Pastres de l’Argentièro
calen de n’aut en bas
portoun froumage gras
dedins la froumagièro
per far la presentièro
al bon Jesu qu’es nas.

Pastori dell’Argentera
scendono dall’alto in basso,
portano formaggio grasso
nella formaggiera,
per farne dono
al buon Gesù ch’é nato.

(Strofa de Lou Nouvèl de l’Argentièro)

È nato tutto da un invito a Bersezio per la festa patronale di san Lorenzo, il 10 agosto, e dalla lettura di un libro, Il serpente di stelle di Jean Giono (1895-1970). Un testo che, attraverso l’iniziazione e la descrizione del "dramma dei Pastori", fatto di lunghi recitativi alla luce di falò nella suggestiva, forse esoterica, notte di San Giovanni (24 giugno), narra la profonda unione dei pastori dell’Alta Provenza con la portentosa natura circostante.

Ad Argentera-Bersezio (Cuneo), l’ultimo Comune nella punta estrema in cui l’Italia confina con la Francia, ci si arriva percorrendo un’unica via che, inseguendo il grandioso spettacolo delle Alpi Occidentali, s’inerpica, curva dopo curva, nell’Alta Valle Stura di Demonte.

A sinistra, i verdi monti sono ricoperti di prati, ruscelli, pini, larici, conifere. A destra, le montagne sono grigie, appuntite, prive di vegetazione. Non è un caso; qui le Alpi Marittime alla sinistra cedono alla destra il passo alle Alpi Cozie, le cosiddette Dolomiti del Piemonte. A separare i due paesaggi montani è la strada nazionale, che conduce al valico del Colle della Maddalena (1996 metri s.l.m.), le Col de Larche in francese, punto d’incontro tra la valle cisalpina scavata dalla Stura e la valle transalpina percorsa dall’Ubaye.

La storica linea di demarcazione amministrativa risale al 1713. Il confine di Stato? Un permeabile, quasi impercettibile passaggio per persone, merci e culture.
Nel Secondo Dopoguerra, quest’atavico corridoio di transito diede origine al contrabbando. Ce lo ricorda il Museo del Contrabbandiere, la "Mizoun dal Countrabandìer", allestita nel Rifugio Becchi Rossi a Ferrere. L’abitazione del contrabbandiere rispetta, nell’arredamento, la disposizione degli antichi spazi, con una cucina, una cameretta e il soulier, ossia un ampio locale dal soppalco in legno.

Un tempo, in quest’amena borgata del Comune di Argentera si viveva di taglio del bosco, piccolo allevamento e agricoltura. I soldi scarseggiavano e la miseria degli abitanti era parecchia. Ferrere, per la vicinanza al confine di Stato e, di conseguenza, alle città di confine, e per la posizione defilata rispetto al tracciato vallivo centrale, divenne la località di riferimento per i contrabbandieri della vallata. Costoro trovarono così la maniera di integrare il misero reddito famigliare. La pratica si diffuse celermente e, altrettanto celermente, aumentò il numero di coloro che, per preciso impegno istituzionale, arginarono tale prassi.
Da secoli, in questa terra di frontiera, la lingua, la cucina, la musica s’intrecciano, a siglare un tacito connubio italo-francese che continua nel tempo.

A condurci nel meraviglioso viaggio alla scoperta di Argentera-Bersezio è Pietro Rolando, Pierin per gli amici. Ci introduce in questo microcosmo nascosto e segreto, lontano anni luce da grattacieli, traffico cittadino e aria satura di smog, mostrando e spiegando oggetti della tradizione popolare.

La maggior parte dei macchinari in mostra li ha costruiti lui in miniatura. Sono bellissimi; li conserva in vetrine, ordinatamente esposti a seconda delle funzioni e dell’uso. I loro nomi riecheggiano suoni lontani, rimandano a una lingua autoctona, ascritta alla lingua d’oc e alla millenaria area geografica dell’Occitania, una lunga striscia di terra che, nel Medioevo, comprendeva la Francia meridionale, alcune zone alpine occidentali dell’Italia da un lato e la parte orientale della Spagna dall’altro.

Ne hanno di storie da narrare i suoi manufatti. Si comincia dalla coltivazione dei cereali. Argentera era considerata il granaio della Valle Stura. Una volta "La segale di Bersezio era ricercatissima, l’orzo di Ferrere e Argentera era speciale, dappertutto c’erano covoni di grano, segala, orzo e gruppi di pecore e mucche" (Alfredo Tallone). Il racconto di Pierin è carico di eventi della Storia, quella con la s maiuscola, e aneddoti di vita quotidiana, proverbi e leggende locali, rapporti e interrelazioni transfrontaliere che, intersecandosi, creano la mappa culturale di una comunità alpina fiera delle proprie origini, delle proprie tradizioni agro-silvo-pastorali.

Dinnanzi agli occhi di chi ascolta, prendono vita pastori, contrabbandieri e musicisti ambulanti. Poteva capitare che questi tre lavori fossero svolti da un’unica persona, un po’ pastore di greggi all’alpeggio, un po’ contrabbandiere per necessità, un po’ musico, avvezzo a colmare l’appartata solitudine di chi per lunghi mesi vive in ripari naturali tra i boschi, con la dolce melodia di un flauto a tre buchi o di una piva, una cornamusa in pelle di capra.

