Questa è la storia di un’antica guerra, una guerra antica come il mondo, anzi forse il mondo cominciò proprio con questa guerra qua; l’antico dilemma su chi avesse il diritto di esister per primo e quindi di prevalere e questo mistero è, ancora oggi, rimasto irrisolto.
Gli uomini che conosciamo oggi tutti insieme si chiamano umanità, ma cosa assai strana, hanno dato vita a questa lotta disumana, a questa faida che, tuttora, non decreta un vincitore e questo per dei motivi, sì più evidenti, ma allo stesso tempo più strani di quanto lo fossero all’inizio, quando cominciò tutto.
Vedo la scena: due eserciti di cavalieri con gli occhi iniettati di sangue. Bandiere rosse da una parte. Bandiere blu dall’altra. Vento caldo che strapazza le bandiere e quasi soffoca gli eserciti… ma oggi è così… oggi…
Oggi è un buon giorno per morire.
Dice un proverbio di guerra.
Anche i cavalli sono impazienti di correre e di farsi ammazzare, mentre l’odore acre della polvere e del sudore dei cavalli che fremono arriva fino su al cervello dei guerrieri; questo odore acido di polvere, fango e puzzo di morte, laddove ognuno di essi è convinto di veder morire tutti i nemici, ma ovviamente non sarà così.
Questa mistura infernale pur così sgradevole produce l’effetto contrario; invece di provare disgusto per tutto questo, questo odore nauseabondo dà ancora più adrenalina e voglia di vedere scorrere il sangue dei nemici, attendendo con ansia il momento di poterli disarcionare, calpestare con gli zoccoli furiosi e soprattutto di ucciderli, non sentendo né le loro grida né sentendo il proprio rimorso per aver ucciso tanti uomini, tanti nemici.
All’inizio si pensò che questa guerra si sarebbe presto conclusa… ma in definitiva… Chi cominciò?
L’inizio della guerra
Andò così: all’inizio del mese di Uzuki (aprile) il cavaliere incaricato del messaggio di guerra partì. Mentre cavalcava il ritmo del suo galoppo si faceva sempre più lento e pesante; era come se un’enorme forza gli desse la percezione che andasse lento, come in una sequenza slow motion, eppure stava correndo e viceversa, era come se le immagini di sé e del suo cavallo si stessero sovrapponendo come in un gioco di specchi malvagi, come se stesse osservando tutto in una esperienza fuori del suo corpo.
Tutti e due ansimavano e i passi lenti del cavallo rimbombavano dentro il cuore del cavaliere, ma la voglia di prevalere sulla paura quasi faceva soffocare il guerriero; poi d’improvviso si ricordò il giuramento che aveva fatto al suo Comandante:
-Soldato! Ti obbligo a giurare a costo della tua vita che non dirai niente! Niente se ti biasimeranno, se diranno che hai paura, se diranno che non sei un uomo, niente se anche diranno che non sai difendere il tuo Generale, tu non parlerai! Giuralo! Altrimenti mi costringi a tagliarti la lingua, adesso!
-Lo giuro mio Signore!
-A costo della tua vita?
-A costo della mia vita!
E così il messaggero dei Blu, alla fine della cavalcata, col suo cavallo bardato e nero come l’inferno si avvicinò alla porta del castello dei Rossi. Voleva lanciare un sasso al portone perché gli faceva ribrezzo persino toccare la porta o dover bussare con la sua lancia, ma non ce ne fu bisogno; lo stavano aspettando…
I Rossi
Sulle mura del castello, i Rossi, tutti schierati uno a fianco all’altro si facevano beffe di lui; ridevano a squarciagola, lo insultavano, proprio come aveva predetto il suo Comandante, ovvero il suo Dio, suo padre e suo figlio insieme, il suo tutto, una di quelle poche cose degne per cui un soldato va a morire felice… ebbene … i Rossi, continuavano a perseguitarlo.
Cominciarono a tirargli piccoli sassi, patate marce, urina, ma mai una freccia, un giavellotto, mai una sola e fottutissima arma, eh no, sarebbe stato troppo facile uccidere un solo soldato; era una guerra totale che volevano, perciò continuarono con gli insulti.
Cosa fece in quel momento il soldato Blu? Nonostante la rabbia salisse nella mente e gli facesse piegare l’addome in un dolore spasmodico quasi stesse per svenire, non parlò, semplicemente perché non poteva parlare! Non si può perdere una guerra arrivando appena alla porta del tuo nemico, non è così?
