La via umida deriva dal nero, pesante e bianco ammasso nostro; i serpenti che strisciano nell’erba, invece, indicano che il pitone (Mercurio) è sulla via secca, perché questa è molto velenosa, ma quando avrà risalito diverse volte la montagna (l’alambicco per la distillazione), si trasformerà in fiore, quasi medicinale.
(Abraham Eleazar)
Uno degli archetipi che popolano l’inconscio collettivo dai tempi delle origini e presente nella mitologia, nella cosmogonia e nelle religioni di innumerevoli popoli è il serpente, colui che risveglia la conoscenza e simbolo della ciclicità della vita. L’uomo è affascinato da ciò che lo impaurisce, vuole svelarne il mistero, intuisce il potere nascosto in ciò che teme, desidera conoscerlo superando la paura. E il serpente è colui che possiede la conoscenza, connesso profondamente alla terra e alla natura, si muove ed emerge sinuosamente da essa, striscia tra le radici, nel sottosuolo si rintana, nuota nelle paludi, è uno dei simboli della Grande Madre raffigurata anche con le serpentine che rimandano all’acqua, che assicura la vita ma che può con la sua forza prorompente distruggere ciò che incontra lungo il suo scorrere.
Il suo vivere è un cerchio di luce e tenebre.
Questo animale ha delle caratteristiche particolari che lo rendono una creatura leggendaria con poteri sovrannaturali: il suo veleno, come alcune piante e funghi, ha il potere sia di avvelenare che di guarire e condurre a stati di coscienza ampliata, per gli alchimisti è associato all’elisir di lunga vita.
Il serpente, inoltre, ha la capacità di autorigenerarsi, di cambiar pelle in un solo passo, diversamente da altri animali, allo scopo di migliorarne il movimento. Per questa sua caratteristica simboleggia la rigenerazione, il rinnovamento.
Spesso il serpente è associato al drago che nell’atto di sputare fuoco purifica ciò che brucia, una funzione taumaturgica che possiedono entrambi.
Il drago è presente in svariate culture, dal Níðhöggr norreno che è una creatura malefica, al drago cinese che simboleggia lo yang, lo spirito fecondo e creatore, maschile, il Logos ovvero il Tao, la regola cosmica secondo la tradizione cinese.
Nell’antica Mesoamerica popolata dagli Aztechi, dai Toltechi e dai Maya, la divinità più importante è il dio serpente piumato con ali da drago Quetzalcoatl, dal naunatl serpente divino.
Nel racconto biblico di Adamo ed Eva il serpente è una creatura ingannatrice che consiglia ciò che Dio ha vietato, promettendo la conoscenza proibita, rappresenta originariamente la saggezza.
Ora il serpente era il più astuto di tutte le fiere dei campi che il Signore Dio aveva fatto.
(Genesi 3,1)
Nell’Apocalisse di Giovanni è implicita l’identificazione del serpente con Satana, il tentatore che intende viziare e orientare il libero arbitrio dell’uomo a cui però spetta di operare sempre la scelta.
Nell’Esodo il bastone di Mosè si trasforma nel serpente arcaico Nehushtan, raffigurato come un serpente di rame attorcigliato ad un palo e usato per guarire ingiurie.
Mosè allora fece un serpente di rame e lo mise sopra l'asta; quando un serpente aveva morso qualcuno, se questi guardava il serpente di rame, restava in vita.
(Numeri 21,9)
In una immagine del Codice di Flamel è raffigurato un serpente di ferro che Mosè inchioda alla croce perché tutto il popolo lo veda e possa guarire dai propri mali, è il potente re della natura, il balsamo salino che guarisce il mondo.
Rimanendo nella simbologia cristiana, il serpente era associato all’iniziazione ai Misteri della legge mosaica, alla chiaroveggenza che permette l’ingresso ai mondi spirituali. Lo stesso Giovanni Battista chiamava vipere gli iniziati, così come la venuta di Gesù Cristo simboleggiava che l'iniziazione sarebbe divenuta accessibile a tutti, come affermò Nicodemo: “E come Mosè innalzò il serpente, così pure fa d'uopo che sia innalzato il Figliuolo dell'uomo”.
