Se fosse un pugile d’altri tempi, potrebbe essere considerata come la prossima grande speranza bianca, ma essendo una donna, (e perdipiù minuta ed elegante), forse Eleonora Strino potrebbe andare più di fioretto. Ma non cercatela nello sport, perchè la signorina ama la musica ed è semplicemente una chitarrista in rampa di lancio, il cui incedere swingante e discorsivo, rinnova con stile la lezione di Wes Montgomery e del primo George Benson. Sul palco colpisce per stoffa e quel pizzico di carisma che le permette di affrontare l’improvvisazione su noti standard e classici, quasi come se si trattasse di un flusso di consapevole coscienza.
Appartenente a una famiglia di artisti di origine fieramente napoletana, la Strino gode già di parecchia considerazione all’estero e non solo per la stima che per lei ha immediatamente nutrito Greg Cohen, contrabbassista famoso per la lunga militanza con Tom Waits e John Zorn, fra i molti nomi presenti nel suo palmarès.
La sua presenza in qualità di ospite del pianista Dado Moroni all’ultima edizione invernale di Umbria Jazz ha rappresentato l’occasione ideale per presentarla meglio al pubblico di appassionati e addetti ai lavori: “Ho iniziato a suonare - esordisce radiosa - perchè quando avevo circa 14 anni mi sono imbattuta in un disco di jazz. L’allora ragazzo di mia sorella maggiore difatti ascoltava questa musica meravigliosa, mentre l’altra mia sorella, secondogenita, si dilettava a cantare e suonare quella chitarra classica che ci aveva regalato un mio zio. Così a casa arrivarono due dischi fondamentali: Beyond the Missouri sky di Pat Metheny e Charlie Haden e Undercurrent, altro strepitoso duo condiviso da Jim Hall e Bill Evans: due autentiche pietre miliari che rappresentano per tanti artisti una continua ispirazione.
Un colpo di fulmine, insomma, vista anche la consistenza di tali padrini.
Ho capito fin dal primo istante che volevo diventare una jazzista e la scelta dello strumento è stata puramente casuale: in casa avevamo una chitarra, per cui ho scelto quella. Penso stesse aspettando proprio me. La mia sorella maggiore, anche lei pittrice, aveva un amico che impartiva lezioni di chitarra ed allora decise di farmi iniziare accompagnandomi ad ogni lezione. Non pensavo a molte altre cose: volevo riuscire a suonarla bene. Direi che il mio mito è stato immediatamente Jim Hall. Lo è stato sin dal primo momento e continua ad esserlo tutt’ora. Non lo definirei semplicemente un chitarrista, ma un vero e proprio poeta, un uomo dall’incredibile sensibilità artistica. Sono figlia d’arte, mio padre è un importante pittore figurativo, anche gli altri miei fratelli sono artisti ma, eccetto me, nessuno si è voluto cimentare nell’ambito musicale, credo che in qualche maniera questo DNA abbia influito nel mio percorso.
A proposito, vogliamo già riassumerne le tappe principali ed il coraggio che hai dovuto trovare per affrontare una carriera che fino a qui ha avuto più bagliori all’estero?
Meglio precisare subito che sono una persona che facilmente viene assalita dall’ansia. Per combatterla ho sempre cercato di superare le mie paure grazie al profondo amore che nutro per la Musica. È stata sin troppo naturale, dopo aver conseguito la laurea al conservatorio di Napoli, la decisione di lasciare la mia città per conoscere nuove realtà musicali. Sono andata prima a fare un’audizione a Berlino, dove ho incontrato Greg Cohen che mi ha preso all’istante sotto la sua ala protettrice. Ha rappresentato sicuramente l’incontro ideale per lo sviluppo della mia carriera. Dopo ho deciso di trasferirmi a Torino, dove ho fatto dei corsi al conservatorio con Dado Moroni ed Emanuele Cisi. Per fortuna ci continuo a lavorare con entrambi. Successivamente sono andata ad Amsterdam per continuare gli studi. Sono partita con soli 300 euro, senza neanche parlare bene inglese. Ho lavorato al bar del conservatorio per mantenermi gli studi: la vita lì è veramente molto cara. È stata un’esperienza che mi ha temprata molto sia dal punto di vista musicale ma soprattutto umano. Ho deciso poi di ritornare in Italia per vari motivi e da lì la carriera è andata sempre meglio.
Quali le principali soddisfazioni sino a qui?
