L'immagine femminile è stata l'oggetto prediletto della creatività, le statuette antropomorfe, chiamate “Le Veneri Preistoriche”, alte 10/15 centimetri, di pietra, osso, o di steatite, trovate in vari scavi ritraggono più di 25.000 anni fa una donna che è genitrice dell'essere umano, che veniva adorata e alla quale millenni dopo venivano dedicate cerimonie con offerte votive, riportato in molte testimonianze: nel passato più antico infatti la donna era associata all'idea della fecondità, protagonista della vita.
In epoche a noi più vicine la donna è diventata un modello di bellezza e di erotismo da studiare e rappresentare e la modella è stata la musa ispiratrice, ma anche la fonte del peccato, oppure l'esempio delle doti domestiche e della virginale maternità, una donna madre che per tutto il Medioevo, fino al ‘600 si è identificata nell'immagine sacra della Madonna.
Nell'immaginario maschile, predominante nel campo delle arti, la figura ancestrale della madre è una presenza insistente e prevalente, una figura che col passare del tempo e del mutare dei costumi si è trasformata, in certa arte nella cultura occidentale, in una tentatrice distruttiva, sensuale e pericolosa per l'uomo perchè seducente.
Il riscatto della donna artista è avvenuto solo nel ‘900.
Pur essendo il soggetto privilegiato della rappresentazione artistica, è difficile ricostruire la sua presenza attiva nel campo artistico perchè per secoli la donna artista è stata invisibile o quasi, la sua attività si svolgeva tra le mura domestiche, nei conventi e le sue occupazioni principali si svolgevano nell'ambito delle arti cosiddette minori, come il ricamo, la tessitura e la miniatura.
Non si addiceva ad una donna tenere in mano pennelli, martello o scalpello, soprattutto la si voleva tenere lontana dal nudo maschile e dalla promiscuità con uomini, il che offendeva la sua virginale virtù.
È stato durissimo per la donna ottenere il privilegio di essere ammessa in un'accademia di Belle Arti proprio per questo motivo. Ma alla fine le donne ce l'hanno fatta!
La donna ha avuto dalla natura lo stesso dono di creatività che appartiene all'uomo, il che ad un certo punto, sfondati tutti i muri di resistenza, le ha permesso di affermare il proprio diritto ad esercitarla.
Ma cosa accomuna le donne pittrici ed artiste del passato? Il talento, la voglia di non piegarsi alle regole imposte dalla società del loro tempo.
Fragili, ma indomabili, si sono difese dalla violenza maschile, dalle avversità dei tempi, dalla ferocia della storia, dai tormenti delle malattie, dai pregiudizi. Ebbero vite tempestose e luminose, ognuna con una speciale virtù per reagire alla prepotenza del mondo circostante.
Ognuna di loro, quando riuscì ad essere riconosciuta come artista, rivolse alla realtà femminile uno sguardo diverso e partecipe, capace di raccontare gioie e ferite come la mano maschile non aveva mai fatto: ognuna ha contribuito a cambiare la posizione femminile da un’eterna periferia al centro della scena.
Le donne che in passato sono riuscite a diventare artiste importanti hanno dovuto combattere una lotta corpo a corpo col proprio tempo, superare ostacoli, impossibilità, incomprensioni, violenze, condanne, delusioni.
Per questo sono state maestre di disobbedienza, anche se bistrattate, sottovalutate, hanno non poco faticato a veder riconosciuti i loro diritti, rimanendo per anni nascoste dietro a figure maschili, ma hanno sempre fatto parte dell'arte, anche se in modo non plateale.
Le donne pittrici cominciarono ad esprimere la loro personalità femminile solo quando riuscirono ad affrancarsi dal giogo delle figure maschili di riferimento: i loro dipinti, lavorando a stretto contatto col familiare che le aveva avviate nell'arte, producevano una pittura che non si distingueva da quella maschile a conferma della loro mancata affermazione individuale.
E spesso hanno superato in bravura e creatività i propri padri e maestri.
Le prime pittrici ricordate nei libri di storia sono quelle nominate da Plinio il Vecchio e si riferiscono alle artiste dell’antica Grecia Timarete, Kalipso, Aristarete, e Olympas, ma solo nel sedicesimo secolo vi è stata la loro comparsa ufficiale nella storia dell'arte.
Nel Medioevo gli artisti erano per lo più anonimi, poiché molto raramente veniva indicato il nome dell'autore di un'opera, essendo gli artisti considerati artigiani e si veniva menzionati personalmente solo se si faceva parte di una corporazione.
Solo a partire dal sedicesimo secolo riescono a farsi riconoscere alcune pittrici anche a livello più ampio del loro luogo di residenza, alcune addirittura superano i confini per raggiungere altri Paesi europei.
