Martedì 22 maggio
All’una e 45 di notte atterriamo all’aeroporto Roland Garros di Reunion, isola incorporata nei territori francesi d’oltremare. Il suo suolo è d’origine vulcanica, caratterizzato da un marcato rilievo eroso e in forte pendenza. Il Piton de la Fournaise, situato nel Sud-Est dell’isola, è uno dei vulcani più attivi al mondo. Misura ben 3070 metri sul livello del mare. È notte fonda, il cambio ottenuto alla banca del terminal corrisponde a 4,14 Franchi francesi per ogni dollaro. Lasciati gli zaini nel box bagagli dell’aeroporto, andiamo in bus nel centro di Saint Denis alla ricerca di un alloggio adatto alle nostre esigenze, essendo Reunion un luogo notoriamente costoso quasi quanto la Francia. Anche le strade pulite, ben conservate, e le case piacevolmente sistemate e ornate di fiori ci ricordano, in alcuni dettagli, le abitazioni delle città europee. Reunion, Mauritius e Seychelles, tre isole nell’oceano Indiano infinitamente diverse tra loro.
Con l’esperienza abbiamo acquisito una certa intuizione sulle pensioni o gli alberghetti che rispondono alle nostre aspettative. Facciamo pochi passi e subito individuiamo l’alloggio che meglio ci corrisponde nella Pension de Famille Amigo, in Rue Felix Guyon, l’albergo più essenziale e fatiscente dell’isola, con camere iper-sozze prive di finestre, arredate con letti ricoperti da panni appiccicosi e senza lenzuola. Non un chiodo dove appendere una camicia, né un piano dove appoggiare un bicchiere. Il costo è di 75 franchi, 25 a testa, colazione compresa; certo non sono pochi se rapportati al tipo di sistemazione cadente ma di peggio non c’è altro. Per fortuna, il titolare è molto disponibile e cortese: sono quasi le tre di notte e ci prepara delle uova al tegamino, nonostante al nostro arrivo stesse dormendo. Questa curiosa baraccopoli tanto scomposto, in una realtà sociale così apparentemente ligia e borghese, rimane comunque un’eccezione. Per fortuna è in pieno centro, comodo a tutto.
Di primo mattino, Valentina, Aldo ed io, siamo di nuovo in strada, ansiosi di ottenere il visto del Sudafrica entro il giorno dopo, essendo il volo per Durban solo al mercoledì. Prendiamo un taxi ma per errore confondiamo gli indirizzi e finiamo a Saint Francoise, nella casa del console e non al consolato. Perdita di tempo. Torniamo in città in autostop. Da qui, prendiamo il bus e facciamo un secondo madornale errore, questa volta finiamo nel paesino di Saint Marie, distante 14 chilometri, quando il consolato si trova invece in Boulevard Saint Marie, in città, a soli tre isolati dal nostro alloggio. Girato a vuoto come rincoglioniti, sicuramente a causa di informazioni errate e della stanchezza accumulata. Finalmente raggiungiamo il consolato a piedi, dopo quattro ore di ridicola quanto affannosa ricerca.
Al consolato gli impiegati vogliono vedere il biglietto d’uscita dal Sudafrica, che abbiamo, mentre noi chiediamo che timbrino il visto non sul passaporto ma sopra un foglio di carta perché nelle tappe successive, a causa della politica sull’Apartheid, con il loro visto non ci fanno entrare. Paghiamo per un visto multiplo poiché prevediamo di visitare via terra tutti i paesi confinanti nell’Africa meridionale. Il visto ci verrà consegnato il mattino del giorno dopo per cui corriamo subito nell’agenzia dell’Air France a prenotare il volo per Durban.
Terminati gli impegni burocratici, a Saint Denis e un po' dovunque, notiamo fila di boutique tirate a lucido, con scarpe ed abiti più costosi che in Italia. Qui regna il trip dell’elegante classico, che noi chiamiamo “patacchini da brodo”. “Vince” chi è più aggiornato sui canoni estetici e di moda in vigore in Francia, esasperandone il senso: rischiano di apparire più europei degli europei. Reunion è indubbiamente un’isola bellissima che, grazie al suo clima tropicale, vanta un eccezionale varietà endemica di piante e di animali, ma l’atmosfera che si respira non ci entusiasma.
