L’odio
Guardate come è sempre in forma, come si tiene bene
l’odio nel nostro secolo.
Come affronta con leggerezza alti ostacoli.
Come è facile per lui balzare, ghermire.Non è come gli altri sentimenti.
Più vecchio e più giovane di loro al tempo stesso.
È lui che genera le cause
che lo risvegliano.
Se si addormenta non è mai di un sonno eterno.
L’insonnia non gli toglie le forze ma le accresce.Religione o no:
purché ci si inginocchi al via.
Patria o no:
purché si scatti alla corsa.
All’inizio va bene anche la giustizia.
Poi ce la fa a correre da solo.
L’odio, l’odio.
Il suo viso è contratto in una smorfia
d’estasi d’amore.Ah! Quegli altri sentimenti
gracili e fiacchi.
Da quando la fratellanza
può contare sulle folle?
Quando mai la compassione
è giunta prima al traguardo?
Quanti volonterosi sono rapiti dal dubbio?
Solo lui rapisce, lui che sa il fatto suo.Capace, intelligente, assai operoso.
Inutile dire quanti canti ha composto.
Quante pagine di storia ha riempito.
Quanti tappeti di gente ha steso
su quante piazze, su quanti stadi.Non c’inganniamo:
sa creare il bello.
Magnifici sono i bagliori d’incendio nella notte buia.
Meravigliosa la nuvolaglia delle esplosioni nell’alba rosa.
Difficile negare il pathos delle rovine
e l’humor grossolano
della colonna che le sovrasta gagliarda.È maestro nei contrasti
tra il frastuono e il silenzio
tra il sangue rosso e la neve bianca.
Ma soprattutto mai lo annoia
l’idea di un lindo carnefice
sopra una vittima lordata.Sempre pronto a nuovi compiti.
Se deve aspettare, aspetta.
Dicono che è cieco. Cieco?
Ha la vista aguzza del cecchino
e baldanzoso guarda al futuro,
lui solo.(Wisława Szymborska, in La fine e l’inizio, 1993)
Sono parole che non lasciano scampo quelle della poetessa polacca Wisława Szymborska, premio Nobel per la letteratura nel 1996, parole che richiamano i nostri cuori e le nostre menti a non dimenticare la potenza della poesia, parole che con il loro grido silenzioso sanno trafiggere la coscienza che cerca di acquietarsi prendendo le distanze dagli eventi, che nasconde e cela le proprie piccole e grandi responsabilità incrostate di spiegazioni, intrise di menzogne, cariche di ipocrisia.
Parole che risuonano come un monito che ci induce ad individuare con coraggio e verità la nostra parte di colpa, a scegliere di non condividere la violenza e la vendetta che dall’odio traggono alimento, a non lasciare che il risentimento che, come una malattia, indebolisce il nostro equilibrio, si installi nel nostro animo e vi trovi indisturbato rifugio.
Sono parole che prendo a prestito con immensa gratitudine poiché, come creature scolpite nella pietra dei secoli, svelano con sincerità quasi crudele, senza orpelli ed eroismi di maniera, senza illusorie speranze o fraintese rassicurazioni il lato oscuro della nostra umanità.
Sono parole che ci coinvolgono e ci trascinano là dove albergano le ragioni profonde dei conflitti, di ogni conflitto, nell’ostilità che non ammette compassione, né perdono, né misericordia e, infine, nella guerra con la sua estrema e ineluttabile follia.
Sono pensieri inconfessati, piccoli gesti quotidiani, lo sguardo torvo dell’invidia, che si coagulano a formare un corpo oscuro, pesante, che preme sul cuore fino ad ammalarlo, che toglie leggerezza al respiro e ne altera la voce che si fa cupa e arrogante.
Sono sentimenti incomunicabili che sfuggono abilmente alla coscienza che rifiuta di riconoscerli come propri pur sentendone tutto il peso poiché il Male è doloroso, stringe il petto come una morsa che schiaccia chi ne è artefice e chi lo subisce.
Sono sentimenti che si depositano a formare uno strato viscoso nel quale restano impigliate le ragioni della discordia, quella dis-sonanza dei nostri cuori incapaci di vibrare all’unisono.
Sono ricordi ricoperti di collera, sentimenti che si nascondono nell’ombra, la nostra “ombra”, quella sorta di sacco che ci portiamo appresso, laddove anche la parola tace per non riconoscere responsabilità, per non ammettere colpa.
Difficile trovare parole libere e consonanti quando il nostro cuore è sconquassato dai gelidi venti della discordia, quando sembra difficoltoso persino il pronunciare le sillabe che compongono la speranza, la fiducia, l’ascolto dello sguardo dell’altro.