Per tutta risposta prese la dichiarazione scritta di guerra e con la punta della sua lancia la conficcò sul portone del castello nemico; così era stabilito e così fece… tumm!… il rumore sordo sembrò scuotere le mura della fortificazione nemica ma a scuotersi fu solo, e a ragione, la sua anima compiaciuta di soldato devoto.
Fu così, dopo quella dichiarazione di guerra senza alzare la voce che la guerra ebbe inizio. All’inizio del secondo mese di primavera e cioè Satsuki(maggio) i due eserciti si schierarono.
I Blu
I Blu sapevano che i Rossi avrebbero sferrato un attacco frontale; sentivano distintamente il rombo degli zoccoli dei cavalli dell’esercito dei Rossi tuonare sul terreno come tante piccole bombe e più venivano vicini e più sentivano il frusciare sordo delle armature sfregare contro le gambe dei soldati e al loro volta, graffiare la pelle dei loro cavalli, in un crescendo di terrore e aspettazione di distruzione.
La paura no; quella serviva come carburante da usare dopo al contrattacco per cavalcare con più forza dei nemici; la paura, si sa può essere una benzina molto potente, più potente perfino del coraggio.
Ma i Blu erano più astuti o più semplicemente più guardinghi, più attenti; era come se implicitamente la loro strategia fosse: “Sì, ci batteremo fino all’ultimo sangue, ma non per questo saremo stupidi, non per questo sprecheremo le vite dei nostri soldati, ma saremo più attenti, gireremo intorno, li attireremo in varie imboscate e senza farci vedere ci troveranno dietro le loro spalle… come Tom Cruise ne L’ultimo Samurai, come Rommel nel deserto, insomma come tutti i grandi condottieri della guerra che hanno a cuore anche la vita di un solo singolo soldato.
E così, i Rossi gridando ad alta voce partirono all’attacco, I Blu scivolarono dietro un crinale fingendo di scappare ma si ripresentarono alle loro spalle! Questa battaglia sembrava volgere al termine nel giro di poco tempo ma continuò fino ad oggi. Sì, per quanto possa essere bizzarro e anomalo, la guerra delle parole è nata con l’uomo stesso, insieme all’uomo.
L’esercito Blu: la parola scritta
La parola scritta, non si sente, se non all’interno della nostra mente, poi rimbalza impazzita, con un rumore sordo, profondo come quando sei nel dormiveglia e sul cuscino senti battere il tuo cuore, bom, bom, bom, uno, due, quattro, bom, bom, bom, mille volte, così, ritmo lento ma inesorabile che a volte fa ansia che a sua volta genera altra ansia, che genera terrore e così all’infinito.
La parola scritta sa fare molte cose: sa descrivere cose viste ed anche con la stessa forza e la stessa intensità, anche cose mai viste. La scrittura sa declinare i verbi, aggiustare le consonanti, dipingere personaggi illustri e benevoli, sa ritrarre assassini ripugnanti facendoci sentire l’odore di morte racchiuso in mani che non vediamo ma che immaginiamo vecchie e consumate; la scrittura sa dar vita a personaggi affascinanti e vuoti, a gentlemen mai esistiti e a donne sfuggenti e affascinanti.
La scrittura sa ripetere a memoria senza sbagliare mai, voci, nomi, proverbi, avverbi, dittonghi, aggettivi, pronomi personali e impersonali… (?) e cose strane che a scuola devi imparare a memoria, ma scrivendoli è più facile poterli ingannare. Quante volte ho corretto il mio pensiero senza che destassi in altri il minimo sospetto (ih, ih, ih, ihi!). È una domanda, anzi… è una domanda?
La scrittura ama solo farsi leggere; come le poesie, per esempio, che aborro sentirle ripetere a voce alta o lette con enfasi melodrammatica, come un guitto da palcoscenico della peggiore specie. Che orrore!! La poesia è una cosa interna! Sgorga dentro e solo il nostro cuore, in silenzio deve ripetere quelle parole! Non un alito, non un gemito, non un suono devono produrre le parole scritte con tanta bellezza.
Così la guerra è impari, cari amici miei Rossi che altro non siete e non sapete fare!!!!!