Rue da Paris e le rispettive vie laterali rappresentano la parte migliore della città, disseminata da belle ville coloniali, costruite nel periodo più prospero dell’economia isolana, grazie alle piantagioni di canna da zucchero. Qui, oltre ai tanti negozi, troviamo anche diversi edifici pubblici oltre al municipio e il mercato centrale o “Grand Merchè”. Entriamo nell’ufficio del turismo dove vengo attratto da una tabella che indica il numero degli abitanti dell’isola nelle varie epoche ed il loro rapido aumento demografico: nel 1671 erano 90, che diventarono 180mila all’inizio del ‘900 e oltre 500mila oggi, nel 1979. Pare sia difficile stabilire l’esatta origine dei vari gruppi etnici ma l’impiegato stima che circa il 20% siano di discendenza indiana, mentre solo il 5% è composto da francesi nati in Francia.
L'isola, allora chiamata Mascarin, fu raggiunta dai francesi nel 1643 ed essendo priva di abitanti, i neo-colonizzatori vi mandarono in esilio dodici detenuti. Nel 1649 rivendicarono ufficialmente l'isola in nome del re e la chiamarono Borbone. La colonizzazione vera a propria iniziò nel 1665, quando la Compagnia Francese delle Indie Orientali inviò i primi venti coloni. Dopo il 1715, i coloni produssero caffè e spezie, che alla fine furono sostituite dalla canna da zucchero. Nel 1792, la Francia ribattezzò l'isola La Reunion. Gli isolani oggi usano le loro origini etniche per distinguersi definendosi come Cafres (ascendenza africana), Z’oreilles (nati nella Francia continentale), Malabars o Tamoul (dal Tamil Nadu, India meridionale), Z'arabes (dal Gujarat nel nord dell'India), Chinois (dalla Cina), Malgaches (dal Madagascar), Comores (dalle Comore), Petits blancs (poveri bianchi rurali che vivono negli altopiani) o Creoles blancs (proprietari terrieri bianchi). La lingua ufficiale è il francese, ma è il Creolo ad essere parlato dalla maggioranza della popolazione.
In fondo alla stessa via del nostro albergo, attraversato Rue de Paris, si arriva in breve al punto panoramico chiamato Le Barachois, immerso nel verde di un giardinetto, con bancarelle di cibi sul genere snack ed alcuni cannoni puntati verso l’oceano Indiano. Niente di eccezionale, un luogo informale ottimo per rilassarsi, dove i lavoratori pranzano, gli amici si incontrano per una birra o per giocare a bocce. Asraf Moossa, un ragazzo mauriziano che lavora nel ristorante dell’Onu in Royal Street, ci dice che alla domenica qui fanno sempre delle feste Tamil con musica, danze e belle donne. Sembra sia anche il luogo, a tarda ora, preferito delle prostitute indiane. Asraf insiste un po' troppo in argomenti di sesso e alla fine emerge che è gay. Finiamo anche a sbirciare l’interno della cattedrale di Saint Denis che troviamo però molto anonima e priva d’interesse.
Per un boccone, entriamo al ristorante-pizzeria La Recreation in Rue de la Victoria. Oltre a pizza, hamburger ed hot dog, nel menù sono elencati una infinità di piatti creoli, in gran parte speziati, risultato di una miscela di influenze delle cucine malgascia, francese, indiana, est africana e cinese, portate nell'isola dalle diverse immigrazioni e modificate dalla cultura locale, con prevalenza di pesce, cacciagione, formaggi, salumi tipici, paté particolari, e inoltre frutta, marmellate, cioccolato, spezie molto profumate, vini francesi di importazione. Le porzioni, sia della colazione che del pranzo e della cena, sono scarsissime, in contrasto con le porzioni abbondanti tipicamente africane. Non amando il piccante, evitiamo di consumare il piatto chiamato “cari”, ispirato al curry d’origine indiana, a base di carne o pesce piuttosto pepato. Viene servito accompagnato da riso e cereali, lenticchie o piselli ben cotti. Ancora più speziato è il “rougail”, uno stufato di salsicce a base di peperoncino e pomodoro, che si trova sulle tavole di ogni ristorante.
