Per voce creativa è un ciclo di interviste riservate alle donne del panorama artistico italiano contemporaneo. Per questa occasione Giovanna Lacedra incontra Giovanna D’Amico (Caserta, 1982).
Giovanna parte dalla scultura, parte dalla materia da plasmare. Parte dall’argilla, dalla forma che le idee prendono sotto le sue dita, per poi trasformare se stessa, il suo vissuto, le sue emozioni in materia duttile e modificabile. La sua carne, il suo corpo, il suo stesso movimento, la sua epidermide, tutto questo diventa linguaggio. Dai corsi di scultura presso l’Accademia di Belle Arti di Napoli, Giovanna passa alle azioni performative. Diventa materia e linguaggio. È il suo stesso corpo a dare corpo alle sue idee. È il suo stesso corpo ad essere opera vivente. E del resto è questo che fa la performance art: dare corpo ad un messaggio, farsi voce e verità.
La ricerca performativa di Giovanna D’Amico è fortemente orientata sulle ferite del corpo sociale. Il suo desiderio è ogni volta quello di “diventare” la sofferenza sulla quale vuole provocare riflessioni. Il suo corpo è spesso pregno di colore, la pratica della body painting è piuttosto centrale nel suo modus operandi.
Per lei la performance è un rituale, una sorta di esorcismo, un percorso di liberazione. Giovanna D’Amico vive e lavora a Caserta. E questa è la sua voce creativa per voi.
Chi è Giovanna?
Giovanna è una ragazza di 39 anni, che insegue sogni.
Il tuo sogno ricorrente da bambina.
Correre in un prato verde a piedi scalzi sotto la pioggia.
Il tuo incubo ricorrente da bambina?
Piu che incubo, qualche volta ho avvertito la sensazione di cadere nel vuoto, ma non ricordo particolari incubi.
Qual è stata la tua formazione?
Ho studiato al liceo artistico di San Leucio moda e costume, volevo fare la stilista. Dopo essermi diplomata ho scoperto l’amore per la scultura e mi sono inscritta al corso di scultura presso l’Accademia di Belle Arti di Napoli, dove ho vissuto e lavorato esponendo opere scultoree e pittoriche materiche, utilizzando garze, gesso e materiali da risulta.
Nei primi anni dell’accademia mi sono dedicata anche alla giocoleria e al teatro e come tesi di laurea, nel 2006, ho deciso di realizzare un’azione performativa, all’epoca si trattava di una tesi sperimentale. Ho avuto la fortuna di poter studiare e fare ricerca presso la fondazione Morra di Napoli, in quegli anni nasceva il movimento artistico Artivismocivicratico, fondato da me e Antonello Picciano, artista napoletano. Il movimento ha lavorato sul territorio napoletano, con azioni di denuncia in strada. Ho continuato il percorso con una laurea specialistica nel 2010 in Scenografia e costume, ho perfezionato la mia ricerca con corsi vari e workshop riguardanti la performance art, il corpo e la mimica e continuo quando ne ho la possibilità.
Quando hai scelto la performance, o quando la performance ha scelto te?
Ho scelto la performance o forse lei ha scelto me quando avevo 23 anni, con largo anticipo pensavo a quello che poteva essere il prodotto finale del mio percorso di studi accademici e decisi che la performance poteva raccontare il mio percorso e anche le emozioni che vivevo in quel periodo, un periodo in cui tutto mi sembrava troppo veloce. Direi che è stata un’esigenza.
Il corpo, cosa dona e cosa riceve?
Il corpo dona e riceve energia.
Che cos’è una azione performativa?
Un’azione è un passaggio di energia.
Qual è il potere del linguaggio del corpo?
Il corpo parla prima delle nostre voci, il linguaggio non verbale ci insegna che spesso le pose o gli atteggiamenti assunti dagli individui rivelano le loro emozioni. Nell’arte il performer conosce quei linguaggi e li usa per arrivare al pubblico in modo diretto e istintivo. Il corpo inoltre vive di luce e di energia.
Quali temi affronti con le tue azioni e quali messaggi veicola il tuo corpo?
I temi che ho affrontato nelle mie performance sono spesso riferiti al sociale: racconto la sofferenza. Le mie azioni sono rituali dove si compie la liberazione dalla sofferenza, se vogliamo sono in alcuni casi una sorta di esorcismo. In altre occasioni, invece, utilizzato il corpo per raccontare. Solo il corpo, non uso quasi mai le parole nelle mie azioni. Il performer non è altro che il martire contemporaneo della società e nelle mie azioni sono quel martire, racconto quello che avverto.
