Prima del deserto ci sono autostrade, montagne, boschi, acqua e poi dune di sabbia.
Prima dell’avventura c’è un avvento di preparazione.
Prima dell’emozione c’è l’emodinamica del cuore che mette in circolo adrenalina.
Lo sa bene tutto questo Vladimir Grigoriev, il giovane che a dicembre 2024 mi confidò di essere in procinto di realizzare un sogno che cullava da tempo: correre la Parigi-Dakar insieme a un amico a bordo di una Panda 4x4 del 1980 partendo da Venezia - città di residenza di entrambi - fino alla capitale del Senegal.
Conoscendo la determinazione e il perfezionismo di Vladimir, non avevo dubbi che avesse organizzato tutto al meglio. A partire dall’automezzo, rivisitato nella carrozzeria e nella meccanica per renderlo adatto a compiere quasi 6000 chilometri in ventuno giorni.
La Parigi-Dakar è infatti una delle competizioni più leggendarie e impegnative al mondo, da sempre sinonimo di motori potenti, mezzi specializzati e team tecnici alle spalle. Qui, invece, c’erano solo l’euforia e la passione di due trentenni animati dallo spirito di cimentarsi in una prova estrema, trasformando un’idea nata quasi per gioco in realtà concreta, con partenza fissata per venerdì 24 gennaio 2025.
Seimila chilometri in ventun giorni
La Fiat Panda 4x4 vintage che hanno guidato i due amici attraversando dapprima l’Alta Italia, poi correndo lungo le strade della Francia, traghettando lo Stretto di Gibilterra per approdare in Marocco e attraversare il Sahara, non ha nulla a che vedere con i bolidi da rally che normalmente affrontano la Parigi-Dakar: è un’utilitaria, piccola, leggera ma, beninteso, con fama di auto robusta, affidabile, indistruttibile.
«Abbiamo rinforzato le sospensioni, aggiunto protezioni al motore e ai filtri dell’aria, montato pneumatici speciali, legandone sopra il bagagliaio altrettanti di scorta. Avevamo con noi un frigo per l’acqua, derrate alimentari a sufficienza e una tenda d’emergenza per quando avremmo dovuto eventualmente fermarci a dormire lungo il tragitto».
Una pianificazione accurata fin nei minimi dettagli quella dei due ragazzi, completa di tutto come l’impresa richiedeva: la documentazione valida per l’estero, i calcoli di andatura di viaggio e l’autonomia del carburante, le mappe, le soste, le condizioni climatiche variabili. E la messa in conto degli imprevisti.
«La Parigi-Dakar è un impegno anche economico – racconta Vladimir. Dopo aver acquistato l’automobile da un cercatore di tartufi dell’Emilia-Romagna e averla resa adatta allo scopo che ci eravamo prefissi, con poco budget e senza grandi sponsor, l’impresa diventava ancora più ardua».
I due amici hanno tuttavia deciso di provarci ugualmente ed è stato allora che, per sincronicità junghiana, la fortuna si è messa dalla loro parte. Un media partner locale si è fatto avanti per sostenere l’esperienza e così la storica Panda riportava su un fianco l’indirizzo del portale che ha supportato economicamente il viaggio.
Vladimir e il coetaneo non hanno partecipato come concorrenti alla Parigi-Dakar, non hanno in sostanza gareggiato: hanno percorso il non meno faticoso tracciato parallelo della categoria auto dedicata agli appassionati.
«Non avevamo ambizioni di dimostrare qualcosa – spiega il trentenne - solo arrivare fino in fondo all’impresa, per puro piacere personale e per far sapere che anche con un’auto umile si possono vivere avventure entusiasmanti». Naturalmente la notizia ha destato curiosità e simpatia tra i veneziani, diventando pure di interesse nazionale. «Abbiamo ricevuto tantissimi messaggi di incoraggiamento – riferiscono i due amici - ed è stato bello sentire il supporto di chi crede nei sogni, anche se sembrano irragionevoli. Un viaggio folle? Forse. Ma è proprio dalle follie che nascono le leggende».
Fotogrammi di un’esperienza memorabile
Dopo dieci giorni dalla partenza, una domenica pomeriggio il mio cellulare trilla in sequenza, segnalando l’arrivo a raffica di una settantina fra foto e video. È Vladimir che mi documenta per immagini i vari passaggi dell’impresa in itinere. Ci sono foto che ritraggono la Panda con il cofano alzato e una ha sullo sfondo le Alpi innevate. In un’altra l’auto è sopra il ferry boat che attraversa il Mar Mediterraneo e l’Oceano Atlantico per raggiungere la costa dell’Africa. Poi compaiono scene di mercati locali di spezie, pranzi improvvisati in un suq, tramonti infuocati, meccanici sdraiati supini sotto al motore della macchina a bordo strada. Ci sono screenshot di coordinate geografiche che segnalano la posizione e l’altitudine: la Panda storica, bardata per l’epica impresa, ha raggiunto quota 800 metri.
Seguono foto di cammelli e di oasi fiorite come quella di Ramlia in Marocco e video dell’auto affossata nella sabbia, i pneumatici che slittano a vuoto, il motore su di giri. In un altro filmato il mezzo riacquista stabilità grazie a delle piattaforme collocate sotto le ruote per stimolare l’attrito. Le tinte calde delle immagini si fanno di fotogramma in fotogramma più vivide, i video meno concitati: il cielo cobalto di certi paesaggi contrasta con la terra rossastra e in una sequenza si vede anche la cerimonia del the nel deserto. Sono foto e riprese scattate e girate di giorno e di sera, all’alba e di notte. In un video si ode il rumore del dispositivo ad aria compressa che un meccanico utilizza per pulire il motore dai residui di polvere, in un altro la Panda sprofondata nella sabbia è trainata da alcune persone della comunità berbera che hanno ospitato i due amici veneziani.
«Che meraviglia – scrivo in riposta a Vladimir – una bella avventura che ricorderete». Poi aggiungo una domanda: «Quanto vi manca?». Risponde Vladimir: «Abbiamo fatto circa 300 km di deserto». Il traguardo è ancora lontano – penso fra me. Gli invio un “Bravi” di incoraggiamento, corredato dall’emoticon dell’applauso. In verità meriterebbero un’ovazione perché oltre a sfidare loro stessi con una prova unica fra rocce e dune, percorsi accidentati e tanti imprevisti, i due amici hanno destinato i proventi della singolare avventura a una causa benefica, a sostegno delle popolazioni che vivono nei villaggi del Senegal. «Questa esperienza la racconteremo un giorno ai nostri figli e nipoti» – conclude Vladimir - «ma intanto la dedichiamo ai bambini dell’Africa».