Non fu amato solo da colei che aveva un cuore paziente nel petto: la saggia e prudente Penelope. Nel suo viaggio iniziatico nell’indefinito oceano dell’anima, fu desiderato e cadde nella malia erotica e d’incanto di divine donne. Ed è proprio grazie ai suoi incontri con il femminile sacro che riuscirà a tornare dall’unica donna cui era destinato, poiché ognuna di esse gli donerà un insegnamento che lo trasformerà e lo renderà Basileus. Solo attraverso la conoscenza delle loro leggi potrà approdare come uomo nuovo sulle care rive del suo regno. E la radice del suo amore per Penelope è scritta nella stanza più interna della casa. Il talamo nuziale. Ad Itaca. Un letto ricavato da un unico tronco di ulivo, sacro ad Atena. Irremovibile, poiché radice che dalla terra venne trasformata dall’eroe nel letto dell’amore sempiterno, edificato intorno ad una stanza di pietra. Ed è lì che si consuma l’ultima prova. Il segreto supremo. Penelope sottoporrà all’eroe il quesito. Chiede che il loro letto sia trasportato fuori dalla loro camera. Prova simbolica. Penelope non vuole il Re, vuole Ulisse; la sposa è saggia, vuole riconoscere nel vagabondo di ritorno dal mare, il suo sposo. L’eroe ha costruito il loro nido d’amore e conosce bene l’arte della lavorazione del legno. Quel letto è sacro, è inamovibile poiché creato da un ulivo secolare che gli fa da piede, è ancorato a terra, al centro. È l’asse del mondo, del loro mondo e della loro vita coniugale. La prova è superata. Così si conclude il lungo viaggio dell’uomo, così il ritorno a casa gli sarà lieto.
Potrà esserlo grazie a Circe, Calipso, Ino-Leucotea, Nausicaa e sua madre Arete; e naturalmente grazie ad Atena. La più saggia delle figlie di Zeus veglierà e parteggerà per l’eroe. Grazie a loro sarà salvo. Ognuna di esse lo amerà in forma e modi diversi. L’Odissea è storia sacra di un uomo che accetterà di cadere nelle braccia terrifiche e suadenti del divino femminile e questo fiducioso abbandono gli donerà conoscenza e nuova vita. Nell’antica sapienza è consapevolezza certa che il femminile rappresenta una totalità, ovvero tutto ciò che si può conoscere e l’eroe, il maschile sapiente è colui che ha il coraggio di conoscere. Questo è Ulisse. Eroe che accetta la spaventosa caduta tra le trame luminose e tenebrose del divino femminile. Apparentemente, ad una lettura di superficie siamo portati a pensare ad intrappolamenti, punizioni e malie oscure, in realtà questa visione è un’apparenza. Ogni donna che Ulisse incontrerà sarà motore della sua rinascita ed ogni volto che lo incanterà non sarà altro che una parte del suo amore per Penelope. La prova? Le donne dell’Odissea, così come tutte le donne, tessono e cantano… sta all’uomo trasformarsi in eroe accettando il pericolo delle trame e dei canti. È solo la coltre che appare ad essere spaventevole, al di là vi è la via della conoscenza luminosa. L’eroe deve saper riconoscere, così come l’uomo, nella creatura femminile, la guida, e solo colui che ne scorgerà la luce nascosta diverrà re del suo mondo.
Ed il primo incontro avverrà ad Eea. Ulisse vi giungerà con una sola imbarcazione. Lì vive Circe. Non la chiameremo maga, poiché le sue qualità vanno ben oltre la preparazione di filtri. Lei è figlia di Helios e conosce le leggi dell’Ade. È una dea ed i suoi insegnamenti sono sacri. Come ogni dea, conosce la luce e guida nelle tenebre. Ed è proprio grazie a lei che Ulisse incontrerà per la prima volta il divino femminile, vero motore immobile della sua evoluzione. La scena ci mostra un bosco lussureggiante, delle belve docili, il suono di una voce piena di grazia, la voce di Circe che tesse una tela e prepara inganni liquidi da far bere ai visitatori ignari ed ignoranti.