La prima che va ricordata è sicuramente Marietta Robusti, detta “Tintoretta”, figlia illegittima del Tintoretto, nata a Venezia forse verso il 1554, da una relazione del padre con la cortigiana tedesca Cornelia, che morì nel darla alla luce. Era la prima figlia del celebre pittore, che in seguito si sposò ed ebbe altri sette figli. Egli crebbe la piccola, e le si affezionò a tal punto da portarla sempre con sé, per farlo la vestiva con abiti da maschietto per aggirare i divieti imposti alle donne, le insegnò l'arte di dipingere e di disegnare. Ben presto la inserì nella sua bottega e la piccola dimostrò da subito di aver ereditato da lui una grande abilità nel disegno. Imparava rapidamente, più degli altri figli e per il padre divenne la più valida assistente e il più grande sostegno nell'esecuzione delle opere che le affidava, facendole passare per sue. Marietta trascorse tutta la vita nella sua bottega, si perfezionò a tal punto che non era più possibile distinguere la sua mano da quella del padre. La pittrice era particolarmente dotata nel ritratto, che le veniva richiesto dai notabili del suo tempo, divenne una moda a Venezia posare per lei. La sua fama crebbe a tal punto che Massimiliano II d'Austria e Filippo II, re di Spagna la invitarono alla loro corte. Il padre la volle tenere presso di sé e lei fu costretta a rifiutare gli inviti perchè la diede in sposa al gioielliere Jacopo D'Augusta, in modo che restasse a Venezia, ma il matrimonio durò pochi anni.
Infatti, il primo figlio Jacometto morì a soli undici mesi. Marietta si rifugiò in campagna, si ammalò e, non riuscendo a sopravvivere a tanto dolore, nel 1590 morì in seguito ad una malattia. Aveva all'incirca trent'anni. Il Tintoretto fu distrutto per il dolore della morte dell'amata figlia e volle ritrarla sul letto di morte. Venne sepolta a Venezia nella chiesa della Madonna dell'Orto, dove in seguito si fece tumulare anche il padre: è un altro esempio di pittrice che non esprime la personalità del suo genere.
È difficile attribuirle delle opere, perchè la sua tecnica veniva confusa con quella del padre. L'unico dipinto certo, perchè contrassegnato con una “M.”, è l'Autoritratto con in mano un madrigale di Verdelotto, infatti, la pittrice aveva un grande talento musicale. Non le fu mai possibile avere una vita autonoma dal padre, anche se ebbe la fortuna di essere circondata dal suo amore.
Al contrario di lei, la cremonese Sofonisba Anguissola, nata a Cremona nel 1531, che apparteneva ad una nobile famiglia cremonese, invitata alla corte di Spagna, poté esercitare la sua funzione di ritrattista perchè ebbe la fortuna di avere un padre liberale e grande appassionato di pittura che le consentì di partire per il lungo viaggio con una galea che partì da Genova. I suoi ritratti sono un perfetto esempio di pittura italiana rinascimentale. Fu una delle prime esponenti femminili della pittura europea, partecipò come figura di spicco alla vita artistica delle corti italiane, ebbe una fitta corrispondenza con i più famosi artisti del suo tempo. In seguito, si sposò due volte, si trasferì a Palermo ove morì nel 1625. Ci ha lasciato molte meravigliose opere. Le donne sono attente osservatrici, sensibili e con sentimenti delicati; perciò, si sanno esprimere meglio degli uomini nel ritratto, ambito in cui si distinguono.
Artemisia Gentileschi è amata e conosciuta oggi anche per la sua tragica storia, oltre che per l'indiscussa bravura, divenne nel tempo un simbolo del femminismo internazionale con associazioni e circoli dedicati a lei. La pittrice lavorò per famiglie reali e nobili, come i Medici e Carlo I d'Inghilterra.
Ancora oggi è considerata simbolo di indipendenza e affermazione personale. Il padre Orazio Gentileschi, fu il suo maestro, ma lei lo superò in bravura. Era nata a Roma nel 1593, il padre era amico del Caravaggio e i suoi lavori, come quelli di Artemisia appartengono alla Scuola Caravaggesca. Già dal 1610 si era messa in luce con l'opera Susanna e i Vecchioni, ma è di quel periodo lo stupro che subì da parte di Agostino Tassi, pittore che bazzicava nello studio del padre. I fatti sono conosciuti, perchè ebbero grande risonanza anche a quei tempi. In conclusione ad essi, benché fosse riconosciuta la sua innocenza, Artemisia fu costretta a lasciare Roma, per la vasta eco che suscitò lo scandalo. Ma ciò le permise di iniziare una seconda vita, fu accolta, prima donna in Europa, nell'Accademia del Disegno di Firenze. Negli anni fiorentini realizzò le sue opere più celebri, che, come tema, hanno tutte donne coraggiose, determinate e dedite al sacrificio come le eroine bibliche, a riscatto dell'affronto subito. Tornò poi a Roma, andò a Napoli, raggiunse il padre a Londra alla Corte di Carlo I. Artemisia morì nel 1653, lasciandoci i suoi capolavori e l'esempio del suo coraggio. Come le precedenti, anche di questa pittrice non si riconosce la sensibilità di genere, troppo legata al padre.
