Imprenditrice, giornalista, scrittrice, Daria Colombo è sposata con Roberto Vecchioni con il quale collabora professionalmente da oltre 30 anni e con cui condivide anche l’impegno sociale. Da sempre in politica “esclusivamente da volontaria”, è tra i fondatori del movimento nazionale de “I Girotondi” che ha portato in piazza un milione di persone. È stata Delegata alle Pari Opportunità di genere del Comune di Milano nella prima giunta Sala.
Ha pubblicato Meglio dirselo (Rizzoli, 2010), disponibile in edizione BUR, con cui ha vinto il premio Bagutta Opera Prima, nel 2015, Alla nostra età, con la nostra bellezza (Rizzoli) dal quale è stato tratto il recital La forza delle donne e nel 2019 Cara Premier ti scrivo (La Nave di Teseo), vincitore del Premio Giuditta.
Come le piacerebbe raccontare la sua storia? C’era una volta…
Sono sincera, non amo parlare di me. Non ritengo che la mia storia sia più importante o interessante di qualsiasi altra, ma non per falsa modestia o bassa autostima, semplicemente perché penso che ciascuna persona rappresenti un mondo che varrebbe la pena raccontare. E questo a prescindere dalla sua popolarità che poi quasi sempre deriva solo dalle opportunità che si sono avute, anche se riconosco che spesso c’è del merito nell’averle ricercate e perseguite.
Il suo amore per lo spettacolo, cinema, teatro, musica, un’appassionata dell’arte.
Sono tutte passioni che vengono da lontano… dalla mia insegnante d’arte del liceo che parlava del senso dell’armonia e ce la mostrava nelle sue svariate forme, dai miei studi universitari… Ho studiato cinema, e dopo la laurea in lettere, mi sono specializzata in storia del teatro… Di musica in realtà m’intendo molto poco, è entrata nella mia vita tardi, quando ho conosciuto mio marito.
E anche l’arte del prendersi cura in ambito sociale. Ci vuole raccontare come sorge questa passione e dedizione per gli altri?
L’attenzione verso gli altri invece non l’ho mai appresa, mi appartiene da sempre, è sempre stata un aspetto pregnante del mio carattere, fin da bambina. Forse dovuta a mio padre, un ex partigiano che ha dedicato la sua vita alla politica - quella intesa nella sua forma più alta - ma anche a mia madre di estrazione cattolica, per la quale “ama il prossimo tuo” era molto di più che un comandamento.
È noto il suo impegno di volontariato in Kenya con un’attenzione particolare ai bambini di strada.
Anche qui la fortuna delle opportunità. Ci siamo innamorati del Kenya, dei suoi paesaggi e dei suoi abitanti… Per anni abbiamo avuto una casetta là, ma mica facevamo i turisti… Come si può non fare nulla quando tocchi con mano quel tipo di miseria? Bambini che vivevano tra i rifiuti delle baraccopoli a sniffare colla per non sentire i morsi della fame… Ritrovarne alcuni, a distanza di anni, ormai giovani uomini avviati verso una vita dignitosa è qualcosa che ha decisamente restituito più a me di quanto io abbia mai potuto dare loro.
La cura per le persone si esplica non solo nel sociale, ma anche in impegno politico.
Come dicevo prima, la politica in casa mia è stata sempre essenziale. Per mio padre il delitto più grande - credo subito dopo l’omicidio - era non votare. L’impegno politico per me è sempre stato un dovere imprescindibile già dagli anni del liceo. Erano anni interessanti, anni in cui si diceva che anche il privato era politico, che avremmo costruito un mondo migliore… Oggi qualche dubbio in più ce l’ho, ma l’impegno politico resta una parte di quello che sono, nel bene e nel male. Però intendiamoci, la politica appartiene a tanti luoghi, tutti legittimi, non solo ai partiti. C’è la piazza, il movimentismo, le istituzioni, l’associazionismo. Si può dire che io li ho frequentati un po’ tutti e sempre facendo mia un’unica costante: il tentativo di lasciare le cose un po’ meglio di come le avevo trovate. A volte ci sono riuscita, a volte no.
E poi germina anche l’espressione di sé nella scrittura. Ecco il fiorire di libri. Quale spazio particolare rappresenta per lei il mettere in parola scritta i suoi pensieri, i colori emotivi del suo mondo interno ed esterno? Mi piace pensare che sia finalmente un momento tutto suo, creativo, dove, questa volta, si prende cura di sé.
In realtà scrivere per me è stata quasi una naturale conseguenza di tutto questo. Le racconto una cosa. Quando è uscito il mio primo libro, un critico disse che avevo inventato un genere, quello sentimental/politico. Non so se lui lo dicesse per farmi un complimento, ma per me è stato così. Io l’ho presa come una medaglia, proprio perché ritengo i sentimenti e la politica - che sono poi ciò che proviamo dentro di noi e che ci rende unici, e l’attenzione verso gli altri, cioè a ciò che è fuori di noi - restino le coordinate nelle quali si muove l’intera umanità. Io non scrivo trattati o saggi, probabilmente non ne sarei neanche capace, io faccio narrativa. Attraverso i personaggi dei miei libri, le mie piccole storie - anche se in realtà non esistono “storie piccole” perché tutte le vite hanno pari dignità - io tento di parlare anche degli aspetti sociali che ci sono dietro, quelli giusti, ma soprattutto quelli sbagliati.