L’eroe manda una delegazione, guidata dal suo secondo in comando, Eurialo che ben presto tornerà da Ulisse per raccontare l’accaduto: i compagni, invitati a mangiare presso la dimora della dea, sono stati trasformati in maiali. Perché questa trasformazione? Poiché Circe si vendica degli uomini che vivono di appetiti non mediati dall’equilibrio e dal discernimento. Lei è il demone erotico cui l’uomo non può sfuggire, se non tramite il giusto equilibrio. Equilibrio tra eccesso e stasi, tra voglia e appagamento, tra bene e male, tra appetito sessuale e amore sublimato. La dea si vendica di un maschile rozzo e spavaldo capace solo di soddisfare i più bassi bisogni corporei. Ma il filtro che Circe impasta e fa ingoiare ai compagni di Ulisse, non potrà fare nulla ad Ulisse stesso. Lui ha qualità superiori. E sarà Hermes, maestro dei processi trasmutativi, che donerà all’eroe, suo parente, un antidoto: una radice nera e un fiore bianco, l’erba Moly. Panacea che contiene in sé sia la virtù ctonia che quella celeste. Antidoto che lo aiuterà ad elevare gli istinti corporei e trovare l’equilibrio, la mediazione con suo nucleo divino. Ulisse ne mangia, ora può recarsi da Circe per chiedere di salvare i suoi compagni. La dea terribile - deine - così lui la definirà, gli porge il filtro stregato, Ulisse ne beve. Ma non subirà l’ignobile trasformazione in bestia ed è in questo momento che di fronte alla spada dell’eroe, la dea comprende che le qualità dell’uomo sono eroiche e diviene magnanima. Lo vede, ne riconosce l’animo. L’eroe sa domare i suoi bassi istinti ed ha coscienza superiore. Si uniranno carnalmente e lui resterà presso di lei per un anno.
Il femminile divino e solo apparentemente terrifico sa discernere tra il bene e il male perché ha incontrato un uomo degno del suo rispetto e spinta dal suo sentimento amoroso, lo istruirà. Lei conosce il regno delle tenebre ed Ulisse dovrà inoltrarvisi per incontrare Tiresia ed avere consigli su come continuare il viaggio. Ma nessuno torna vivo dall’Ade ed Ulisse è umano. Solo il femminile che è patrono della vita e quindi della morte può aiutarlo. Allora possiamo immaginare Circe sciogliere fiato in un alfabeto segreto, un bisbiglio di cifre iniziatiche che il lettore non potrà leggere, oltre quelle scritte… Istruzioni che solo chi sceglie di attraversare l’oscurità del proprio mondo interiore - Ade simbolico - potrà superare salvandosi dalla discesa nei mondi delle ombre incorporee. L’eroe - l’uomo è colui che attraversa quegli stadi oscuri dell’anima per procedere lungo l’antico sentiero spirituale, attuando la trasformazione da uomo terreno a creatura che alza lo sguardo al cielo. Una trasmutazione alchemica dal piombo all’oro puro. L’Odissea è viaggio iniziatico ed è il divino femminile che guiderà il futuro Basileus!
Ma l’eroe ha paura, l’eroe è umano. Sa che nessuno fa ritorno dal regno di Ade, ma deve giungervi. Trovare il coraggio dell’agire col cuore, poiché il suo obiettivo è tornare da Penelope. Così, con questo intento si prepara a varcare la Soglia. La nave entra nell’Oceano, contenitore infinito che avvolge la terra. Mare oscuro ed imperscrutabile. L’attraversa umile e timoroso. Solo. Chi non ha paura di morire, vivrà. Ulisse è l’uomo nel suo aspetto più nobile e umano; l’uomo che segue la via eroica accettando le sfide degli dei, sfide funzionali alla sua trasformazione.