Difficile trovare parole di pace quando la guerra invade le nostre menti con il linguaggio della paura, della sopraffazione, con il silente gioco della ragione che riesce a trovare in sé le radici più profonde per giustificare, per discriminare, per tessere il filo robusto attraverso il quale si connettono i pensieri bellicosi che si celano come raffinati veleni entro involucri eleganti, ammantati di frasi seducenti.
La mente, che pure sa essere nostra alleata, sembra sfuggire al controllo per intercettare frasi imbrattate di prevedibili condanne, macchiate di giudizi e pregiudizi.
Capita di non riconoscere le nostre stesse sembianze nel malsano specchio della tracotanza.
La cecità mentale prende il posto del discernimento e tutto può accadere.
Se si pensa alla guerra come forma eclatante di crudeltà, come gioco spietato di potere, esplosione ineluttabile e necessaria, non è difficile condannarla, non mancano mai le parole che prendono le distanze dagli orrori, che ne denunciano la disumanità.
Si può essere spettatori accorati e sentirsi dunque immuni dalla responsabilità, ma non è altrettanto facile accettare di riconoscere le cause remote, sottili ed insinuanti, di questo dirompente effetto, cause che mettono radici nella povertà d’amore, nel tumulto della collera, nella gelosia che si alimenta di risentimento e invidia, nella dimenticanza della generosità e della pazienza che è una potente arma di pace poiché chi sa “patire” sa anche essere compassionevole.
È difficile sentirsi innocenti, “incapaci di nuocere” quando le nostre intenzioni, il nostro pensiero sono competitivi, impazienti di avere ancora e ancora, in preda alla bramosia dell’avidità, giustificati nel cercare di dominare, di prevalere su chi viene giudicato meno meritevole, legittimati nello sdegno che è intolleranza per ciò che a noi sembra indegno e riprovevole.
L’odio è un sentimento potente, primordiale, capace di dilatarsi, radicato nel profondo, irrazionale e sconvolgente, impastato con la stessa materia di cui è fatto l’amore al punto di essere a lui speculare.
L’odio è capace di sconvolgere l’animo come un turbine, di attraversare la mente rapinandola di ogni misura, proprio come l’amore.
Ingannevole e seducente sa ammantarsi di eroismo, di audacia, di coraggio; sa aspettare, sa insinuarsi, appellarsi al diritto per far valere le proprie ragioni.
L’odio alligna nell’inconscio, in quella zona oscura nella quale si nascondono tutte le passioni che la società, la famiglia, le convenzioni ci hanno impedito di confessare, di incontrare e conoscere perché degradanti, disonorevoli e pericolose.
Ma tenerle rinchiuse, cancellarne l’esistenza, privandole della parola non ha impedito loro di alimentarsi, di crescere, anzi, l’isolamento le ha rese forti e pronte a farsi valere non appena si apra un varco che permetta loro di emergere, potenti e aggressive.
L’odio è pieno di sfumature, impossibile a definirsi nella sua ampiezza che contiene la rabbia, il disprezzo, la disperazione, la collera velenosa come la bile, la furia, l’astio, l’ira, il rancore fatto di materia che ha un sapore sgradevole come rivela la sua etimologia che rimanda al verbo latino rancere “sapere di rancido”.
Tutte parole che portano alla concretezza dei sentimenti che non sono astratti ma capaci di toccare i sensi, di avere conseguenze tangibili, di provare il turbamento contenuto nel raccapriccio suscitato dalla crudeltà che nel sangue ha il suo terreno fecondo.
Sono sentimenti che agiscono sul nostro corpo e lo ammalano: una condizione dell’anima che sottrae bellezza e armonia, una condizione che ha bisogno di cura, e molta ce ne vuole per liberarsi dei mali provocati dall’odio, una cura che richiede ascolto interiore e attenzione per inoltrarsi in quel “grembo di verità largo e accogliente” dove ritrovare parole come perdono, gratitudine, compassione, pietà. Se, come dice Antigone, siamo nati per condividere amore e non odio, allora il compito che a noi tocca in sorte per rispondere alla legge, non quella scritta dagli uomini, ma quella impressa nel nostro cuore e nella nostra coscienza, è quello di togliere alla guerra ogni sostegno, ogni aspetto eroico, affascinante, legittimato dalla presunta necessità di ristabilire equilibri e giustizia, e di esercitare la comprensione, che è “abbraccio” amorevole, unica via possibile per far fronte alle “intenzioni” di guerra.
Rinunciamo alle parole gridate e aggressive, facciamo pratica di silenzio, sperimentiamo la comunicazione da cuore a cuore che apre l’animo al respiro della saggezza.
A cura di Save the Words®