L’allergia di Valentina si sta rapidamente aggravando, il suo corpo è ricoperto da punti rossi e piccoli foruncoli, dai piedi al collo. Infezione del sangue? Eczema? Problemi mestruali? Domani andiamo al Bellepierre Hopital qui a Saint Denis, con l’augurio di trovare dei medici migliori di quelli incontrati a Port Louis. Certi di essere in Sudafrica il giorno dopo, passiamo la serata a segnarci la lista degli hotel più popolari a Durban, Johannesburg, Cape Town ed altre città, copiati da un libro di viaggi lasciato in pensione da qualche ospite. Interessante notare che in Sudafrica ci sono hotel, o travel-lodge, riservati ai soli residenti, altri per residenti e turisti insieme e poi, ovviamente, quelli per turisti. Bisogna prestare attenzione poiché in certe località minori ci sono gli hotel ma solo per i residenti.
Mercoledì 23 maggio
Ci rechiamo subito a ritirare il visto su carta, multiplo e valido tre mesi. A seguire, l’agenzia dell’Air France ci conferma il volo per oggi alle 18:30 con un aereo della South African Airways, compagnia loro consociata in questa parte di mondo. Terza tappa mattutina, siamo all’ospedale per l’allergia di Valentina. C’è una marea di gente in attesa ed è una visita dai tempi lunghi. L’antistaminico della sera prima ha però fatto effetto, Valentina sta meglio ed il forte prurito è scomparso. Decide di rimandare la visita e di farsi vedere a Durban. Di nuovo in centro, presi dalla situazione trendy del luogo, ci buttiamo nello shopping ed aggiorniamo il guardaroba: Valentina acquista pantaloni e scarpe ed io solo pantaloni. Giunto mezzogiorno, ci colpisce la pace e l’ordine che regna in un piccolo ristorante cinese senza nome. Ci sediamo in una saletta piccola, stranamente non sovraffollata o soffocante. Non c'è il menù ma una lavagnetta con i piatti del giorno, che il titolare ci illustra uno ad uno nel dettaglio. Ordiniamo un piatto di noodle alle verdure e del pesce veramente fresco e squisito. Il titolare è particolarmente cordiale e sollecito senza essere mai invadente o sopra le righe.
Tornati in pensione con i minuti contati per l’aeroporto, svuotando le tasche di tutti e tre ci accorgiamo di una distrazione enorme: abbiamo i franchi per pagare il taxi ma non quelli per pagare l’hotel e la banca per cambiare i nostri travellers ceque adesso è chiusa. Occorre prendere una decisione con urgenza: o perdiamo l’aereo o inchiodiamo l’hotel. Decisione molto sofferta, ma con la morte nel cuore optiamo per una fuga che ci crea un grande senso di colpa essendo il titolare indiano una brava persona e di certo non lo merita. In pratica rimaniamo a Reunion appena trenta ore. Alle 18:30 il 474 della South African Airways decolla e in 3 ore e 40 di volo siamo a Durban, sulla costa orientale del Sudafrica. Dogana ben organizzata, passiamo i controlli senza problemi. Cambiamo subito un assegno alla banca del terminal dell’aeroporto, per pagare il mezzo che ci condurrà in città. Ogni dollaro equivale 0.83 centesimi di Randa, la valuta locale. I ritmi, a volte febbrili, di questo modo di viaggiare possono essere metabolizzati solo quando alle spalle si hanno diverse esperienze analoghe vissute da noi tre in paesi e continenti affascinanti ma difficili e privi di ogni comfort, nei quali è fondamentale avere un buon grado di adattabilità. Vivo la presenza di Valentina con grande piacere, Aldo è un amico e non ci sono imbarazzi o fraintendimenti, ma una buona sintonia in cui Valentina introduce un femminile capace di vivere con empatia il maschile. Sa condividere e superare gli inevitabili problemi insiti in un viaggio come questo. Con coraggio e intelligenza.