Un simbolo molto antico è l’Uroboro o Ouroboros (in lingua copta Ouro significa re mentre ob in ebraico significa serpente), il serpente o drago che si mangia la coda a rappresentare la ciclicità del tempo, l'unità, la totalità del mondo, l'infinito, l'eternità, il tempo ciclico, l'eterno ritorno, l'immortalità e la perfezione.
L’immagine più antica dell’Uroboro si trova nel trattato La Chrysopoeia (che significa ‘fare oro’) scritto da una alchimista chiamata Cleopatra, vissuta ad Alessandria d’Egitto nel tardo IV secolo d.C. e raffigurato metà bianco e metà rosso, con all’interno una dicitura traducibile come ‘Tutto è Uno’.
Nella tradizione alchemica l'Uroboro è un simbolo che rappresenta il processo alchemico, il ciclico susseguirsi di distillazioni e condensazioni necessarie a purificare e portare a perfezione la ‘Materia Prima’ definita dagli alchimisti come la massa oscura derivante dalla caduta di Adamo e di Lucifero. Sublimare tale massa e trasformarla nel lapis significa per gli alchimisti riportare la Creazione caduta in disgrazia al suo stato paradisiaco originario.
Ma la Materia Prima deve essere prima destrutturata, divisa, atomizzata, per questo motivo l'uroboro alchemico è il risultato della fusione di due serpenti; il superiore, alato, volatile, è lo spirito universale del mondo che dona la vita e uccide, il tutto e il nulla, mentre il serpente in basso rappresenta il residuo fisso, la materia, la terra. La loro unione genera l’Uroboro raffigurato con zampe e corona, a simboleggiare la pietra filosofale, la quintessenza che si trova solo nel superiore cielo di fuoco divino.
L’alchimista opera la conversione dei 4 elementi, aria, acqua, terra e fuoco che sono lo spettro di tutte le possibilità terrene per portare sulla terra il 5 elemento attraverso le rotazioni degli elementi e l’unione di ciò che è in alto con ciò che è in basso. Tra fuoco e acqua si forma l’eterno lapis che è la copia celeste dell’oro terreno.
Le rotazioni degli elementi di cui gli alchimisti possedevano già la conoscenza, sono chiamati dalla fisica spin o movimenti angolari, come scrive l’astrofisica Giuliana Conforto in un estratto dal suo articolo “Il risveglio e la rivelazione dell’intelligenza organica”: “Moti celebrati dalle danze Sufi, moti la cui coerenza è oggi misurata dalla Risonanza Magnetica Nucleare (RMN).
Nella tradizione tantrica i due serpenti simboleggiano l’energia cosmica e in una raffigurazione di Bosohli si intrecciano attorno a un lingam (fallo) invisibile. La manifestazione di questa energia universale è chiamata in lingua indiana kundalini, il flusso vitale che risale dal primo chakra - Muladhara - lungo la colonna vertebrale attraverso l’impalpabile canale centrale Susumna fino al centro del cervello. Due serpenti si attorcigliano attorno al canale, a sinistra vi è Ida – canale lunare, mentre a destra si trova il canale solare – Pingala.
I tre canali si congiungono all’altezza delle sopracciglia, sede del terzo occhio, la ghiandola pineale o ‘occhio di Shiva’, nella tradizione induista descritto come l’organo della visione spirituale.
La kundalini è illustrata come un serpente dormiente e attorcigliato su se stesso che, se risvegliato, inizia a stendersi lungo la colonna vertebrale che viene chiamata in India ‘la verga di Brahma’. Essa è una energia connessa al sesso, all’occulto, che contiene in sé gli opposti, la letalità e la rigenerazione.
È quell’energia cosmica, misteriosa e potente che Carl Gustave Jung associò all’energia psichica libido: “Il serpente rappresenta la libido che si introverte. Attraverso l'introversione si viene fecondati da Dio, ispirati, ri-procreati e rigenerati”.
Nel Dialogo tra un’anima illuminata e un’anima non illuminata di Jacob Bohme troviamo scritto:
Alla povera anima che vuole allontanarsi da Dio, il diavolo presenta la propria immagine come ciclo della natura, e precisamente sotto forma di serpente: la ruota di fuoco dell’essenza. Egli dice: ‘Tu sei come il mercurio igneo, e a quest’arte rivolgi la tua brama. Ma dovrai mangiare di un certo frutto, in cui i quattro elementi vogliono ognuno dominare l’altro e, quindi, si combattono.’ Dopo che l’anima ne avrà mangiato, Vulcano accenderà la ruota di fuoco dell’essenza, e nell’anima si risveglieranno tutte le qualità della natura, compresi piaceri e brama.
