Sembra il titolo di un film di Villeneuve, ma Modalità: No Humans è la mostra real-visionaria curata da Massimo Sgroi alla Andrea Nuovo Home Gallery. Situata nel settecentesco palazzo Carafa di Noja, alle spalle della piazza che abbraccia Napoli, Piazza del Plebiscito, lo spazio della galleria nata nel 2017, vede dialogare otto artisti nazionali e internazionali su un tema quanto mai attuale che riguarda tutti: cosa succederà al nostro pianeta e di conseguenza a noi, umani?
Il curatore, Massimo Sgroi, non ha voluto una mostra qualsiasi, ma qualcosa che puntasse i riflettori, che accendesse le coscienze, anche a rischio di perderle. Eh sì perché oltrepassata la porta in stile liberty riportata al suo reale splendore dopo il restauro, si accede al primo ambiente, con i primi quattro artisti.
La prima a spianarci la strada, a tradurci quell'angoscia psichica dell'umano del terzo millennio, è Federica Limongelli con due opere digitali in cui come la dea Mnemosyne, torna a ri-velare il suo volto cancellando. Un'evanescenza, quella dei volti raffigurati dalla Limongelli che attraversando il tempo in un movimento interminabile, rompe la natura visiva al punto da farci chiedere se ci sia mai stata, una forma umana. Mentre nelle opere di Helene Pavolopolou vi è una trasgressione paradigmatica dell'accumulo di memorie, Guler Ates ci rapisce nei suoi eidola colorati monopolizzati da una figura umana, di spalle, che attraversa i luoghi del silenzio spirituale, come a voler ripercorrere una magnificenza ormai lontana.
Il percorso della prima sala si chiude con le opere di Suzy Moxhay, artista inglese che ricrea un mondo pacificato nell'ambiente naturale. Le tracce dell'umano scompaiono, sostituite da una necessaria Arcadia che apre le porte ad una nuova era. Al piano superiore, infatti, vige il mondo dopo la catastrofe. Il gigantismo delle forme naturali che si insinuano nelle opere di Barbara Nati domina il pianeta, seppellito dalla realtà aumentata della stessa natura che sembra ingoiare l'umano. Questa sensazione di fuori controllo trova terreno fertile nei lavori di Jean Michel Bihorel che gonfia fino all'eccesso gli elementi naturali sopravvissuti, rendendo ancora più labile il confine tra l'arte del reale e l'estensione che il digitale ha seminato. Una realtà che si astrae completamente fino ad aggrovigliarsi su sé stessa come nel lavoro di Simon Reilly.
Ma se nulla si distrugge e tutto si trasforma, ecco nascere, in un piccolo ambiente voltato che conduce al giardino pensile, le installazioni sognanti dell'artista americano Patrick Jacobs. Questi mondi in miniatura sono la perfetta sintesi della Modalità: No Humans. I diorami sono infatti visibili solo attraverso dei piccoli oblò incastonati nella parete, che lo spettatore, l'umano, può solo spiare dal buco della serratura. Quel mondo dell'alterità è una creazione estetica ma è in realtà solo un'amplificazione ottenuta alterando la percezione visiva. Una scelta che riflette lo stato di prigionia, di acquiescenza, in cui sembra essersi perso l'umano.
Shoudine dormiva. E nello scivolare nel sonno aveva assunto una posizione che ricordava l'assassino di Marat, di David, uno dei quadri che preferiva fra le migliaia che conosceva a memoria. Sebbene vivesse in Europa da tanti anni, il Bisonte Bianco continua a parlarle della sua ascendenza Navajo ed il sogno del Mondo le mostrava un ecosistema esistente al di là degli oscuri assiomi teratologici della vita reale. Sul parquet di legno di rovere chiaro era scivolato un romanzo che profetizzava un futuro prossimo dalle tinte oscure; la mano sfiorava il libro accarezzandolo inconsapevole.
(Massimo Sgroi, Il viaggio di Shundine, 2021: il racconto che accompagna la mostra)