In questi giorni, guardando a quanto accade alla nostra politica, sto ripensando ad un documentario, credo di National Geographic, in cui si vedeva un branco di orche attaccare uno squalo sorpreso da solo e quindi senza via di fuga. Un turbinare di acqua e sangue, in cui tutto era confuso, in cui non si riusciva a distinguere gli attaccanti dall'attaccato, i predatori dalla preda, i vincitori da quello che stava per diventare vittima.
Una lotta feroce in cui lo squalo si difendeva perché, stremato dai morsi, non aveva più la forza di attaccare.
Direte: e allora?
Ecco, per me quello squalo è come Matteo Salvini, che oggi, quando è indebolito, politicamente, dalla sua ultima improvvida sortita in Polonia, è sotto attacco, anche da parte di chi, forse, con un minimo di pudore, dovrebbe imporsi il silenzio.
A Salvini bisogna dare atto di avere capito su quale carro salire in corsa, ma allo stesso tempo gli si deve ricordare che da un carro vincente si può anche scendere, ma senza clamore, con la forza dei fatti e non con sortite.
Ma a lui riconosco una cosa: quando c'è da mettere la faccia, lui lo fa. Certo, spesso e volentieri, negli ultimi temi, gli effetti sono disastrosi, ma non si tira indietro.
Prendiamo la clamorosa imbarcata che ha preso nel suo recente viaggio in Polonia che sarà stata pure dettata ufficialmente da spirito di solidarietà e per portare comunque un contributo al processo di pace, ma è stata organizzata in modo maldestro, da dilettanti della politica, che con il leader della Lega hanno voluto fare le ''prime donne'‘ organizzando un viaggio senza un minimo di cognizione sociale e politica.
Una delle poche regole che il politico (ma non solo) deve sempre rispettare è quello di non fare mai qualcosa senza calcolarne rischi e imprevisti. Invece chi ha preparato la visita di Salvini lo ha gettato nella fauci di un nemico che vestiva i panni di un sindaco polacco di estrema destra, ma, appunto perché polacco, è memore di cosa la Russia abbia fatto al suo Paese.
Come quando, in occasione della ribellione degli abitanti di Varsavia ai nazisti che l'occupavano, l'Armata rossa non corse in aiuto, aspettando che i tedeschi facessero il lavoro per loro, cioè azzerare la resistenza non comunista.
Per non parlare delle fosse di Katyn, dove migliaia di militari polacchi furono sepolti dopo essere stati passati per le armi dai russi.
La faccia di Salvini, travolto dalla reazione del sindaco, gli resterà incollata addosso in eterno, perché per la prima volta non ha trovato - perché non ce ne sono - le parole per rispondere alle accuse di essere un “putiniano” della prima ora.
Quindi, Salvini ha dovuto prendere atto che la gente non dimentica. Eppure, il Capitano - pur se intempestivamente, pur se chiaramente in modo strumentale, pur se insostenibile per le tesi che sosteneva - in Polonia, a pochi chilometri dal confine di un Paese in fiamme, c'è andato.
Gli è andata clamorosamente male, ma c'è andato, mostrando un coraggio politico che altri non hanno. Quegli stessi che oggi lo sfottono a sangue e che magari, pochi anni fa, davanti a Putin si sono mostrati sorridenti e magari anche grati.
Quando non addirittura folgorati. Uno per tutti, Beppe Grillo che cinque anni fa (non un secolo) tesseva le lodi di Putin, ma anche di Trump, dicendo che ''la politica internazionale ha bisogno di uomini di Stato forti come loro'' e che il presidente russo ''è quello che dice le cose più sensate in politica estera''.
Quindi non c'era solo Salvini a celebrare le glorie dello ''zar''. Ma lui è stato l'unico a diventarne un fan, indossando una maglietta, che lo perseguiterà a vita. Perché, sarà anche uno che non esita a fare le cose in prima persona, a mostrare il petto alle critiche e agli attacchi. Ma, in fondo, da capopopolo non è uno statista. Coraggioso, ma non uno statista, come non lo sono coloro che oggi lo fustigano dimenticando che, nel mondo della comunicazione, nulla si distrugge come loro forse vorrebbero fare delle immagini che li ritraggono quasi genuflessi davanti a Putin.