Per fortuna sono state diverse: avevo sempre apprezzato i dischi che Emanuele Cisi aveva realizzato con Sandro Gibellini, per cui quindi quando Emanuele mi ha chiamata per far parte del suo nuovo progetto è stata una gioia enorme. Stessa cosa è accaduta con l’amico Dado Moroni: è un grande onore per me collaborare con questi grandi nomi del jazz italiano. Poi ho iniziato a suonare in giro per l’Europa con Greg Cohen. Abbiamo fatto prima una registrazione a Roma quando avevo solo 25 anni e da lì abbiamo iniziato questa collaborazione, che ha cambiato radicalmente la mia maniera di approcciarmi alla musica. Greg è un po’ la mia guida musicale da circa dieci anni.
Vista anche l’appartenenza ad una generazione recente, sei stata anche in grado di intercettare il valore aggiunto che poteva arrivare dal web: cosa è successo esattamente?
Semplicemente che un po’ di tempo fa ho pubblicato un video, diventato con mia sorpresa quasi subito virale. Da lì la mia carriera ha iniziato a prendere una svolta internazionale, in quanto sono arrivate molte cose a dir poco fantastiche: la rivista americana Jazz Guitar Today, per esempio, che ha deciso di dedicarmi la copertina del mese, giusto un anno fa. Sono arrivata a quest’onore dopo aver raccolto il testimone da nomi di grosso calibro tipo Peter Bernstein, John Scofield, Bill Frisell, John McLaughlin, Scott Henderson. Poi è arrivata la proposta del tour americano di due mesi: sarei dovuta partire questo gennaio ma purtroppo a causa delle ulteriori restrizioni dovute al Covid, non mi hanno rilasciato il visto e quindi il tour è stato posticipato al 2024, anche se ho avuto una parentesi europea che mi ha permesso di fare parte di un roster artistico di prima grandezza.
Hai fatto un disco da solista o stai raccogliendo ancora idee? E se dovessi individuare il tuo standard quale sceglieresti?
Ancora non è stato pubblicato ma c’è e per me rappresenta una gioia immensa, visto che l’ho registrato live in una giornata a Berlino, con Joey Baron e Greg Cohen. Joey Baron è una leggenda della jazz internazionale, può vantare un curriculum chilometrico. Il solo fatto che lui abbia registrato e suonato per lungo tempo con Jim Hall ha fatto sì che questo disco rappresentasse la concretizzazione di un bel sogno. Soprattutto perchè il disco sta piacendo molto e ho diverse proposte di produzione da parte di importanti etichette musicali, di cui però non dico ancora nulla. Quello che posso anticipare è che faremo una data il 26 marzo al Teatro Grande di Brescia per la Grande notte del Jazz e che l’anno prossimo saremo in tour in Europa. Per quanto riguarda lo standard la scelta è veramente molto difficile: penso che alla fine propenderei per Stardust.
Quante chitarre possiedi e quale è la tua preferita?
Ho diverse chitarre chiaramente: la mia prima chitarra è stata un’Ibanez hollow body, poi mi sono innamorata una fantastica 335 del 79, un vero riferimento Gibson e successivamente la mia partner è stata una L7 del ’33, sempre marcata Gibson. Circa tre anni fa ho avuto poi in regalo da parte di un bravissimo liutaio americano, una splendida Archtop costruita su misura per me. Adesso sto aspettando una nuova chitarra dal liutaio Mirko Borghino, altro artigiano di valore. Anche lui mi ha chiesto di collaborare e sta finendo di costruire il mio personale modello signature. Ho anche una Takamine ed una Fender Telecaster di origine messicana. Ma la mia preferita resta la fantastica L7: è quella che suono più spesso.
Solitamente nella vita di un jazzista, la presenza della musica è totalizzante: tu come riesci a gestire questo equilibrio? Hai vissuto o fatto esperienze anche importanti all'estero: lì ritieni che la vita per una musicista sia più facile?
Devo dire che è davvero difficile condurre una vita “normale” e fare questo lavoro proprio per il motivo che hai appena descritto. Questo vuol dire che le persone che ti sono intorno lo percepiscono, per cui è davvero con molta fatica che riesci a scendere a compromessi quando sai che una qualsiasi scelta che prendi sottrae in qualche modo energia alla musica. Sto cercando nella fase attuale di capire meglio questo ambito per lavorare su di me come persona e non tanto come musicista/artista, ma è davvero difficile scindere le due cose. In ogni caso devo dire che con l’età ho imparato a dare importanza anche a tanti altri aspetti della vita, senza sentirmi “in colpa” se capita di sottrarre tempo alla musica. In un primo momento era così: tutto quello che facevo al di fuori di suonare o studiare mi sembrava una perdita di tempo. Invece per essere una vera artista devi vivere altre cose, altrimenti non potrà uscire nulla da te stesso se non un mero esercizio.