La scrittura, o mia adorata, (oddiomisonotradito) sa rendere bello anche il giorno più grigio perché così ha voluto il fato, lo scrittore, l’editore, il pubblico inferocito.
La scrittura sa ampliare all’infinito una grammatica e una verbosità che non troviamo nel quotidiano e la scrittura può con migliaia di parole aver ragione della testa più ostinata, del capo più cocciuto, della persona che ci parla sopra e che con metodo nazista ti manda puntualmente in confusione.
La scrittura sa descrivere un ambiente, ora caldo e soffocante ora freddo e pungente, ora tetro, raccapricciante, serio serioso ma anche ammiccante, ma lo scopo è sempre lo stesso, farci vivere in 3D ciò che solo la realtà potrebbe superare. Potrebbe? Oppure no? La scrittura ci fa desiderare che la realtà sia reale come quella sulla pagina, come quella sul giornale.
Che maleficio è mai questo? Una pagina stampata è geniale e riesce meglio del “normale”? Ma poi cos’è normale in fondo, se non quello che gira nella mia testa quando vedo una pagina bianca? Una pagina bianca, ansimante, fredda come l’alba in Danimarca, fredda come una donna aristocratica che ti guarda come un provinciale, fredda come una barra d’acciaio sbattuta forte contro la mia mano.
È lei che ha provocato! Sì, la pagina bianca, mi ha sfidato, ormai è chiaro. Voleva farmi sentire come Stendhal, voleva che non fossi capace! Anzi voleva sfidare la mia incapacità a riempirla e così dimostrare ancora una volta che i Blu non servonooooo!!!!!!!
L’esercito dei Rossi: la parola orale
La parola orale è sempre una forzatura ma bisogna riconoscere che è duttile: ora grida, ora sussurra, ora blandisce, adesso scherza, ora convince. Può con un discorso vigoroso incitare a far meglio. Può raccomandarci di saper perdonare.
La parola più esperta acuisce le differenze, può essere sprezzante, può fare male, aumenta il razzismo con un commento denigratorio grossolano…” lui è così perché eccetera, eccetera, (meno male che con “eccetera” non mi lascio trascinare a ripetere cose indegne).
Ma è tutto qui? Forse no.
In questa storia fantastica ognuno dei primi esseri umani si arroga il diritto ad aver iniziato per primo… ma il punto è proprio questo… chi stabilisce qual è il motivo della guerra? Perché ognuno si crede nel giusto? Penso che ritroverò questo concetto più volte… in fondo, fino alla fine.
L’inizio di una guerra inizia con una discussione ad alta voce, poi bisogna scrivere una dichiarazione di guerra e poi, a voce alta bisogna proclamarla di nuovo; tre passaggi fondamentali, legatissimi tra loro, anzi direi indissolubili.
E così i Blu parlarono tra di loro ed arrivarono ad un accordo; “Faremo guerra una volta per tutte alla parola orale!!”. Poi si riunirono di nuovo, come i guerrieri Blu di Akira Kurosawa in Ran, e poi… non ebbero il coraggio di parlare ai Rossi, infatti, che contraddizione sarebbe stata??!!
Comunque, come ogni guerra che si rispetti, alla fine si concluse con un Matrimonio. Non troppo convincente si sa, ma fu così che finì una magnifica storia di guerra. E cosa produsse questo matrimonio? I due contendenti si sposarono con tutti i soldati schierati, i generali in alta uniforme, tutti i loro cavalli neri come la pece, bardati a festa.
Ed ecco, come per magia, i loro figli: il teatro; dove tutto quello che è finto sembra vero!!! Dove tutte le parole vengono espresse ad alta voce, dove lo scioglilingua assurdo non si ferma da secoli, dove si potrebbe parlare per degli anni continuativamente senza fermarsi mai trapassando il cervello degli ascoltatori ma d’altronde il pubblico estasiato ai piedi degli attori si nutre di tutto questo e vuole consapevolmente farsi sommergere da tanta bellezza, come una pecora che va al macello però in modo spontaneo.
Migliaia di anni di teatro hanno inconsapevolmente unito questi due contendenti simbolici e li hanno costretti, a loro totale sorpresa a lavorare l’uno per l’altro.