Dopo la sua ‘discesa’ torna da Circe che gli indicherà la rotta, conosce il destino dell’eroe e gli indica la strada. La dea ha valutato bene le qualità dell’uomo e lo ha guidato. Ulisse si è abbandonato alla sapienza della dea terribile ed è salvo. Ora è nato due volte, è rinato. E questo percorso lo avvicinerà sempre di più alla sua meta. Ma altre prove lo attendono ed hanno sempre il volto del femminile: le sirene. Creature per intento simili a tutte quelle che incontrerà, emblema di prove simboliche atte ad istillare in lui l’oblio, ovvero fargli deviare la via, portarlo fuori rotta lontano dal centro di sé, da Itaca. Ogni esistenza è lambita da queste prove. Ed ogni prova è gioco di forza che richiede caparbietà e perseveranza. Le sirene richiamano a sé chi devia la rotta. La stessa Circe gli darà consigli su come viverle, su come accostarsi senza essere dilaniato dalle creature arroccate su rive fiorite che attendono ogni uomo capace di perdersi. Ma l’astuto Ulisse non si scorderà di sé e del suo cammino e supererà spossato dal desiderio di esserne divorato, la fascinazione. Vorrà però conoscerne lo stridulo canto…
Si avvicina alle coste, le ascolta. Ne viene lacerato. Vuole perdersi nell’oblio eterno. Si farà legare al palo maestro, asse del mondo. Si tiene saldo. Non sa che le sireniche creature sono un altro aspetto del divino femminile. Sono coloro che divorano la superficie. Ne lasciano l’essenza, le ossa. Punizione che gli uomini subiscono nonché supremo insegnamento per colore che lasciano muovere il timone dal vento. Molti fluiscono, non cavalcando l’onda, non tenendo le redini. Ulisse vuole conoscere e se ne salva, poiché ha una meta. La stessa Circe gli spiegherà che le creature con artigli di uccello, conducono all’oblio e alla morte solo gli ignari e non gli uomini di conoscenza. Anche la dea figlia del Sole, quindi, è di natura sirenica poiché attua lo stesso gioco delle sirene anche se in forma e misura differente.
Ed anche questa prova è superata. Ma nell’immenso ed estraniante oceano su cui naviga sta per incontrare la vera mostruosità del femminile: Scilla e Cariddi. Creature femminee che l’uomo di conoscenza non può amare, né domare. Omero ce le mostra senza filtri. Non ne nasconde l’azione, poiché per chi è accorto questo, al di là dell’allegoria creata nel poema, è il femminile oscuro e distruttivo. È la madre incapace d’amare, la moglie che non libera lo sposo, poiché lo ricatta; è la donna che incastra l’uomo e lo umilia; è la megera…In questo il femminile oscuro ha un potere immenso e divora ogni bene poiché ha cuore arido. Gli uomini poco accorti ne diventano succubi. Scilla scruta il mare ed attende le sue vittime. Lavora nell’ombra e uccide ogni uomo gli mostri il fianco. Così è nella realtà. Vi è un femminile distruttivo che ingoia il cuore degli uomini e li cattura senza avere nessun pregio che le giustifichi. Sono coloro che hanno come intento la disintegrazione del maschile. Sono donne dominanti in forma negativa. Sono di sbarramento al destino. Imbrigliano gli uomini proprio come i due mostri del mare, non a caso femmine; non a caso nascoste ai lati opposti di uno stretto, poiché è più difficile la via di fuga (ad ogni uomo, la sua riflessione). Non si possono combattere perché sono puro male ed Ulisse lo sa, ma i molti non lo sanno. L’eroe sbaglia. Sguaina le armi usate a Troia. Invece deve solo giocare d’astuzia, la stessa che i due mostri marini adottano. Capisce che deve solo scappare, liberarsi, spezzare le catene. Riesce a superare anche questa prova, ma sei dei suoi compagni verranno uccisi.