Quali sono gli elementi che ricorrono nelle tue azioni?
Il colore con cui ricopro il mio corpo che è sempre bianco o nero. Nelle mie azioni ci sono forme geometriche regolari, colori primari e l’acqua. Sono questi gli elementi che utilizzo spesso.
Dove passeggeresti per ore a piedi nudi?
Su di un prato inglese.
Il suono della solidarietà?
Campane tibetane… e il silenzio.
Quanto contano le tue origini nella tua ricerca artistica?
Le mie origini contano molto, credo, anche se ho vissuto per anni lontano da casa. Sono cresciuta in un paesino di provincia ai piedi di una collina, poi mi sono trasferita in una grande città come Napoli, dimensione totalmente diversa e negli ultimi anni ho vissuto a Parma, tutt’altra dimensione. Credo che le origini influiscano, ma con il tempo si mescola un po' tutto ed è tutto in continua evoluzione, anche la ricerca artistica.
Che ruolo ha la memoria nel tuo lavoro?
Ho una pessima memoria! Se parliamo di memoria storica, ti rispondo che ha un ruolo fondamentale. Se parliamo di memoria intesa come vissuto, anche, ma è più emozionale.
È vero che la scaturigine di un’opera è sempre autobiografica?
Sicuramente un’opera nasce dal sentire dell’artista, nasce dalla voglia di trasmettere le proprie emozioni, ma non sempre scaturisce dal vissuto personale dell’artista. L’artista assorbe, elabora e vomita tutto.
Il pubblico ha un ruolo attivo nelle tue azioni?
In alcune azioni è stato parte attiva in altre passiva.
Quale credi sia il compito di una donna-artista, oggi?
Credo che l’essere umano abbia il ruolo sociale di educare e di sostenere, l’artista ha entrambi i ruoli, le donne sono per natura creatrici portatrici di vita e si presume siano creature dalla grande sensibilità. Ecco, forse si dovrebbe insegnare la sensibilità, l’amore, Bauman parlava di società liquida, ne siamo dentro! Tutto è fluido, tutto è intenso nell’attimo in cui viene vissuto e si perde l’attimo dopo. Viviamo di apparenze e di superficialità. Viviamo in un mondo dove la libertà diviene libertinaggio.
Un lavoro tuo che ti sta maggiormente a cuore e perché?
È difficile come domanda, più di un lavoro mi sta particolarmente a cuore, sicuramente la mia tesi di laura Inside out my soul, The war azione presentata in Brasile grazie alla gallerista Sueli De Micco Viena e in Svizzera grazie al gallerista Tommaso Ferrillo, in un progetto di interscambio culturale. The war è la mia guerra, un rituale fatto con il colore che tratta tematiche antropologiche, dall’azione, “corpo-colore” nascono due opere pittoriche, la performance si conclude con la purificazione e il ritorno alle origini. The war è stata ripetuta in vari eventi artistici, producendo 10 opere fotografiche della grandezza di 1,50 per 2 metri.
Ad ispirarti, influenzarti, illuminarti ci sono letture particolari?
Certo, mi sono documentata con i testi di Lea Virgine, ho letto libri che trattano di performance art, diciamo che ho una vasta collezione sull’argomento, compresi tutti i cataloghi dell’Abramovic. Negli ultimi anni, invece, sono stata catturata dalla sociologia di Bauman, come anche dalla filosofia.
Tra le tue performance, quella che desidereresti riproporre e perchè?
Mi piacerebbe riproporre In-legame, azione presentata alla biennale del Sud Montalbano Jonico. In-legame è una performance molto forte, tratta i legami deleteri, l’amore malato. Il mio corpo si presenta legato con dei fili rossi alla struttura del palco e completamente coperto di cellofan, l’azione è in primo l’atto di chiusura, poi liberazione, stampo del corpo, danza e colore.
La tua performance che ti ha commossa maggiormente?
Quella che mi ha commossa maggiormente è stata Ciclico femminile, realizzata presso la reggia di Caserta. Alla fine, ho pianto. Durante questa azione ho raccontato il difficile percorso della donna, ho realizzato una tela con i piedi, il mio corpo era legato ed è diventato un compasso, la difficoltà fisica è stata quella di non perdere l’equilibrio ed usare le corde come leve. La tela realizzata era di 2x2 metri.
