I Carmina Burana (1937) di Carl Orff accarezzati dalla bacchetta di Zubin Mehta al Teatro Massimo di Palermo. Momenti puramente strumentali, nel loro passo incessante e in continua variazione; una musica colta dai testi in latino, alto tedesco e provenzale, tratti dalla raccolta medievale omonima, che hanno fatto da colonna sonora a innumerevoli opere teatrali e cinematografiche.
Dal ritmo coinvolgente e la potenza sprigionata da un organico orchestrale imponente, oltre ai solisti, il coro e il coro di voci bianche, la singolare sequenza dei brani dei Carmina Burana pervade con eleganti e lunghe note melodiche, alternando momenti malinconici e incalzanti in cui la musica emerge con forza trionfale in un teatro colmo fino all'ultimo posto.
È questa una pagina di straordinaria vivacità ritmica, dallo spirito goliardico e a tratti sensuale, diretta con raffinata eleganza dall’infallibile, Zubin Mehta, uno dei direttori più amati del panorama internazionale, che ritorna a Palermo (il 18 e 19 novembre 2021) dopo due anni di assenza, l’ultima volta nel 2019 aveva eseguito la Messa da Requiem di Giuseppe Verdi. Un attimo e l’emozione festosa, con cui la calorosa platea del Teatro Massimo, accoglie il ritorno del maestro indiano, si trasforma in commozione. Applausi a scena aperta, acclamazioni e richieste di bis, da un pubblico visibilmente soddisfatto per un fuoriclasse che nonostante l’età (85 anni), la malattia affrontata, ha saputo dare sfogo con la sua bacchetta, con quel suo gesto semplice, preciso e tranquillo alla sua ineccepibile bravura.
Un insieme di colori, mutamenti ritmici ed effetti sonori percussivi alternati a melodie accattivanti, hanno caricato gli spettatori di tutte le età, da una certa dose di divismo con un esuberante trasporto verso una festa.
Il potere della Fortuna è l’argomento dell’opera, che è strutturata in un prologo (invocazione iniziale della fortuna, signora del mondo), tre parti, ognuna delle quali tocca un contenuto della raccolta di canti dei clerici vagantes medievali, e un finale.
I temi centrali del componimento lirico, e in genere della poesia goliardica, sono la natura, il vino, il gioco e i piaceri dell’amore. Affiora chiaramente anche il rifiuto della ricchezza e la pungente condanna della curia romana, i cui membri erano più propensi alla ricerca del potere che alla professione religiosa.
La prima parte è dedicata alla natura e alla primavera “paganamente intese”, riferimenti a soggetti mitologici, e anche alla danza, come momento di gioia collettiva. La seconda parte al bere, al divertimento sfrenato nell’ambiente conviviale dell’osteria e al gioco. La terza parte, Cours d’amours, è rivolta alle invocazioni e celebrazioni dell’amore (dove il latino si mescola non più al tedesco ma al provenzale, la lingua poetica dell’amore) passando dalle spirituali richieste d’aiuto rivolte agli dei, fino all’esaltazione dell’amore più terreno e carnale.
Come in una magica ruota i Carmina Burana si aprono e si chiudono con un grandioso inno alla dea che regola tutte le vicende umane, la Fortuna imperatrice del mondo che, come la Luna, cresce e decresce.
A interpretare una sorta di io narrante è il baritono, Lucio Gallo, mentre la voce del tenore, è stata affidata al giovane talento, Giovanni Sala e quella del soprano alla statunitense, Nadine Sierra. A dirigere il Coro, il Maestro Ciro Visco mentre il Coro di voci bianche del Teatro Massimo, disciplinato ed entusiastico come sempre, è guidato dal Maestro, Salvatore Punturo.
I Carmina Burana, scritti dal compositore bavarese, Carl Orff, nel 1936 in una nuova veste musicale, comprende 24 dei 228 componimenti, tra quelli trovati nel monastero benedettino vicino Monaco di Baviera, in Germania.
Ora alcuni cenni storici. I Carmina Burana, (i Canti di Bura) prima di un'opera musicale, è innanzitutto una raccolta di uno dei più importanti documenti poetici e musicali del Medioevo, scritti nei secoli XI e XII da goliardi e clerici vagantes, e contenuti nel Codex Buranus, proveniente dal convento di Benediktbeuern (Bura Sancti Benedicti), attualmente custoditi nella Biblioteca Nazionale di Monaco di Baviera. La lingua del Codex univa il latino all'alto tedesco medio e al provenzale, e il contenuto, nonostante l'apparente sacralità, spesso sconfinava nell'erotico, nel licenzioso e nella tradizione anticlericale in cui indulgevano spesso e volentieri i loro autori, con un’accesa satira sociale contro la chiesa, le gerarchie militari e il controverso mondo della nobiltà di allora.
Il titolo Carmina Burana fu introdotto dallo studioso Johannes Andreas Schmeller nel 1847 in occasione della prima pubblicazione del manoscritto. I testi originali sono inframmezzati da notazioni morali e didattiche, come si usava nel primo Medioevo, e la varietà degli argomenti, principalmente religioso e amoroso ma anche profano e licenzioso, e delle lingue adottate, riassume le vicende dei “clerici vagantes”, che usavano spostarsi tra le varie nascenti università europee assimilandone lo spirito più concreto e terreno.
Una cantata scenica, diventata di grande eccellenza grazie al lavoro scrupoloso realizzato da Carl Orff nel 1937 che, sebbene autore attento e prolifico, non si attenne alle indicazioni contenute nel codice e reinterpretò la musica di allora con una sonorità che assomigliasse sempre di più al medievale.
Musicalmente, i Canti di Bura sono una rivisitazione del canto gregoriano e della canzone strofica medievale, come la litania, per esempio, creando un effetto magico e rivoluzionario. Un’opera monumentale già anticipatrice di innovazioni e svolte epocali che incarnò nei fatti storici, politici e sociali di un secolo, le evoluzioni che ne segnarono un valore artistico di un capolavoro senza tempo, che ha riscosso e continua a riscuotere ancora oggi il favore del pubblico internazionale.