Ulisse si salva. Ulisse ha una meta da perseguire. È saldo, nonostante le prove. E dopo un ulteriore approdo nell’isola di Trinachia, ripreso il viaggio, tutti i suoi uomini verranno scagliati in mare da Zeus. Ora è solo. Senza più forze approderà ad Ogigia. Lì vive la ninfa Capypso. Signora-Potnia- di rara bellezza. E la bellezza è una dote e rende potenti. Così è la sovrana di Ogigia. Potente, dal latino potens stessa radice di Potnia. E vive nascosta in un luogo lontano dal mondo, un’isola paradisiaca. Anche lei è figlia di Helios e parente di Circe. Anche lei tesse una tela, ma è più sola di Circe e brama uno sposo. Non potrà averlo poiché lei è nascosta e nasconde. È l’amante divina. Canta e tesse. Siamo portati a pensare che inganni Ulisse con le sue malie, poiché l’eroe vi si fermerà per sette anni. Nulla sappiamo di quello che fecero assieme, se non il godere l’uno dell’altra nell’abbraccio erotico.
Anche qui vi è un alfabeto segreto che si legge tra le righe e che Omero non narra. Come Circe, Calypso è sapiente, conosce le leggi del creato ed i segreti delle epoche arcaiche. L’eroe manterrà un vigile timore nei suoi confronti e lei cercherà di trattenerlo a sé. Non attua giochi erotici, non ne ha bisogno. È lei stessa pura sensualità ammaliatrice, senza trucchi. L’uomo che ne accetta l’estasi, sarà generoso con ogni corpo di donna che incontrerà, poiché la Signora che lo ha avvolto tra le sue braccia lo ha istruito all’amore sublime che avvicina alla morte, una piccola morte che ricrea l’anima. Anche questa è prova iniziatica. Ulisse permane, rimane, sta. Accetta l’incanto, lo onora. Si immerge nella grotta di Calypso. La donna è un vaso che contiene e lo stesso nome della ninfa Calypso, dal greco kalypto, ovvero nascosto, deriva da krypta, cripta - grotta. E la grotta è il sesso femminile. Profondo e umido, contenente ogni nascita. Avremmo così chiaro che i sette anni trascorsi con Lei, debbano rimanere segreti, celati al lettore. Sappiamo però che propose all’eroe l’immortalità. Se solo lui avesse deciso di restarle accanto nell’hortus conclusus del suo mondo. Ebbene cos’è questa eternità se non quella degli amanti… nei luoghi del loro amore si vive lontano dal tempo profano, poiché le ore scorrono scandendo un tempo differente e non calcolabile. Un tempo sacro elaborato dal rito. Così sono gli amanti, nascosti, segreti, muti. La loro è una lingua incomprensibile per chi è fuori il loro cerchio perfetto. Gli amanti sfuggono al tempo ed è questo quello che la ninfa offre ad Ulisse: l’eternità.
Un peso insostenibile per molti uomini. E molte donne che sono e furono amanti lo sanno. La vita che condusse Ulisse nel cerchio perfetto e senza tempo ad Ogigia, resterà per sempre segreta, anche ai lettori. Le parole notturne degli amanti sono custodite in luoghi dove tempo e spazio perdono di senso. Ulisse però di giorno resta vigile e nonostante sosti in un eden lontano dalle pene terrene, desidera tornare da Penelope. È mortale e lo scorrere della vita lo richiama al suo moto lineare. Vuole vivere gli anni, non fermarli. Vuole essere quello che gli dei hanno scelto per lui. Segue il suo destino ed il suo destino è il ritorno ad Itaca, tra le braccia di Penelope sul cui viso scorrono gli anni. Questo spiegherà alla ninfa: “…so che tu sei molto più bella di Penelope: lei è una donna mortale che invecchia e muore come tutte le altre, e tu sei immortale. Ma anche così io voglio tornare nella mia terra, tra gente come me, gente effimera che un giorno sparirà come sparirò io; sono disposto ad affrontare di nuovo il mare e le tempeste, e anche a morire per questo”.
