo stomaco felice. Assaporando ogni cosa. Vivendo con i sensi ma ragionevolmente, perché sì siamo animali umani ma col dono del pensiero. Però attenzione, il pensiero è nobile solo se cerca l’armonia dello sviluppo spirituale. Questo ci allontana dalla bestialità cui i sensi la farebbero da padrone. La felicità è diventata un problema da indagare, questo sembra dire Lin Yutang, in realtà è la più semplice attitudine umana. Ci siamo posti troppe domande, abbiamo lasciato spazio a pensatori che si sono chiesti con troppa veemenza e rassegnazione, quale debba essere lo scopo della vita umana. Yutang sembra sibilare tra le righe “farsi meno domande per avere più risposte”. E la risposta sembra essere di una semplicità disarmante: vivere. Godere della vita stessa, poiché la natura, il creatore, ci ha messo a disposizione molteplicità di piaceri e infinite possibilità di gioia. La vita familiare, i fiori, l’arte, la poesia, una buona lettura, il godimento del cibo, il mare, la Via Lattea, etc.
Non ci perdiamo in astrattezze quando parliamo di felicità, ma restiamo ai fatti.
Scrive, ed elenca i suoi momenti di felicità. Potrebbe averne voglia anche il lettore. Stilare una lista dei piccoli piaceri che sommati formano istanti di gioia.
Con questo lieve interloquire con chi si trova tra le mani il suo libro, Yutang continua discorrendo di vecchiaia, stato umano cui attribuisce la vera frattura tra oriente ed occidente. La spaccatura sta nel modo in cui la si onora. Nel mondo orientale maggiore è il numero di anni che si dichiarano, più alto l’entusiasmo dell’interlocutore. Nessuna corsa all’eternità del corpo, solo una conquistata esperienza di vita cui i giovani devono ed hanno rispetto. L’anziano se tenuto in considerazione dalla società cui appartiene è scrigno di sapienza e vive l’età ultima godendo della contemplazione e dell’ozio. Stato, quello del dolce far niente, salutare per l’animo umano. Yutang tra i godimenti della vita ne elenca alcuni quali lo stare in poltrona, il tempo del tè, l’amore per la casa, i fiori, la contemplazione dello scorrere delle stagioni, l’arte di leggere cui attribuisce massimo godimento, ma solo se si legge per piacere, non per dovere. Invita a bandire il “devo leggere” ed esalta la scelta di un libro come chiave per una buona lettura. Se scegliamo di mangiare ciò che ci piace, dobbiamo leggere ciò che ci piace. Sapore e gusti personali coincidono con la vastità di immagini, emozioni, sconfinamenti che solo un libro desiderato ci regala.
Nonostante l’apparente anacronismo di alcune dissertazioni, le pagine di questo libro dimenticato e scelto sono di una semplicità disarmante. L’autore come aprendo conchiglie, dispone perle preziose di saggezza tra le righe. Va oltre, vive come consiglia di vivere. Si sente leggendo e scorrendo a caso le pagine de Importanza di vivere, senza articolo, per dare maggior enfasi alla solennità della vita.