Fede Galizia era nata probabilmente nel 1578, forse a Milano dove visse. Iniziò a lavorare nella bottega del padre, Nunzio Galizia, miniaturista e costumista conosciuto ai tempi. La figlia collaborò con lui fin dall'infanzia, dimostrando subito di essere molto dotata nella ritrattistica come le precedenti artiste, per cui ebbe molte committenze da parte di personaggi importanti, riscuotendo grande successo. Si dedicò anche a opere più rilevanti, soprattutto temi biblici.
Ma ciò che la rende unica per il suo tempo è la natura morta, che cominciava a muovere i primi passi come genere a sé stante e che Fede dipingeva per diletto personale, non essendo ancora apprezzata e richiesta la natura morta a quei tempi. La pittrice si differenziò subito dagli artisti che cominciavano a dedicarsi a questa tematica, esprimendo nelle sue opere la delicatezza del suo animo. La sua opera Alzata con prugne del 1602 è uno dei primi esempi di natura morta. È un'immagine che ferma il tempo con la sua raffinatezza per la bellezza dispiegata, per il senso della vita che passa, della bellezza che sfiorisce. È una pittura, la sua, che testimonia la sua segreta e profonda ricchezza interiore. Morì di peste nel 1630.
Fede Galizia dipinse molte altre opere, più importanti a quei tempi. Ma è stata unica del suo genere con le nature morte. Questa pittrice, come la Gentileschi, non si formò mai una famiglia, dedicò tutta la sua vita all'arte, e poté esprimerla solo per l'appoggio del padre.
Nel ‘700 vi fu Rosalba Carriera, una ritrattista e pittrice veneziana, nata nel 1675, che ritrasse i più grandi e famosi personaggi del suo tempo alle Corti dei re e dei principi.
Durante l'infanzia, che trascorse serenamente accanto alla madre che si dedicava all'arte del pizzo e del merletto, ebbe modo di studiare, oltre al ricamo, musica e pittura, come tutte le fanciulle di buona famiglia di quei tempi.
Ben presto di dedicò alla miniatura, ove dimostrò da subito la sua bravura. Con la diffusione del tabacco, ebbero molto successo le tabacchiere, il cui coperchio veniva dipinto con accuratezza: Rosalba fu la prima pittrice che scelse di usare l'avorio per decorarne i coperchi, che poi venivano dipinti. Il suo soggetto preferito erano vezzose damine vestite con abiti eleganti, ricchi di pizzi, gioielli, pellicce, cappelli e decorazioni varie. Visto il successo delle miniature, Rosalba si perfezionò nel ritratto, utilizzando con maestria il pastello. La sua fama si accrebbe, molti personaggi famosi che si recavano in viaggio a Venezia vollero i suoi ritratti. Fu richiesta a Parigi, ove dipinse molti nobili e nobildonne, persino il re Luigi XV volle il ritratto. La sua fama la fece acclamare membro della prestigiosa Accademia di Francia, inusuale per una donna. Tornata in Italia si recò a Roma dove ottenne il titolo di “Accademico di Merito”, che veniva attribuito ad artisti non romani da parte dell’Accademia di San Luca. In seguito fu invitata dal re di Polonia, che collezionò molte delle sue opere, che divennero la base della Gemäldegalerie Alte Meister di Dresda.
Ebbe una vita lunga, morì nel 1757 a Venezia, all'età di 82 anni, ma gli ultimi anni furono assai tristi a causa della cecità che non le permise più di dipingere. Riuscì a farsi conoscere per la grande bravura dimostrata e per il fatto che frequentava ambienti altolocati, dove ben presto la sua fama si allargò, anche perchè aveva ritratto le più belle donne di Venezia: il fatto suscitò clamore, in un ambiente in cui i festeggiamenti, gli incontri e i circoli erano molto vivaci ed attivi ed erano una parte importante della vita sociale dei nobili e dei ricchi borghesi.
Il fatto che non ci fosse una figura maschile dominante accanto le permise di esprimere gusto, delicatezza e dolcezza tutte femminili: ormai le donne cominciavano ad affermarsi, i tempi stavano cambiando.