Di composizioni da eseguire ce n’erano parecchie. Alcune si suonavano prima dei pasti oppure prima di entrare nella stalla, dove si faceva la veglia serale; altre durante i matrimoni, i decessi, le feste del paese, il Carnevale o il Natale.

Celebrano il Natale i versi iniziali di quest’articolo e sono tratti da Lou Nouvèl de l’Argentièro. L’anonimo manoscritto, risalente agli inizi del ‘500, raccoglie alcuni Nouvè (canti di Natale), composti in occitano ad Argentera. Forse a concepirli fu uno dei tanti autori autodidatti dal felice intuito artistico che si potevano incontrare nei mercati e nei crocevia commerciali intra-alpini di Demonte in valle Stura o di Barcellonette nella valle dell’Ubaye.

Nelle valli occitane, durante il periodo natalizio, era infatti consuetudine mettere in scena piccole rappresentazioni teatrali, i nouvèls. Ispirati alla religiosità popolare montanara e alla natività. Essi univano l’accompagnamento di musiche e canti all’azione scenica di pastori, che recavano in dono a Gesù formaggi e pezzuole, gli stessi omaggi che avrebbe potuto offrire nel ‘400 e ‘500 la popolazione locale.

Preziosa testimonianza della cultura occitana piemontese, la raccolta di Argentera, ritrovata negli anni Trenta del Novecento dallo storico Riberi, sebbene contenga solo i testi e non le musiche dei canti, insieme al nouvèl de La Chanàl, rinvenuto a Chianale, in Val Varaita (Cuneo), rappresenta quanto è sopravvissuto dei caratteristici riti legati alle festività natalizie nelle valli provenzali cisalpine.

Una musica vicina, e al contempo lontana, accompagna la voce del nostro narratore. Proviene dalla piazza, un panoramico slargo su cui affacciano gli edifici principali di Bersezio. Il ritmo brillante e mosso dei brani rimanda a courento, balét, gigo, vièio, trésso, calissoùn, danze occitane suonate dalla banda Duccio Galimberti di Cuneo, venuta quassù per allietare il giorno del santo patrono. In questo paesaggio sonoro a cadenzare il dì di festa sono pure gli allegri rintocchi, scanditi dalle campane della parrocchiale, dedicata a San Lorenzo.

L’edificio religioso, fondato nel 950 da monaci provenienti dall’abbazia di San Teofredo a Le Puy-en-Velay, in Alvernia, su di un’antica via di transito per pellegrini e crociati, dal 1018 al 1455 fu un importante priorato benedettino della Valle Stura, con diritti su forni, mulini, "acquaggio e ripaggio".

Impossibile non notare la bella architettura romanica del campanile. Eretto da sapienti costruttori con conci tufacei ben squadrati a formare le lesene di spigolo e suddiviso da traverse in sei ripiani, di cui i due più alti traforati da coppie di finestre ad arco, ricorda nella posizione sull’asse della navata, addossata alla parete di fondo del coro, la cattedrale di Le Puy. Invece, sulla parete esterna della chiesa è murata un’arula.

La piccola ara votiva d’epoca romana raffigura un tempietto con Ercole e Marte, ritratti nell’atto di stringere una sola lancia. Ercole rappresenta l’eroe che ha conquistato i valichi alpini e li ha resi sicuri, Marte la divinità protettrice delle greggi. Secondo alcuni storici, l’immagine sacra commemora la vittoria di Marco Fulvio Flacco sui Liguri Transalpini (123 a.C. ca.). Invece, altri studiosi datano il reperto tra il I e il II secolo d.C.

Agli appassionati di Medioevo il ridente paesello di Bersezio, attuale sede del Comune di Argentera, riserva delle sorprese. Nel XIV secolo, il villaggio, protetto da mura, possedeva due porte d’accesso in corrispondenza della via Maestra: sopra quella superiore si ergeva la torre del carcere, in quella inferiore si apriva la finestra della gabella.

Di fronte all’abitato, sul poggio dall’altro lato di Stura, in ubac, il versante meno soleggiato, si innalzava un maniero, già esistente nel 1377, poiché quell’anno gli uomini di Bersezio ottennero da Giovanna d’Angiò, la Reino Jano, la regina di Napoli anche contessa di Provenza, di esigere alcuni dazi, i cui proventi servirono pure per le riparazioni al castello. Dalla metà del ‘700, in ricordo del fortilizio, già diroccato nel ‘500 e privo di guardia, rimane solo la toponomastica. Negli anni Trenta del ‘900, sullo stesso colle fu posta la statua del Sacro Cuore.

Mel Medioevo dalla Provenza, oltre alle musiche e ai balli arrivarono anche i croset o crouzet, a seconda della lingua e del dialetto del posto. Simili a gnocchetti abilmente modellati sulla spianatoia con il pollice, in modo da arricciare i bordi di pasta fino a formare un merletto, si confezionano con qualche pugno di farina di frumento, acqua e poche uova. Un vecchio detto riporta: "quando una ragazza riesce a farli con 18 pieghe è da sposare". Conditi con la "bagna" grisa, un sugo preparato con formaggio stagionato, sminuzzato e sciolto in un soffritto di cipolla, aglio e latte, ricordano per forma e genesi le orecchiette pugliesi.