E serpenti adornano il viso di Medusa, una delle tre Gorgoni e l’unica che non ha l’immortalità, ma tutte con il potere di pietrificare chi incrociava il loro sguardo. Da donna bellissima venne trasformata in mostro da Atena che, invidiosa della sua bellezza, la punì per aver giaciuto con Poseidone. Venne decapitata da Perseo e dal suo sangue nacquero Pegaso, il cavallo alato capace di generare sorgenti con gli zoccoli, e il gigante armato di una spada d’oro Crisaore, i figli che Medusa aspettava da Poseidone.
Secondo alcune versioni dalla ferita nacque anche l’anfesibena, il serpente a due teste, quella nell’estremità superiore del corpo viene raffigurata d’oro o d’argento, mentre quella inferiore è nera, a simboleggiare la vittoria del Bene sul Male. È anche dotato di occhi lucenti come fari. Dante cita questa creatura nel canto 24 dell’Inferno. Medusa e Perseo, così come le numerose figure mitologiche, sono delle istanze psichiche, la prima rimanda agli schemi limitanti, alla pietrificazione dei limiti che bloccano l’evoluzione psichica e spirituale mentre la seconda è simbolo della rottura di tali schemi, del rinnovamento interiore.
Nella religione egizia il serpente ha un significato molto importante, nei copricapi indossati dai faraoni è raffigurato un cobra d’oro eretto che conferiva supremazia e magnificenza.
Nella civiltà minoica la ‘Dea dei Serpenti’ è spesso vista come la Dea Madre cretese, divinità femminile venerata da almeno il 3000 a.C. fino al 1200 a.C. legata alla fertilità, alla vita e alla morte. La statuetta che la raffigura ha un abito a falde con un corpetto che le lascia scoperti i seni, tipico delle sacerdotesse. Le mani stringono due serpenti a simboleggiare il potere di accedere al mondo ctonio ovvero collegato al culto delle forze sotterranee e degli inferi. Inoltre, sulla sua testa siede un gatto, animale connesso alla Luna, al femminile, con capacità sensitive straordinarie quali udito e olfatto sopraffini. Il gatto è in grado di vedere al buio e di captare le energie negative dell’ambiente e di catalizzarle su di sé, trasmutandole in armonia e benessere, per tutti questi motivi è chiamato dai monaci zen colui che ‘mostra la Via’.
Il serpente, quindi, rappresenta la guarigione come liberazione dagli stati oscuri sia fisici che spirituali conseguenti alla connessione con il Divino.
La conoscenza si erge come il serpente dal basso, dall’oscurità di ciò che non è malvagio ma semplicemente non-conosciuto, all’alto della luce della conoscenza. Come il passaggio dalla vita alla morte, dal sonno al risveglio, la sua muta richiama la trasmigrazione dell’anima, il cambiamento di stato che è anche la morte iniziatica ossia la profonda consapevolezza che conduce alla rinascita spirituale.
Il contatto con il serpente che giace nel profondo di ognuno è il primo passo del viaggio dell’anima in questa dimensione terrena, ascoltarlo, percepire la sua potente energia significa accogliere la saggezza della terra e rievocare il ricordo sopito e il ricongiungimento con la Sorgente, origine del Tutto.
E proprio il morso del serpente segna il passaggio, il risveglio dal sonno coscienziale.
Concludo con una leggenda siciliana che ha come protagonista un gigantesco serpente detto ‘biddrina’ che vive nascosto nelle fonti o nelle paludi e attira con lo sguardo coloro i quali si avventurano in quei luoghi. L’evocazione di tale essere mostruoso spaventava i bambini che così evitavano di andare a fare il bagno in questi luoghi col rischio di annegare.
Ma è risaputo che siamo attratti da ciò che temiamo…
Scuote l'anima mia Eros
come vento sul monte
che irrompe entro le querce
e scioglie le membra e le agita,
dolce, amaro, indomabile serpente.(Saffo)