Puoi ascoltare il ritmo della canzone che ti restituisce scampoli di allegria.
Puoi ascoltare le parole dell’amico che ti rincuora nelle serate in cui il carro della notte trainato da cavalli neri arriva prima del solito.
Puoi ascoltare il primo rumore che ora, proprio ora, taglia l’aria e ti arriva all’orecchio: riesci a farci caso, se vuoi, sospendendo per un istante la lettura di questo articolo e dedicando a te una porzione di vita vissuta in più. Provaci, ne avrai giovamento.
Puoi ascoltare con le orecchie e puoi sentire con l’anima. Ogni fruscio, ogni sussurro, ogni rintocco ha il proprio tempo e i propri effetti nella mente, nel cuore, nel corpo delle persone: dipende dal colore del cielo, dipende dalla stagione che vivi, dipende dal chissà. Il viaggio nelle parole dell’ascolto comincia da qui.
Ascoltare, sempre con attenzione
Ascoltare è un udire attento, non distratto, un’azione che necessita impegno e consapevolezza. L’ascoltare è impregnato di silenzio e di desiderio: il desiderio di percepire con le orecchie il minimo fruscio del respiro altrui, il battito lieve del cuore di chi parla, i movimenti della natura. Questo verbo è infatti fratello di auscultare, l’azione che compie il medico quando appoggia l’orecchio o lo stetoscopio sulla parte del corpo che vuole analizzare. Entrambi i verbi derivano dal latino classico auscŭltāre, parola che ha come base il sostantivo auris, che voleva dire ‘orecchio’. Quando ascoltiamo, e lo facciamo per davvero, con l’interesse a capire, è come se usassimo il nostro stetoscopio interiore e avviassimo un atteggiamento intimo, intriso di moti dell’animo, di riverberi, di sommovimenti della coscienza.
Il semplice ascolto non è un uso meccanico dell’orecchia, che comunque rimane alla base dell’origine della parola. No. L’ascolto diventa auscultazione: dall’ascolto può discendere la cura, il farmaco, la relazione tra gli esseri che condividono i tempi e gli spazi sulla Terra.
“Hai due orecchie e una sola bocca. Vedi di usarle in misura proporzionale alla loro quantità”, è una citazione attribuita al filosofo greco ritenuto il fondatore dello stoicismo, Zenone di Cizio. È insieme una citazione e un’incitazione, ci invita ad ascoltare di più e a parlare di meno.
Sentire, con sentimento
Se quando ascolti usi per certo le orecchie, quando senti puoi percepire con l’udito, con l’olfatto, con il gusto o con il tatto. Quando senti puoi usare tutti i tuoi sensi, ampli il campo delle tue possibilità, moltiplichi il numero delle frecce che tieni nella tua faretra. Sentire è dare senso alle cose. L’ascoltare, anche se attento, è connesso all’epidermide su cui si poggia l’orecchio, il sentire è più profondo, perché consente di recuperare il significato delle cose: garantisce senso e anche senno.
Il verbo che pronunciavano gli antichi romani sentīre voleva dire ‘percepire con i sensi’, ‘notare’, ‘intendere’, ‘ritenere’, ‘giudicare’, ‘pensare’, ‘provare’. Ecco, sentire è un verbo paradossale: contiene insieme il pensiero e il sentimento. Sentire è il verbo della mente innamorata e del cuore pensante. Chi sente non solo è senziente ma è anche sensibile. Chi sente è sensato e sensazionale. Chi sente è sensitivo e sensuale. L’aggettivo sentimentale è idoneo per definire chi sente. Puoi sentire un suono. Puoi sentire un odore. Puoi sentire un sapore. Quando senti con l’anima però avverti una percezione, capti una sensazione, provi un sentimento.
Udire, con l’organo dell’udito
Per definire una persona sorda talvolta usiamo l’espressione “non udente”: un eufemismo, una negazione, un modo di esprimersi con delicatezza benché non sia il più corretto. Quando udiamo, percepiamo distintamente suoni, voci, rumori con l’organo dell’udito. Il verbo udire ha un’origine latina: audīre era il verbo scritto da Cesare e Cicerone. Voleva dire ‘udire’, ‘sentire’, ‘dare retta’, ma anche ‘essere discepolo’, ‘ascoltare le lezioni di un maestro’. E poi ‘comprendere’, ‘interpretare’. Siccome ascolti, puoi interpretare la realtà, unire i puntini, connettere gli elementi. Derivato da quell’audīre, oltre all’udire, possiamo annoverare anche il verbo esaudire, cioè ‘soddisfare pienamente’, perché quando esaudisci (ad esempio un desiderio) devi in primo luogo udire distintamente, dare ascolto fino in fondo. E parente di udire ed esaudire, c’è il verbo ubbidire, cioè ‘fare quello che viene richiesto, richiesto o comandato’. Ubbidire, in latino oboedīre, cioè ‘prestar ascolto’, è composto di udire a cui anteponi la particella ob-, che voleva dire ‘verso’, ‘a’. Ascoltare e basta, ascoltare senza avere la possibilità di replicare, ascoltare con atteggiamento di prona deferenza, porta all’ubbidienza e non alla comprensione.
A Londra e Washington, to listen
In inglese, uno dei modi di dire ascoltare è to listen. Il dizionario etimologico Etymonline connette questo verbo con una probabile radice indoeuropea kleu-, che era la base di parole che in varie lingue diffuse dall’Atlantico all’India volevano appunto dire ‘sentire’. In sanscrito, in slavo antico, nell’antico tedesco, in lituano, esistono verbi con questo significato che derivano da quella radice antica. Nella Grecia di Pericle, il verbo klùo significava ‘ascolto’, ‘odo’, ‘sento’ ma anche ‘sento dire di me’, ‘sono chiamato’, ‘ho fama’. Il verbo parente klèo significava ‘celebro’, ‘vanto’, ‘esalto’. Il sostantivo klèos era la ‘fama’, il ‘buon nome’, la ‘gloria’. In latino il verbo cluo stava a indicare ‘avere reputazione’, ‘essere illustre’. Da quel verbo in italiano è derivato l’aggettivo inclito, un aggettivo letterario, arcaico, che si usa poco quest’oggi ma che significa ‘nobile’, ‘illustre’, ‘che ha buona fama’.
Dice il Dalai Lama, la guida spirituale dei buddisti: “When you talk, you are only repeating what you already know. But if you listen, you may learn something new” (Quando parli, stai solo ripetendo quello che già sai. Ma se ascolti, potresti imparare qualcosa di nuovo).
Scriveva lo scrittore Ernest Hemingway: “I like to listen. I have learned a great deal from listening carefully” (Amo ascoltare. Ho imparato un gran numero di cose ascoltando attentamente).
Con una buona acustica
Ciò che ha attinenza, diretta o indiretta, con il suono e con l’udito si definisce ‘acustico’. Il nervo acustico, contenuto nel nostro cranio, ha due funzioni: quella di trasmettere gli stimoli uditivi e quello di consentire l’equilibrio. La prima suggestione per noi è questa: saper ben ascoltare significa anche saper stare in equilibrio, non vacillare, mantenere la solidità. Mamma dell’acustica è il verbo del greco antico akúō. Come spesso accade per le parole di questa lingua antica, i significati sono molteplici e comprensibili solo nei contesti: akúō voleva dire ‘udire’, ‘ascoltare’, ‘sentire’, ma anche ‘imparare’, ‘dare retta’, ‘approvare’ e addirittura ‘esaudire’, ‘essere stimati’. Tutto torna. Tutto si tiene cercando di andare all’origine delle parole.