Ora che abbiamo visto tutti ma proprio tutti i film della Mostra di Venezia, mi chiedevo cosa ho imparato? Cosa mi è rimasto?
È possibile che ci sia ancora qualcosa da dover raccontare, o da dover spiegare, analizzare e girare e rigirare nella mente quando la linea sottile dell'estate si confonde con quella impercettibile dell'autunno?
Sì, credo proprio di sì.
Capita a volte, che dopo la Mostra del Cinema, io cerchi di fare un collage mentale e oserei dire, spirituale di tutto quello che ho visto sullo schermo; è un po' come quando hai interrotto bruscamente un sogno dolce e ti svegli di soprassalto pensando "Che si fa adesso?".
Ovvio, il bambino che è in ognuno di noi (sì, proprio in ognuno), si gira semplicemente sul lato destro e nella più ferma e illogica convinzione, fa un reset, anzi un restart (!) come se il sogno potesse avere una sua propria sceneggiatura, una sua vita autonoma dal pensiero razionale, una sua vita galleggiante, sospesa tra il conscio e l'inconscio, così semplicemente, re-iniziando a sognare da capo, nel momento e nella scena stessa in cui si era interrotto.
Rido di me e della mia caparbietà, ma è così.
Il sogno riparte e nella mia mente scorrono come in grande pagina di giornale, tutte le immagini belle, tutti i dialoghi con voce appena soffiata fuori dalle labbra, tutte le scene dei film che quest'anno ci hanno fatto trattenere il respiro.
Sì, mio caro Peter… (Peter? Quel Peter lì?), ora il montaggio è ancora più caotico di prima ma è bello così.
Non vorremmo tutti noi fare un film con le scene più belle di tutti e fare una storia tutta nostra? Avrebbe senso? Ma sì certo, a tutti noi piacerebbe!
Ricordo con estremo piacere lo sguardo felice, per esempio, di Serena Rossi rivolto al pubblico ed ai fotografi, quando ha aperto la Mostra.
Ebbene cosa abbiamo visto ancora una volta lì, anche se eravamo tutti distratti dalla sua verve e dal suo sorriso senza fine?
Non era anche quella una scena d'amore? ce ne siamo accorti? Non era amore drammatico ed intenso lo sguardo di lei verso di noi? I suoi occhi felici valevano più di mille parole... erano lì a significare: “Siamo tornati, noi siamo voi e voi noi, e siamo tornati per farvi vivere in nuove storie”, in un infinito gioco di specchi.
Oppure, ancora, le scene lente ed incisive del film È stata la mano di Dio di Paolo Sorrentino... Apprezzo molto lo stile narrativo di Sorrentino; non si può negare che abbia un occhio critico e schivo, da spettatore silenzioso, da profondo conoscitore dell'animo umano ma non per questo mai sazio di osservare… C'è un po' di Hitchcock anche in lui... ma nel senso del guardare le cose zitti in un angolo, come amava descrivere se stesso il grande maestro, mentre la mente prende nota di tutte le sfumature.
Ho promesso a me stesso che andrò presto a Venezia, magari all'inizio dell'autunno oppure ad inverno appena iniziato; non posso perdere quella magia che gli artisti, tutti, non solo gli attori, ma chi scrive, chi progetta un film hanno lasciato sospeso nell'aria di Venezia, la più cinematografica città del mondo, forse.
Ho questo grande desiderio, per avere voglia di raccontare ancora, anzi no, per avere il privilegio di respirare quell'aria intensa ma sospesa, leggera come la brezza ma pesante come un respiro profondo, che gli occhi di tutti hanno visto e che tutti vorrebbero catturare.
Ho voglia di passare a fianco ai muri delle case e sentire quel profumo di magia che sicuramente, a imitazione di un pomeriggio umido, a imitazione della nebbia che sale dai canali, sento che è ancora presente sui muri di Venezia, come fosse una seconda pelle che non vuole staccarsi.
Ci riuscirò? Saprò catturare quel respiro che se mi sveglio forse svanirà, o forse no?
"Trattieni il tuo cuore e attendi il momento giusto", mi dice una voce dentro. “Il cinema abita, vive a Venezia e non lascerà mai la sua casa; se avrai un cuore attento e occhi grandi potrai vederlo ancora".
Io ci sarò.
Dissolvenza incrociata.
Buio in sala.
The End.