“Patagonia” dicevano Coleridge e Melville, per significare qualcosa di estremo. Così si legge nella presentazione in seconda di copertina del libro di Bruce Chatwin In Patagonia (Adelphi). È stato l’ultimo libro che mi ha regalato Paolo. Non poteva che essere un modo per stimolarmi a intraprendere un viaggio forte per dare una scossa al mio stato d’animo. Paolo non l’avrei più visto all’aeroporto di Linate o della Malpensa ad accogliermi al ritorno da uno dei miei viaggi. Non avrei più potuto raccontargli quello che avevo visto e sentire da lui delle precisazioni, perché in fondo si può viaggiare anche con i libri. Questo ha voluto il destino (La Grande Quercia).
Sì, avevo proprio bisogno di andare in Patagonia “il punto oltre il quale non è dato andare” (Bruce Chatwin, Paul Theroux, Ritorno in Patagonia, Adelphi). Volevo perdermi nei suoi spazi infiniti per ritrovarmi e sono partita.
La Patagonia è quella vasta regione meridionale del continente americano che, tra l’oceano Atlantico a Est e l’oceano Pacifico a Ovest si divide tra Argentina e Cile e si estende, a Sud del 39° parallelo, sino allo Stretto di Magellano. Oltre la quale si trova la grande isola della Terra del Fuoco che, pur essendo una regione a sé stante, sotto l’aspetto geografico, geologico e climatico viene considerata l’appendice della Patagonia.
La parte argentina è divisa in tre regioni: andina (montuosa), centrale (dominata dalle pianure) e atlantica (costiera). Il lato cileno è diviso in Patagonia settentrionale, nella provincia Aysén e Patagonia meridionale, nella provincia di Magallanes. La Patagonia cilena è principalmente montuosa e con una costa frastagliata composta da innumerevoli canali, fiordi e isole.
Il suo nome deriva dal portoghese patagio, zampa grande. L’esploratore Ferdinando Magellano aveva dato questo nominativo agli aborigeni Tehuelche per le grandi orme che lasciavano sulla neve.
La Terra del Fuoco è un arcipelago formato da varie isole:
Tra le quali serpeggiano canali misteriosi che vanno a perdersi laggiù, alla fine del mondo, nella “Tomba del Diavolo”. …Fino a pochi anni fa, in quelle regioni si avventuravano soltanto audaci cacciatori di lontre e foche, genti di razze diverse, uomini rudi che avevano il cuore chiuso e stretto come i loro pugni. Alcuni sono rimasti incatenati a quelle isole per tutta la vita. Altri spinti dalla frusta della fame che sembra farli vagare da oriente a occidente, arrivano ogni tanto in quelle terre inospitali, dove ben presto il vento e la neve scolpiscono la loro anima a colpi d’ascia, lasciandola dura e affilata come una stalattite di ghiaccio.
(Francisco Coloane, Capo Horn)
Il suo territorio, diviso tra l'Argentina e il Cile, si estende a Sud e a Est dello Stretto di Magellano, ed è composto da Isola Grande che è la più estesa del Sud America e da numerose altre isole minori, quasi tutte in territorio cileno, come l'Isola Dawson, le Isole Diego Ramírez e l'Isola di Capo Horn. La parte orientale dell'Isola Grande, e l'Isola degli Stati appartengono politicamente alla Repubblica Argentina. È un luogo particolare, dove si possono incontrare uomini di ogni Paese.
Ho lasciato Buenos Aires con negli occhi i colori delle case del Caminito, la via pedonale del quartiere La Boca che sorge sull’imboccatura (la boca) attraverso la quale il Rio Riachuelo si immette nel Rio della Plata. Il colore caratteristico delle abitazioni del quartiere, nei secoli passati abitato da poveri immigrati, per lo più italiani, era dovuto non solo alla nostalgia per la propria terra (ricordano infatti le case liguri) ma soprattutto dal fatto che la pittura utilizzata era quella che avanzava dalla colorazione delle barche.
Pensavo ancora ai virtuosismi dei ballerini di tango che si esibivano in piazza Dorrego a San Telmo alla musica di Piazzolla che, arrivata in volo a Trelew e giunta a Puerto Madryn, da dove è iniziata la mia avventura patagonica, con la visita alla Penisola di Valdés e alla Punta Tombo, mi sono trovata immersa in altri colori e di fronte ad altre esibizioni, quelle delle grandi colonie di pinguini a Punta Tombo, leoni marini ed elefanti marini a Punta Norte e le balene a Golfo Nuevo.