Se gli amanti incontratisi in ogni tempo e tra le pieghe di ogni storia sacra non accettano il progetto di una vita che si snoda nella quotidianità, resteranno crisalide. Questa è l’essenza di ogni incanto d’amore, l’attimo immortale. Ed Ulisse sceglie di romperlo. Ad aiutarlo sarà ancora una volta Atena. Calypso non può quindi negargli il ritorno, il volo verso casa, centro di ogni bene.
Dopo un’ultima notte d’amore, la ninfa lo lascerà andare. Costruisce insieme a lui un natante che lo porterà lontano dalle rive di Ogigia. Resteranno in silenzio, durante l’ultima vicinanza; le parole del corpo sono state già dette. Adesso le ore ricominceranno a scorrere ed il mare ne scandirà il ritmo. Ma l’oceano è ancora estraneità ed ha la stessa qualità del deserto. Ogni iniziazione avviene nei luoghi che non hanno direzioni. Non vi sono confini o strade, solo le stelle, ovvero la volta celeste che aiuta i naviganti e gli erranti a non perdersi. Ma l’acqua su cui Ulisse si trova è pura estraneità e Poseidone la governa da re. Mette alla prova di nuovo l’eroe poiché ricorda che gli ha ucciso il figlio, Polifemo e gli resterà ostile. Ancora una volta è quindi in balia della perdizione e scivola nei flutti. Ed è qui che la Madre divina lo sosterrà nelle vesti di Ino-Leucotea, originaria dea bianca divenuta soccorritrice di ogni naufrago. La divina creatura gli donerà una fascia-velo da legare intorno ai fianchi per non affogare. Lo salverà. È la madre che culla, nel liquido amniotico-mare, il cui ricordo, ancora una volta simbolico, è nella mente di ogni uomo che necessita di aiuto. È la madre amorevole, sempre al fianco di chi la pensa e conduce in luoghi sicuri: le rive dei Feaci.
Sulla spiaggia vi è Nausicaa con le sue ancelle. La stessa Atena apparsa in sogno le consiglia di recarsi vicino alla riva. Il naufrago Ulisse giace inerme, sporco e senza forze. Dorme, coperto di alghe. Non ha più nulla del suo aspetto regale. Ha abbandonato ogni orpello ed ogni velleità bellicosa. È come un bambino appena nato. Nausicaa lo scorge, Atena le infonde coraggio. La giovane figlia dei regnanti Alcinoo e Arete possiede gentilezza d’animo e conosce le leggi della Xenia, l’ospitalità sacra. Ulisse la vede, gli pare una dea. La sua è una bellezza pura e sapiente. E sono queste le nobili parole che l’eroe gli dirà, rivelando in pochi versi la grandezza di Nausicaa, piena di grazia.
Tre volte beati il padre e la madre sovrana, tre volte beati i fratelli: perché sempre il cuore si intenerisce loro di gioia, in grazia di te, quando contemplano un tal boccio muovere a danza. Ma soprattutto beatissimo in cuore, senza confronto, chi, soverchiando con doni, ti porterò a casa sua.
Ulisse riconosce immediatamente le qualità superiori della giovane e ne intuisce l’assoluta purezza del cuore. Nausicaa ne è incantata e lo invita a corte, poiché ogni straniero, giunto nella sua terra, verrà aiutato. Ma non cercherà di farlo suo sposo o amante poiché sa che sono gli dèi a forgiare il destino degli uomini e lei non vi si opporrà. Nella frase che pronuncia: “Oh, se un uomo così potesse chiamarsi mio sposo!” si cela tutta la sua umiltà, la sua intelligenza ed il rispetto per le leggi divine.
