Da più di tre anni assistiamo ad un infittirsi di azioni collettive, ispirate da un fondatore di movimento, per sensibilizzare grandi masse di cittadini per la difesa del pianeta Terra. Ad esempio, Extinction Rebellion, un movimento socio-politico nonviolento che chiede ai governi di tutto il mondo azioni radicali e immediate per affrontare la crisi climatica. Più giovane di qualche mese, Fridays for Future, fondato da Greta Thunberg il 20 agosto 2018, è detto anche sciopero scolastico per il clima, movimento ambientalista internazionale di protesta, composto da alunni e studenti che decidono di non frequentare le lezioni scolastiche per partecipare a manifestazioni in cui chiedono e rivendicano azioni atte a prevenire il riscaldamento globale e il cambiamento climatico. Risale addirittura al 1971 la nascita a Vancouver di Greenpeace, organizzazione non governativa ambientalista e pacifista di cui in passato si è molto parlato per la sua azione diretta e non violenta per la difesa del clima e dell'ambiente in generale.
Dal punto di vista della sensibilizzazione dei cittadini, importantissima per opporsi alle basi del neoliberismo, chi ha avuto maggiore spazio sui media è stato Fridays for Future. Si rivolge ad una platea di giovanissimi, proponendo loro, nell’età della formazione, un messaggio culturale.
Ne deduciamo che, per estendere il messaggio bisogna vedere come lo vivono nuove categorie, ad esempio, quella degli artisti. Di artisti che non fanno arte di evasione, ma sono collegati alle problematiche ed ai cambiamenti del mondo in cui viviamo. Per non relegare la denuncia all’empireo della Scienza, che ha l’autorità di enunciarne modi e tempi, ma che spesso difetta nella comunicazione.
Per far questo abbiamo scelto di commentare parte delle opere di Andrea Marini, da molti anni ispirato da una personale previsione del cambiamento dell’ambiente, e metterle a confronto con opere di Camilla Alberti, che riesce, col riuso di ciò che la produzione scarta, a creare un nuovo che, senza incitare all’iperproduzione, ne mette in luce la portata.
Andrea Marini (1948), fiorentino, ha una vasta produzione di sculture, con momenti di ispirazione molto diversi. Mi soffermo su di un gruppo dedicato a forme dell’ambiente, con opere seduttive ed insieme inquietanti. Ciò che l’artista pensa e realizza è simile a elementi e fenomeni di natura, ma la loro realizzazione con l’uso di materiali inorganici li contrappone all’esistente. Perché quelle graziose roselline sono presentate a capo all’ingiù? Poi le guardi meglio e vedi con orrore che i gambi sono di filo spinato. Quindi c’è rischio, in futuro, di non poter più inviare - o ricevere - un mazzo di rose? Questa capacità di evocare la trasformazione cui potrebbero giungere i viventi rende l’inoffensivo minaccioso. Quel tanto di somiglianza ad una forma vivente spinge lo spettatore a ricercare il suo corrispettivo, nel mondo vegetale come in quello animale. Un esempio? La pioggia viene resa con una serie di aste parallele di metallo. Da questa pioggia, se non ci si ripara, si cade a terra trafitti.
Complessivamente questa di Andrea Marini è la ricerca di possibili trasformazioni delle forme di vita. Non sappiamo da quale pensiero cardine scaturisca, certo è per chi guarda un richiamo alle violenze cui gli umani hanno sottoposto la terra, argomento di grande attualità nel presente.
Le sculture di Camilla Alberti (1994), milanese, sono composte con frammenti organici e scarti industriali, con cui la Alberti dà forma a creature mai esistite. Alcuni commentatori le vedono come resti di viventi, ma quello che colpisce è la capacità poetica degli assemblaggi, animati da una grazia estetica veramente notevole. Il lavoro di questa artista si basa sul ripensare l’oggetto o il materiale in rovina per un suo ri-uso, ottenuto con una ricerca a tutto campo per scegliere in modo non casuale accostamenti che rispondano ad esigenze costruttive inderogabili. Nella diversità dei risultati c’è infatti un leitmotiv, anche se difficilmente esprimibile in parole. Non c’è dramma, ma piuttosto l’accettazione di un consumismo sfrenato che riempie il mondo di rifiuti, e il superamento della nocività insita in questa scoperta attraverso la costruzione di nuova vita e bellezza ottenuta con i resti di un primo ciclo vitale degli organismi e dei prodotti.
I due artisti a confronto si possono vedere come due aspetti dell’Homo faber, quello maschile e quello femminile. Due visioni del futuro fatte ad arte, “senza parole”, ad integrare i fiumi di parole - troppo inascoltate - sull’obbligo per tutti di una presa di coscienza della complessità dei problemi creati dagli esseri umani alla terra, da risolvere tassativamente da subito.