Joan Mirò ha creato sulle tele creature fantastiche e allucinanti, animali con baffi, ali, antenne, esseri buffi e stralunati, pittoreschi mostri attorniati da fantastici alambicchi contorti, aggressivi, impertinenti, ma sempre amabili, perchè realizzati nella piena libertà e spontaneità del gioco delle forme, che sono spesso scanzonate e rivelano, attraverso il suo personalissimo linguaggio di simboli e segni, l'animo ironico e anticonformista dell'artista catalano.

Non è sempre facile decifrarle perchè le immagini sono accostate senza nessi logici nell'universo immaginario col quale l'artista cerca di far rivivere il senso magico e religioso dei primitivi, un mondo parallelo in cui alterna al gioco la magia: ritrovare la spontaneità dei bambini, le mille sfacettature dei sogni è il suo obiettivo di artista che ha trovato infine la sua cifra.

Joan Mirò non immagina sicuramente di arrivare a tanto, quando da piccolo si nasconde lontano dagli adulti che gli impongono invano di studiare e di impegnarsi a scuola, mentre lui si diverte e si sente felice solo disegnando. Già a sette anni esegue ritratti e nature morte con grande bravura.

I genitori si disperano, gli insegnanti protestano, tra tutti si cerca di costringerlo ad impegnarsi. Tuttavia il suo professore della Scuola d'Arte La Lonja, che anche Picasso ha frequentato dodici anni prima di lui, osservando i suoi lavori, dichiara al padre Miguel, uno stimato orefice di Barcellona, che, secondo lui, il ragazzo diventerà un famoso artista.

Il padre non ne vuole sapere e insiste, coadiuvato dalla moglie Dolores Ferrà, figlia di un abile ebanista, molto apprezzato. Fino a sedici anni il padre non cede, insiste, tenta di tutto per indurlo agli studi. Alla fine desiste, lo fa impiegare in un grande magazzino come contabile: Joan, per la giovane età e per il suo buon carattere, è costretto ad accettare e per ben due anni cerca di adattarsi. Ma la sua creatività e il desiderio di dipingere sono così forti che ad un certo punto entra in una depressione talmente grave da allarmare i genitori. Debilitato il ragazzo si ammala anche di febbre tifoidea, che per poco non lo porta alla morte.

I genitori lo conducono nella loro bella casa di campagna a Montroig, sulle stupende colline catalane, dove il ragazzo, pian piano si riprende, dipingendo il paesaggio che tanto ama. Alla fine i genitori cedono e gli permettono di frequentare la Scuola d'Arte di Francisco Gali a Barcellona.

Mirò di carattere docile, rispettoso ed educato, inizia a frequentare l'estroso mondo artistico: è un grande cambiamento nella sua vita. Riesce subito a farsi degli amici, che resteranno tali per sempre. Inizia così, insieme a questi compagni bohèmiens a frequentare i caffè ed i locali della Barcellona notturna, ma non si abbandonerà mai ai ritmi sfrenati della vita dissipata che conducono gli artisti: li osserva, ne è amico e cerca di imparare il più possibile da loro, perchè i contatti a quei tempi sono limitati e le novità artistiche giungono col contagocce.

Durante la Prima Guerra Mondiale, tuttavia, si rifugiano in Spagna pittori e poeti francesi, in fuga per non essere costretti ai combattimenti della guerra. E così Joan ha modo di scoprire i Fauves ed il Cubismo. Si interessa alle riviste di avanguardia che può trovare nella Galleria d'Arte di Joseph Dalman, che nel 1918 gli allestisce la sua prima Personale, la quale tuttavia non incontra che un blando interesse da parte del pubblico.

Questo perchè le sue opere di quel periodo risentono di una certa pesantezza e banalità: si ostina a dipingere paesaggi in cui non elimina neppure un mattoncino o un filo d'erba. Ne risultano opere pesanti, dove viene negata la prospettiva, ma ogni particolare è meticolosamente registrato, causando un corto circuito con la visione d'insieme che, anche se alleggerita dai meravigliosi azzurri del cielo, risulta irrisolta sul piano dell'armonia, che dà la prospettiva aerea da lui negata.

Decidere di andare a Parigi, capitale dell'arte, subito dopo la guerra, nel 1919, diventa così determinante per il giovane artista, che comunque ha già 26 anni e cerca un'ispirazione che gli sia congeniale, da parecchio tempo. I genitori, per scoraggiarlo a partire, gli forniscono beni di sussistenza al limite, per cui il giovane soppravvive a stento e con grandi sacrifici. Per anni continua a dividere la sua vita tra Parigi e Montroy, dove ritorna ogni anno. Della sua amata terra ha portato con sè a Parigi un campione, da cui non si separa mai, per sentirsene sempre vicino e per dipingerla in molte opere.