Nausicaa è la donna desiderata dai Cavalieri. È colei che sarà cantata nell’Amor cortese. Non può non essere amata, ma l’amore che muove è di stampo sublime, poiché coincide con la sua purezza d’animo ed il maschile le mostra devozione reverenziale. È Beatrice. È colei che ispira, guida e traghetta; sarà protetta dal maschile che le riconoscerà sempre qualità celesti e grazia. Giunto nel palazzo dei regnanti, sarà sua madre Arete a volerlo ascoltare. Lei è la regina giusta e magnanima, colei che assolve il suo compito nella maniera migliore. Ulisse vi entrerà in punta di piedi, senza confessare la sua identità. E dopo essere stato nutrito verrà ascoltato. Ora i divini Feaci ne conosco nome e storia. Ciò che si deve compiere, verrà fatto. I marinai del popolo che vive in una indefinita età dell’oro, lo porteranno verso Itaca…
Il mondo ostile dell’oceano senza meta indietreggia, si fa da parte, arretra e l’eroe si risveglia ad Itaca, dopo un lungo viaggio iniziatico. Atena attuerà l’ultima prova. Anche lei tesse una tela, ed intreccia la trama della vita di Ulisse. Uno dei suoi epiteti è proprio Ergane ovvero patrona della tessitura. E tessendo, costruisce il ritorno dell’eroe nella terra dei padri, la patria: Itaca. Luogo del centro, luogo del cuore che ogni errante dovrà trovare nello spazio della sua vita terrena.
L’eroe approda. Atena attua un artificio. Trasforma Itaca in un luogo sconosciuto, come fosse una terra straniera. Ci vogliono occhi nuovi per vederla. Poi la nebbia scompare ed Ulisse riconosce la patria. Ma dovrà entrare nella sua casa come un povero mendicante. Questo gioco simbolico di cui Atena è artefice, è un gioco d’amore. La stessa Penelope lo attuerà. Il riconoscimento tra gli sposi, necessita di affidamento e mistero. L’unione necessita di uno sguardo nuovo. Ogni uomo dovrebbe costruire tale prospettiva, ogni giorno, dinnanzi la donna amata. E l’eroe supera l’ennesima prova, di fronte alla richiesta di Penelope. Solo loro due sanno il segreto del talamo nuziale e con queste parole scioglie il dubbio e supera la prova:
Donna, che cosa hai detto? C’è un segreto in quel letto, che ho fabbricato io stesso. Dentro il cortile cresceva un olivo fiorente, largo come una colonna. Intorno a quell’olivo ho costruito il mio, con pietre fittamente connesse, e vi feci una solida porta. Poi recisi la chioma dell’olivo dalle sottili foglie, sgrassai il tronco alla base, lo piallai tutto intorno, e levigai lì sopra il letto, ornandolo con oro e avorio. All’interno tesi cinghie di porpora. Ecco, questo è il segreto del letto.
Sappiamo quello che successe dopo: il ricongiungimento. Ma come raccontato nelle pagine di questo scritto, è il femminile divino che attraverso le prove donate all’eroe, porterà l’uomo a divenire il re del suo regno. Ed il suo regno è Penelope. Il viaggio iniziatico così si conclude. Ogni donna tesse e canta, così fecero e fanno quelle dell’Odissea, così fanno tutte le donne. L’eroe attraversa i misteri della vita, il divino femminile è guida sublime che lo induce a spezzare le proprie catene interiore. L’uomo che ha superato le proprie piccolezze, allora sarà Re e sarà pronto ad onorare la regina ed amarla. Anche questa è immortalità. L’amore è il motore d’ogni respiro. Tale termine deriva dalla lingua madre, il sanscrito. AMRTA, ovvero l’anti-morte: l’amore. L’alfa privativo che tale lingua possiede, se tolto ci darà MRTA, ovvero morte. Ulisse troverà la vita nelle braccia della donna amata. Ogni viaggio porta al centro ed il centro è il cuore.