Per quanto riguarda la mia esperienza all’estero invece, beh direi che in apparenza la vita per un musicista sembra più facile, questo perchè ci sono molti aiuti da parte delle istituzioni statali, cosa invece che non abbiamo praticamente mai in Italia. Questo lo so anche per diversi colleghi che si sono trasferiti all’estero e me lo hanno confermato. Però credo che la vita di un musicista sia difficile in ogni caso, come anche la vita in generale per tutti!
Appartieni a una generazione nuova: come viene vissuto l'interesse per il jazz fra i tuoi coetanei? Passione, moda, musica di nicchia? Che direzione sta prendendo secondo te oggi?
Beh la prima cosa che noti quando inizi a suonare in maniera professionale, che siano festival o jazz club, è la canizie del pubblico circostante. Aldilà della facile ironia, purtroppo non c’è un grande interesse per questo tipo di musica tra i miei coetanei, chiaramente sono esclusi i musicisti coetanei o più giovani. Di sicuro è una musica di nicchia e per me questo è un grande dispiacere, perchè credo che se ci fosse una maggiore sensibilizzazione, questa musica meravigliosa potrebbe arrivare ad un pubblico molto più vasto. Per quanto riguarda il futuro, direi che da una parte il jazz sta andando in una direzione più “europea”, mentre dall’altro continua a conservare la matrice nera americana. Mi piace che ci sia un’evoluzione, ma anche la voglia di preservarne l’essenza.
Ascolti anche altri generi?
Sì, ascolto anche altri generi musicali soprattutto negli ultimi anni. Trovo cose molto interessanti nel pop, adoro, ad esempio, Billie Eilish come Ed Sheeran. Amo la musica cantautorale, ho un grande passione per Battisti e per Dalla, ma sono cresciuta anche con i dischi di De André, Battiato e De Gregori. Poi amo la musica sudamericana, specialmente la musica popolare messicana, ma anche quella brasiliana, che ha sempre rappresentato una mia grande passione. Un altro amore da molto tempo sono i Beatles; resto senza parole quando ascolto Jeff Buckley; mi commuovo con Chopin e sobbalzo con i Led Zeppelin. Insomma, potrei continuare ad elencare ancora tanta musica che mi piace, ma più in generale direi che amo la musica bella a prescindere dal genere.
Sentiresti di più un brano che conosci a memoria di Wes Montgomery oppure un disco nuovo di Julian Lage?
Sentirei entrambe le cose: Wes non mi stanca mai e di Julian Lage sono follemente innamorata chiaramente dal punto di vista musicale; quindi, non potrei non ascoltare il suo ultimo disco. Sono una fonte di continua ispirazione entrambi.
Come hai vissuto questo periodo difficile alle spalle? Cosa è successo nel tuo quotidiano, hai composto o suonato di più, per esempio?
Questo periodo è stato devastante, qualcosa che non avrei mai potuto immaginare prima. Diciamo che la prima parte l’ho vissuta abbastanza bene, perchè era una novità: sapere che tutto il mondo si era fermato e quindi inevitabilmente dovevi farlo anche tu, è stato anche rincuorante per un periodo. Durante il primo lockdown ho studiato tantissimo, facevo video, praticavo yoga tutti i giorni, mangiavo bene, scrivevo musica. Insomma, è stato molto bello. L’inferno è arrivato dopo, dal secondo lockdown in avanti, perchè ho dovuto stravolgere tutta la mia vita, andare a vivere in un posto diverso rispetto a dove stavo e cambiare completamente tutte le mie abitudini. Sono andata in profonda crisi, perchè parallelamente la mia carriera continuava a crescere, ma l’isolamento totale, lo smarrimento, la paura di viaggiare, la disabitudine al palco, il fatto di dover uscire da lì e fare poi cose “in grande” come il tour in America. Tutte queste cose mi hanno molto provata, per cui ho iniziato a soffrire di attacchi di panico e di ansia. Insomma, è stato un bel periodo nero. Diciamo che come ogni crisi, anche questa spero possa servire a qualcosa, anche se ancora adesso non ne siamo usciti completamente ed io stessa non riesco ancora a scorgerne i risvolti positivi.
Qual è la tua più grande aspirazione/desiderio per i mesi a venire?
Come massima aspirazione vorrei poter continuare a fare quello che sto facendo, crescere e migliorarmi sempre come musicista e come persona nella continua ricerca della verità.