Il guerriero Blu, lo scrittore di commedie o drammi ha scritto cose bellissime che però sarebbero state incompiute se non si fossero mai rappresentate. Si è dovuto quindi chiamare un soldato Rosso, un regista, un attore, un’attrice per dar voce a tutto questo meraviglioso cibo scritto.
Il cinema
Come faccio a gridare se sto scrivendo? Con una sfilza di punti esclamativi, così forse è più chiaro quanto io ami il cinema!!!!!!!!!!!!!
Questo figlio è assai diverso; ad imitazione proprio del genitore Rosso, il cinema sa sussurrare, sa ascoltare, sa parlare a voce alta, sa dare voce alle emozioni dentro di noi, senza che il personaggio debba parlare espressamente, come quando ascoltiamo i nostri pensieri parlare a voce sommessa dentro la nostra mente.
Il cinema, quasi meglio della realtà stessa, ha rubato le parole scritte e ha rubato anche quelle parlate, ha rubato le emozioni a tutta la letteratura ed ora, anche se noi tutti sappiamo di chi è figlio, ora sì proprio ora, ci propone il suo inganno più grande al tempo stesso la sua magia più eccelsa: far sembrare tutto quello che è finto vita reale.
Inoltre, a mio avviso, il cinema, come le poesie ben scritte che, ripeto, vanno lette nel silenzio della nostra mente, il cinema ha iniziato con un cinema muto delegando alle parole in sovraimpressione l’ardito compito di descrivere le immagini ma poi… ha fatto di meglio! Subito dopo il periodo muto, che quindi chiamerei a giusta ragione Blu, il cinema si è servito in maniera ampia di dialoghi ben scritti, che tutti noi, per esempio, citiamo con frasi ad effetto. Ma il cinema fa di più: può creare immagini senza alcun suono che però nella nostra mente traducono parole inespresse proprio come fa la poesia che rimane in fondo al cuore.
I libri
Ladies & Gentlemen… è forse qui che il matrimonio tra la parola scritta e quella orale ha creato il più grande, ambiguo ed incontrovertibile inganno e sortilegio… Sì, proprio qui, con questo figlio. A dire il vero, come dicevano gli antichi e come diceva anche mio zio, i libri si sono intrinsecamente ed anche consapevolmente presi una bella rivincita sugli altri fratelli.
I libri, quei dannati libri che, come il più potente degli eserciti, l’esercito romano, prima ha accerchiato la mia libreria, poi l’ha invasa senza dargli nessuna possibile via di fuga, or dunque, (come potevo non metterlo or dunque) i libri sono il figlio maggiore, il primogenito di questa antichissima guerra.
I libri sembrano siano in silenzio, ma guardate bene!, non li vedete tutti allineati uno a fianco all’altro come i soldati dai quali proviene la battaglia di Uzuki? Sono lì, uno schierato vicino all’altro, minacciosi mi guardano, sospirano in silenzio dallo scaffale, pronti a “scatenare un inferno”.
Sono lì, apparentemente innocui, i gialli vicino ai saggi, i polizieschi vicino ai libri di storia, i libri di guerra, vicino ai romanzi strappalacrime e poi quelli con gli occhietti innocenti e languidi, quelli delle favole, vicino a quelli ancora più zuccherosi sui pittori dell’Impressionismo francese, tutti vicini ma non per questo amici, vicini e pronti a farsi la guerra, a tirarsi calci a tradimento come dei maratoneti che allo start della corsa non vedono l’ora di darsi un colpo, piazzando una gomitata ben assestata al fianco del compagno. sì come no!, del nemico, del competitor, del soldato rivale, Blu o Rosso che sia (accidenti a lui!).
Sì, sempre da loro dobbiamo tornare per raccontare un’opera teatrale, un film, uno sketch, una fiction… Dove stiamo andando dunque? Questa è la risposta definitiva al protrarsi di questa guerra? E quindi in sostanza, il matrimonio c’è veramente stato? Oppure è da considerarsi nullo? Tutti a casa??? Stupore misto a rancore, faccia storta in secondo piano.
Invece di aspettare i soliti posteri che, accidenti a loro sembrano avere le risposte su tutto (ma come fanno?) ora vi dico la risposta, anzi no, mentre tentenno… sento una voce minacciosa che dall’esercito di fronte a me dice: “Parla maledetto soldato, parla!”.
La mia risposta è… eccola la dico… è… sì la dico, la dico, un attimo… anzi, vado di là e ve la scrivo.