Era la prima volta che vedevo le balene e così tanti pinguini. Si trattava per lo più di pinguini Magellano (Spheniscus magellanicus), dalle piume di colore nero sulla testa e sul ventre.
La Penisola di Valdés, adagiata sulla costa atlantica nell’estremità nordorientale della provincia di Chubut, è costellata da laghi salati. È infatti una delle riserve marine più importanti al mondo e dal 1999 Patrimonio dell’UNESCO.
In balia del vento e dello scorrere dei chilometri attraverso una natura incontaminata, in auto e toccando il Cile in traghetto, ho raggiuto Ushuaia, la città più australe del Mondo, Fin del Mundo.
È una cittadina immersa in un panorama stupendo che spazia dalle vette innevate e frastagliate dell’Isola Grande della Terra del Fuoco in Argentina, alla costa più dolce dell’isola di Navarino in Cile.
Ho provato una sensazione bellissima, forse perché quell’atmosfera di frontiera che si respirava mi allontanava dagli affanni quotidiani e mi faceva sentire leggera di spirito.
Non potevo non avventurarmi nella navigazione del canale Beagle. Il suo nome deriva dal brigantino HMS Beagle con il quale, sotto la guida del capitano Robert Fitzroy, Darwin effettuò ricerche idrografiche dal 1826 al 1830.
Solcare le sue acque mi ha fatto vivere emozioni che penso abbiano provato Darwin e Magellano che vi arrivò nel 1520 e la chiamò Tierra del Humo (Terra del Fumo), scorgendo i fuochi accesi dagli indigeni Yamana. Il re Carlo V di Spagna, non amando quel nome, la ribattezzò Tierra del Fuego.
Ho visto colonie di cormorani di Magellano e Imperiali e all’Isla de Los Lobos i leoni marini. Dopo un paio d’ore di navigazione sono arrivata al faro Le Eclaireurs, dipinto a bande bianche e rosse e con in cima la lanterna nera, che viene chiamato dagli Argentini “Faro del Fin del Mundo”.
Attraversato il confine argentino - cileno in traghetto, sono arrivata nella Patagonia cilena a Punta Arenas. Adagiata ai piedi delle Ande e sul lato occidentale dello stretto di Magellano, possiede molte case signorili, retaggio dell’industria laniera che si sviluppò alla fine del XIX secolo. Ho proseguito poi per Puerto Natales, graziosa cittadina sulle sponde del fiordo Ultima Speranza.
A Puerto Natales ho visto i cigni dal collo nero nuotare sereni con i cormorani e una varietà di fiori, a me sconosciuti, circondare le deliziose case in lamiera colorata. Sono entrata nell’edificio storico in legno che ospita gli uffici comunali e nella graziosa chiesa dei Salesiani. Ho assaggiato la prelibata salsa centolla (a base di granchio) annaffiata con ottimo vino cileno e vi ho trascorso un paio di giornate per recuperare le forze prima di recarmi nel Parco Nazionale delle Torres del Paine che si trova a cento chilometri dalla cittadina.
Il Parco è indubbiamente uno dei più belli del Sud America. Presenta una grande varietà di ambienti naturali: montagne, tra le quali si eleva il complesso del Cerro Paine, la cui cima principale tocca i 3.050 metri, le Torres del Paine e i Cuernos del Paine; fiumi fra cui il río Paine; laghi, il Grey, il Pehoé, il Nordenskjöld e il Sarmiento; ghiacciai, il Grey, il Pingo, il Tyndall e il Geikie, appartenenti al Hielo Patagónico Sur.
L’esperienza più intensa è stata quella di raggiungere il Mirador Base Las Torres, dopo una nottata in tenda sotto una pioggia incessante, risparmiati dalla clemenza del vento, che spesso soffia violento da quelle parti.
Mi hanno affascinato la vista del lago, dal color verde intenso, incorniciato dalle granitiche tre Torri e dal ghiacciaio Torres e la maestosità delle tre guglie che si elevano per più di 2000 metri nella steppa patagonica.