Elisabetta Sirani a 17 anni, nata nel 1638 a Bologna, era già considerata in grado di gestire una sua scuola d'arte per fanciulle, data la bravura. A queste ragazze insegnava il disegno, le tecniche della pittura e l'incisione. Nonostante la giovane età era apprezzata nelle corti europee per l'intensità espressiva unita a una grande raffinatezza. Produsse più di 200 opere prima di morire a 27 anni per un'ulcera perforata: era il 1665.
Nel frattempo, si stava affermando rapidamente nel Nord dell'Europa una ricca borghesia mercantile, interessata ad arricchire le proprie case che richiedevano ai committenti opere decorative: si diffuse così il genere della natura morta, che fino ad allora era stata solo un particolare secondario in opere ben più impegnative, mitologiche o bibliche.
In questo genere in Olanda si fecero notare le pittrici Clara Peeters, Maria Van Osterwiijck e Rachel Ruysch, come la milanese Fede Galizia in Italia.
In Francia si fece notare nel ‘700 Marie Guillemine Benoist, nata a Parigi nel 1768, allieva del grande David, pittore napoleonico: con lei inizia il filone dell'arte di protesta, infatti si batté per l'abolizione della schiavitù anche attraverso quadri simbolici, diventati famosi come il Ritratto di Nera, dipinto sei anni dopo l'abolizione della schiavitù in Francia e nelle colonie: a quei tempi fu considerato un vero e proprio manifesto di emancipazione femminile e della gente di colore. Qualcosa stava veramente cambiando e per opera di un'artista donna.
Nel 1741, a Coira, nei Grigioni in Svizzera nacque Angelika Kauffmann, che divenne famosa per la ritrattistica e per i soggetti storici: la piccola trascorse la sua infanzia in Austria, la terra dei suoi avi. Il padre, di umile levatura, ma talentuoso pittore, le trasmise l'amore per il disegno e ben presto le insegnò l'arte della pittura. Cominciò a dipingere ritratti fin dall'adolescenza che trascorse a Milano insieme ai genitori.
Venne purtroppo a mancare la madre, per cui col padre tornò in Austria, al servizio della nobiltà tedesca. Fu poi portata in Italia dal padre per completare l'educazione: a Firenze ottenne il diploma dell'Accademia di Belle Arti. Si recò poi a Roma e a Napoli, ottenendo dappertutto commissioni da corti e nobili. Conobbe illustri personaggi ed ebbe modo di visitare i più grandi musei del tempo con le meravigliose opere rinascimentali dei grandi Maestri. Angelika eccelleva nel ritratto, ma fu attratta dalla raffigurazione di soggetti storici. In seguito si recò a Venezia e quindi a Parigi e Londra, dove insieme a Mary Moser, fu l'unica donna fondatrice della Royal Academy of Art. Tra i tanti personaggi famosi che conobbe, divenne amica di Joshua Reynolds. Sposò un conte svedese, che tuttavia si rivelò un impostore e che le sottrasse tutti i risparmi fuggendo. La Chiesa Anglicana anni dopo invalidò il matrimonio, per cui Angelika poté risposarsi col pittore veneziano Antonio Zucchi. I coniugi lasciarono Londra per Venezia e quindi si recarono a Roma, ove la pittrice si sentiva a proprio agio con la nobiltà e dove visse fino alla morte, mantenendo costanti contatti col mondo artistico inglese e coi mecenati europei più importanti. In questo periodo produsse le opere migliori religiose e di ritrattistica. Il marito, con cui aveva avuto una buona intesa, morì nel 1795, Angelika si spense nel 1807. Aveva 66 anni e da tempo soffriva di dolori al petto. Fu sepolta accanto al marito nella basilica romana di Sant'Andrea delle Fratte, compianta dai suoi contemporanei. È stata un'importante rappresentante del Barocco e del Neoclassicismo. Le sue opere che rappresentano le tematiche comuni al mondo pittorico maschile rivelano uno squisito gusto femminile, con accenti delicati e profondi.
In Francia, nel ‘700, fu molto nota Elizabeth Vigée-Le Brun, nata nel 1755, anche lei ritrattista, che si fece conoscere ritraendo la regina Maria Antonietta e i nobili della Corte. Anche lei era stata allieva di Jacques-Louis David. Divenne amica intima della regina, subì le conseguenze della Rivoluzione, ma riuscì a fuggire in Italia, salvandosi. I suoi ritratti erano delicati, rivelando un tratto pittorico molto femminile. Nel 1802 tornò in Francia, ma i tempi erano cambiati. Morì nel 1842.
Nella metà dell'800 Berthe Morisot e Mary Cassat, legate agli impressionisti da profonda amicizia, loro stesse impressioniste, ebbero grande successo. Erano donne libere, ricche e indipendenti che poterono finalmente godere della libertà di disporre della loro vita. Ormai le pittrici erano libere di scegliere i loro soggetti e di esprimere le loro personalità squisitamente femminili.