Si dice che nessuno conosce veramente una nazione finché non è stato dentro le sue prigioni. Una nazione non dovrebbe essere giudicata da come tratta i suoi cittadini più ricchi, ma quelli più poveri.
(Nelson Mandela)
La schiavitù può essere considerata uno dei periodi più oscuri della storia americana. Limitare la libertà di un individuo o di un particolare gruppo sociale era considerato un comportamento normale in passato. Con il passare del tempo questi gruppi ebbero la necessità – attraverso movimenti e rivoluzioni – di reagire, di prendersi la libertà di cui erano stati completamente privati per secoli. Dopo numerose lotte la schiavitù fu finalmente abolita, o quasi. Con il Tredicesimo Emendamento, approvato al Congresso il 13 gennaio 1865 – ovvero subito dopo la Guerra Civile americana – fu reso incostituzionale che qualcuno fosse tenuto come schiavo, fu data la libertà a tutti gli americani, con una "piccola" eccezione: i criminali.
Il Tredicesimo Emendamento, infatti, sancisce che "né la schiavitù né la servitù involontaria, se non come punizione per un crimine per il quale la parte sia stata debitamente condannata, potranno esistere negli Stati Uniti o in qualsiasi luogo soggetto alla loro giurisdizione". È attraverso un'attenta lettura che è possibile capire che la schiavitù è stata semplicemente riformata, e persino trasferita nel dominio del sistema di giustizia penale e quindi legalizzata.
Lontano dalla fine della schiavitù, il Tredicesimo Emendamento segna quindi la continuazione della cultura schiavista all'interno della società moderna americana, rendendo legale costringere i detenuti a lavorare senza paga in programmi di lavoro diversi e spesso molto pericolosi. Il lavoro in prigione può avvenire in molte forme e inoltre può avere molti altri obiettivi "nascosti". Mentre la maggior parte della popolazione carceraria è assegnata a compiti interni, come pulire i piatti, fare il bucato, occuparsi del terreno, e altri vari lavori di manutenzione, un'altra percentuale, che è circa del sei per cento, si trova nelle industrie correzionali che offrono programmi carcerari, che mirano a produrre beni e servizi per il mercato. Questo può variare dall'agricoltura al cucito di vestiti per marchi importanti, dal prestare personale ai call center al combattere gli incendi in California.
Una visione molto realistica di come funziona il sistema carcerario americano – e specialmente il lavoro forzato nelle prigioni – la si può avere grazie a diversi show televisivi in tutto il mondo. Uno di questi è Orange is the New Black, una serie americana basata sulle memorie di Piper Kerman, Orange is the New Black: My Year in a Women's Prison, nelle quali Kerman condivide le sue esperienze in una prigione federale di minima sicurezza dopo essere stata giudicata colpevole di riciclaggio di denaro e traffico di droga. Nel primissimo episodio di Orange is the New Black, Piper Chapman, la protagonista della serie, è seduta in un furgone in attesa di essere trasportata nel carcere femminile dove sconterà la sua pena di 15 mesi. L'autista del furgone è la collega detenuta Lorna Morello. Qui Chapman, chiaramente molto sorpresa, chiede a Morello: "Ti lasciano guidare?" e lei risponde: "Chi altro lo farà altrimenti? Qui facciamo tutto noi".
In teoria, far lavorare i detenuti potrebbe essere di per sé una buona pratica, in quanto previene l'ozio, dà ai detenuti la possibilità di guadagnare denaro, e potrebbe persino trasformare la carcerazione in un'opportunità di sviluppo del lavoro e delle abilità sociali. Ma la realtà è ben diversa. Per cominciare, i tribunali hanno stabilito che i detenuti non sono coperti da molte delle leggi nazionali sull'occupazione e sul lavoro, compreso il Fair Labor Standards Act, il che significa che non ci sono requisiti di salario minimo o di pagamento degli straordinari per il lavoro in prigione. Quindi, mentre non è chiaro se il lavoro in prigione porti benefici ai detenuti, è, al contrario, decisamente evidente che contribuisce significativamente ai profitti delle aziende. Infatti, il lavoro in prigione viene ora utilizzato per mettere le aziende in un vantaggio comparativo rispetto a quelle che si affidano al mercato del lavoro regolare. Inoltre, i contribuenti sovvenzionano le aziende carcerarie per "impiegare" i prigionieri, in quanto le aziende che pagano i detenuti per il loro lavoro possono ottenere fino al 40% di rimborsi fiscali.
Questo dimostra senza alcun dubbio che, ad oggi, il lavoro in prigione è una delle ragioni principali del profitto multimiliardario del sistema carcerario americano.