Scegli tre delle tue opere, scrivimene il titolo e l’anno, e dammene una breve descrizione.
Empty azione n. 38.
Realizzata presso il Museo di Arte Contemporanea di Caserta Mac3, l’8 marzo 2021 grazie al direttore Massimo Sgroi. Empty azione n. 38 parla del vuoto, il vuoto dei luoghi, parla dell’assenza di vita negli spazi, sicuramente nasce dalla riflessione sulla pandemia. Gioco sul dualismo bianco-nero ed utilizzo due elementi: un uovo e un cubo, realizzati in scultura. Il mio corpo nero si muove nello spazio bianco, il suono racconta il pubblico che non c’è, il mio corpo si muove in questo spazio interagendo con i due elementi “rinascita ed equilibrio”. L’azione si conclude con la pittura del corpo da nero a bianco e la mimetizzazione dello stesso all’interno dello spazio, ovviamente è un invito alla riflessione e al concetto di vuoto. Per costruire questa performance ho ricercato su testi di filosofia.
Ri-parto/ri-emergenze.
È stata presentata nel 2018 a Matera Capitale della cultura e a Venezia al Forte Marghera. Questa è una performance che nasce con lo scopo di esorcizzare la sofferenza personale e di ricominciare partendo dal ricordo. Il campo di azione si chiude in un rettangolo nero, sul quale è posizionata una tela creata e cucita da me a mano, unendo pezzi di tessuto da prova per la sartoria, quindi adottando materiale di riciclo. Il mio corpo si presenta vestito di quei tessuti in un abito improvvisato, l’azione ha inizio scucendo il tessuto dal mio corpo e continuando la tela in pubblico. Una volta terminata la tela, ho ricoperto il mio corpo di nero e partendo dalle mie sofferenze fisiche ho realizzato una mappa che poi ho stampato sulla tela. Mi piace chiamarla “la mappa dei ricordi che fanno male”. Le mappe realizzate sono appunto due durante i due eventi sopra elencati: Trip of the senses, realizzata nel 2009 e presentata all’evento organizzato da me, La forza del colore, presentata presso lo studio Ofca di Caserta. L’azione è il viaggio del corpo attraversato dal colore, è la narrazione dello studio della cromoterapia reso immagine. Il mio corpo vive e percepisce il colore, l’azione è stata realizzata con proiezioni sul corpo ed è visibile sul mio canale YouTube e sul sito.
L’opera d’arte che ti fa dire: “Questa avrei davvero voluto realizzarla io!”?
Il Ragno di Louise Bourgeois! Sono molto legata alla simbologia del ragno, alla storia di Aracne, e ne ho fatto un lavoro realizzando un ragno di 2 metri in ferro. Ma nulla è paragonabile alle sue sculture.
Un o una artista che avresti voluto esser tu.
Io sono io, non ho mai pensato di essere nessun’altra, ammiro tutti gli artisti che amo e mi pongo nei loro confronti con molta umiltà, ma l’idea di essere qualcun altro non mi sfiora minimamente.
Un o una performer con il/la quale avresti desiderato lavorare?
Sicuramente Marina Abramovic.
Un critico d’arte o curatore con il quale avresti voluto o vorresti collaborare?
Al momento mi piacerebbe collaborare con Eugenio Viola, curatore che tratta l’arte contemporanea e ovviamente con Achille Bonito Oliva.
Tre aggettivi per definire il sistema dell’arte in Italia.
Difficile, complesso, ristretto.
La paura che sfidi ogni giorno.
Quella di impazzire! Purtroppo, quando pensi tante cose e vivi in modo frenetico, assorbendo tanto, pensi sempre di impazzire. Almeno, a me succede!
Work in progress e progetti per il futuro.
I progetti per il futuro sono folli e grandi, uno di questi è la realizzazione di un evento nella mia terra sulla performance art, portare artisti conosciuti di alto livello e diffondere sempre di più questa pratica artistica. Altri progetti performativi ci sono ma sto ancora lavorando e quindi non ho molto da dire, intanto per le mostre aspetto una mia personale che vedrà esposte opere inerenti all’ultimo lavoro Empty azione n. 38 al museo Mac3.
Il tuo motto in una citazione che ti sta a cuore.
Volere è potere!