Certo la scrittura è pure un momento privato, serve anche a guardare dentro di me ed è qualcosa che mi prende e mi appassiona molto. Succede spesso che io mi metta a scrivere - di solito la mattina molto presto - poi guardi l’orologio, e realizzi improvvisamente quanto tempo sia trascorso senza che me ne rendessi conto. Però una volta arrivata in fondo, finito il libro, penso che quello già non mi appartenga più, mi serve solo per parlare dei problemi che ci sono dietro.
Come riesce a far fronte a tanti impegni in tanti ambiti? Penso alla sua famiglia, al lavoro, all’esperienza in Kenya e al coinvolgimento politico.
Non mi ritengo migliore di tante altre donne che fanno i salti mortali per tenere insieme tutto. Purtroppo le disparità di opportunità, la distribuzione ancora assai sbilanciata dei carichi famigliari, gli stereotipi culturali che rallentano il progresso del mondo femminile, da noi rappresentano tuttora un problema assai lontano dall’essere risolto. Tutto ciò penalizza non solo noi donne che paghiamo ancora prezzi altissimi sia in termini individuali che professionali, ma impoverisce e danneggia tutti, anche gli uomini. Una società disparitaria da questo punto di vista è certamente una società più disarmonica, economicamente meno proficua e anche più violenta… Per questo sono orgogliosa di aver dedicato gli ultimi cinque anni della mia vita lavorando con l’Amministrazione milanese per tentare di sviluppare le pari opportunità di genere nella mia città.
In particolare, pensa di aver sottratto attenzioni o è riuscita a conciliare i bisogni della sua famiglia per poter realizzare i molteplici interessi e obiettivi che hanno e continuano a costellare la sua vita?
Questo non sono io a doverlo dire. Bisognerebbe chiedere a mio marito e ai miei figli. Onestamente credo di aver fatto tutto il possibile, piuttosto sono arrivata a sacrificare dei pezzi di me. Proprio impegnandomi perché questo non avvenisse per altre donne, spiegando loro che è sbagliato, ho capito come forse non sia stato sempre giusto neppure per me. Ma che vuole, anche se la teoria la conosco bene, io stessa sono stata vittima degli stereotipi dei quali era imbevuta la mia generazione. C’è ancora tanto lavoro da fare, specie dal punto di vista culturale. Però io ho molta fiducia nelle ragazze e nei ragazzi: molte e molti giovani oggi sono decisamente migliori di come eravamo noi anche da questo punto di vista.
E i membri della sua famiglia come vivono la sua dedizione anche all’esterno?
Credo che loro sappiano bene che questo è il “pacchetto Daria” tutto compreso: sono stata, sono, e sarò sempre una madre e una moglie attenta alle loro esigenze, ma non posso esserlo esclusivamente alle loro, io non sono solo quella persona lì.
Non si può non dedicare un pensiero alla condizione del femminile a cui viene demandato il dover prendersi cura per antonomasia.
Qualcosa l’abbiamo già accennato… Una società migliore richiederebbe competenze e attitudini femminili espresse ad ogni livello e in ciascuno dei suoi ambiti, ma al tempo stesso richiederebbe anche la condivisione con gli uomini del lavoro di cura che non può e non deve restare solo una prerogativa delle donne. E poi bisogna comprendere che occuparsi degli altri esseri umani, specie dei più fragili, dei bambini, degli anziani, degli ammalati, e anche della terra che è sempre più a rischio per le future generazioni, è una forma di politica. La cura del pianeta e dei suoi abitanti è essa stessa politica. Qui però il discorso si farebbe molto lungo e articolato, non a caso questo è stato il tema centrale del mio ultimo libro, naturalmente affrontato sempre attraverso piccole, grandi storie.
Qual è il suo modo per prendere fiato e ricaricarsi? Da dove attinge tanta ricchezza ed energia?
Leggo molto, considero la lettura una fuga e al tempo stesso un enorme arricchimento, sono talmente tante le cose da sapere e la vita è così breve… E poi mi occupo del mio giardino quando sono in campagna, o anche del mio balcone di Milano… Le piante mi danno grande soddisfazione e serenità: ogni volta che vedo sbocciare un fiore mi sembra un miracolo. Sono particolarmente soddisfatta delle mie forsizie e dei miei lillà.
Cosa vuol dire abitare a Milano quando si ha tanto da dare e da fare? Come ha accolto la sua intraprendenza e la sua militanza a tutto tondo?
In realtà Milano è la città che mi sono scelta, scappando dalla provincia appena dopo la laurea. Con il suo dinamismo sembrava congeniale al mio carattere, l’ho fatto ancora prima di incontrarci l’uomo con il quale avrei messo su famiglia e non me ne sono mai pentita.
Come sente Milano? Città amica, vicina, soccorrevole o…?
Milano è casa mia, è l’amore della vita, quello di cui non potresti mai fare a meno e che non ti è mai indifferente. Proprio per questo ogni tanto ti fa arrabbiare: vorresti che fosse migliore e ti fa star male a vedere i suoi difetti. Milano è certamente una città generosa ma è anche molto esigente.
C’è un angolino, o una zona, o altro, in città, che rappresenta per lei il luogo del rifugio, della bellezza, del “sentirsi a casa”?
I suoi parchi, senza di loro Milano non sarebbe Milano. Almeno due, tre volte a settimana vado a fare delle gran passeggiate ai giardini, ne conosco ogni angolo, ogni albero. Certo non è sempre facile trovare il tempo, ma questo mi rigenera. Meglio ancora se, camminando tra il verde, riesco ad ascoltare un buon audiolibro.