Rientrata in Argentina ho raggiunto El Calafate, cittadina patagonica, che si trova sulle sponde del famoso Lago Argentino, base per visitare il Perito Moreno, l’unico ghiacciaio al mondo che non si ritira. Si estende per circa 195 chilometri quadrati tra Cile e Argentina, rappresenta la terza riserva di acqua dolce del mondo ed è sito patrimonio dell’UNESCO dal 1981.
Il trekking che ho fatto sul Perito Moreno è stato un’altra esperienza affascinante e gratificante del mio viaggio; infatti, non mi sono accontentata solo della visita classica al ghiacciaio che, tramite dei percorsi di passerelle, permette di ammirarlo da differenti belvedere, sentire il ghiaccio scricchiolare e vedere gli enormi blocchi di massa di ghiaccio fratturarsi e schiantarsi in acqua.
Dopo una breve navigazione, raggiunta la parte di ghiacciaio da scalare, ho camminato con i ramponi sul ghiaccio circondata da pareti, grotte e profonde crepe. Alla fine, a sorpresa, mi è stato offerto un whisky che più on the rocks non poteva essere.
La navigazione tra i ghiacciai è un’altra esperienza che mi ha entusiasmato. Salita a bordo di un catamarano a Punta Bandera, ho navigato dal braccio settentrionale del Lago Argentino, fino ai ghiacciai Upsala e Spegazzini, ammirando i tanti iceberg di tutte le dimensioni che galleggiavano nel lago e l’ambiente circostante dove l’uomo non ha minimamente alterato la grandiosa natura.
Mi sono poi diretta a El Chaltén, il top del trekking in Argentina. Lungo la strada nazionale nº 40, mi sono fermata alla storica Estancia La Leona. Costruita da una famiglia di immigrati danesi nel 1800 per dare ospitalità ai pastori che da questo luogo guadavano il fiume Leona, è stata base per molte spedizioni in vetta al Monte Fitz Roy e Cerro Torre. Ha accolto anche molti personaggi di spicco nel secolo scorso, come i leggendari fuorilegge americani Butch Cassidy e Sundance Kid.
Arrivata a El Chaltén, piccola cittadina dalle strade sterrate e senza traffico ero desiderosa, appassionata di montagna, di vedere il Cerro Torre che, con i suoi 3128 metri d’altezza e una parete rocciosa acuminata, è stato meta di tante imprese alpiniste.
Superato il Campo Base De Agostini e la morena del Ghiacciaio Grande, di fronte al Lago Torre, dopo una camminata di diverse ore con i miei compagni, speravo che ci apparisse il Cerro Torre. Ma come le imprese delle sue scalate, è rimasto misterioso perché velato da una coltre di nuvole.
La sua vetta è considerata la più inaccessibile del mondo: qualunque via si scelga, bisogna affrontare almeno 900 metri di parete granitica, perennemente ricoperta da un "fungo" di ghiaccio e soprattutto con condizioni meteorologico climatiche spesso sfavorevoli.
Ci si è chiesto per tanto tempo se Maestri e Egger siano effettivamente saliti sulla sua cima. Nessuno è ancora riuscito a ripetere l'itinerario della loro salita per mettere la parola fine alla vicenda.
Più fortunati siamo stati il giorno dopo, il massiccio del Fitz Roy, 3405 metri a forma di dente di squalo, ci è apparso in tutta la sua potenza, con il ghiacciaio Piedras Blancas che termina nel lago omonimo.
Nella terra dove si respira la storia dei grandi naufragi, di esuli boeri, lituani, scozzesi, russi, la bellezza dei fiordi e dei laghi, la maestosità dei monti, la grandiosità dei ghiacciai che scendono fino al mare, le coste, le immense estensioni battute dal vento, gli animali allo stato brado, mi hanno fatto rivivere l’atmosfera che la lettura di libri, come quelli del salesiano italiano De Agostini, il cileno Coloane e l’inglese Chatwin, mi aveva spinto a mettermi in viaggio e mi sono sentita bene dentro, al mio rientro a casa.
Non posso non essere d’accordo con Ryszard Kapuściński:
Un viaggio non inizia nel momento in cui partiamo né finisce nel momento in cui raggiungiamo la meta. In realtà comincia molto prima e non finisce mai, dato che il nastro dei ricordi continua a scorrerci dentro anche dopo che ci siamo fermati.
(Da In viaggio con Erodoto, Feltrinelli)