A Parigi Mirò va alla ricerca del suo connazionale Picasso, che è benevolo con lui e per incoraggiarlo gli acquista un autoritratto. Le difficoltà economiche lo obbligano a vivere in un angusto studio, mal riscaldato, nei pressi di Montparnasse: la sua povertà gli permette un vero pasto solo una volta alla settimana. Vicino di atélier c'è André Masson, un giovane artista e intellettuale, amico di altri artisti, poeti e scrittori, come Paul Eluard, Luis Aragon, Robert Desnos, Antonin Artaud e André Breton. Alcuni sono reduci dal Dadaismo e tutti cercano di dare una svecchiata all'arte che, dopo le meraviglie delle Avanguardie, sta languendo.

Ormai, da anni, Freud ha incantato il mondo intellettuale influenzandolo con le sue scoperte legate al subconscio e fa ancora discutere tutti anche per gli sviluppi legati ad Adler e Jung. Ispirati anche a queste tendenze, i nuovi amici di Joan nel 1924 danno vita al movimento surrealista: Mirò ne è talmente affascinato che ne firma il Manifesto insieme agli altri.

Il Sur-reale di cui vanno tanto discutendo, ha contagiato un po' tutte le arti e alla base vi è un atteggiamento di particolare attenzione per lo sviluppo del pensiero in tutte le sue sfaccettature, con una grande attrazione per l'orrido e l'erotico. Ma per raggiungere lo stadio allucinatorio, che poi dà origine a immagini da rappresentare, si procurano droghe per arrivare allo stadio del delirio, anche privandosi del cibo. Mirò li osserva, ma non ne condivide gli eccessi: lui non mangia perchè gli mancano i mezzi di sostentamento e il suo atteggiamento è molto più concreto e restio all'erotismo sfrenato e alle allucinazioni aberranti.

Tuttavia le suggestioni di quel clima culturale gli danno l'impulso ad abbandonare la rappresentazione realistica delle sue opere, per cercare forme espressive che possano significare un libero gioco, sia dell'immaginazione che della percezione. La sua fantasia di uomo retto, educato, diligente, è tuttavia ricchissima di spunti onirici, che lui coltiva passando, di giorno, ore ed ore a contemplare il soffitto, per dar vita ad immagini mentali, che evocano un'infanzia ricca di suggestioni fantastiche. Le prime che dipinge suscitano l'interesse del gallerista Pierre Loeb e della Galleria Surrealista.

Ma è stato il mercante d'arte Jacques Viot che gli ha garantito la sicurezza economica, gli ha trovato uno studio a Montmartre più confortevole, ove ha modo di conoscere nuovi vicini di casa, tra cui Max Ernst, René Magritte e Jean Arp, fondamentali per lo sviluppo della sua arte. Con essi stringe grandi amicizie, anche se di rado frequenta il Café Cyrano o quello delle Place Blanche, dove i Surrealisti si riuniscono per discutere, spesso in dissidio tra di loro per idee troppo in contrasto: Mirò, dal canto suo, è geloso delle sue opere che tiene celate e addossate al muro. Neppure Ernst, il migliore amico, con cui lavora al balletto di Djagilev, Giulietta e Romeo, le può vedere.

Breton, il leader dogmatico dei Surrealisti, li disapprova aspramente, considerando frivolo e troppo borghese il balletto e li accusa, sulla sua rivista "Revolution Surréaliste". Mirò si rifiuta di riconoscere la sua autorità e se ne allontana, il che indispettisce Breton, che finisce col non annoverarlo più tra i Surrealisti. Tuttavia, nel 1945, alla fine della Seconda Guerra Mondiale, Breton riconoscerà che Mirò è stato il più Surrealista dei Surrealisti.

A Mirò, poco interessano le diatribe di questi intellettuali esacerbati e schierati politicamente in idee marxiste che in quel momento non lo riguardano e continua nelle sue scoperte personali, che lo soddisfano e gli procurano riconoscimenti, trovando una sua strada veramente unica nel mondo dell'arte, che tanto ha influenzato altri artisti come i Tachistes, l'Action Painting, l'Art Brut e l'Espresionismo Astratto, oltre che tutta l'Arte Astratta e Informale. Senza dimenticare la grande l'influenza che ha avuto poi nel fumetto e nei comics.

Mirò ha cercato nelle sue fantasticherie libertà e spontaneità delle forme, che sono risultate gradevoli per la nitidezza del colore, usato in modo irrealistico come i Fauves, mentre le ha dipinte nel modo tradizionale della pittura, ma deformate nella forma e con significati celati, che ha attinto dal sogno e dal suo ricco inconscio immaginario. Ne emergono oggetti strani da cui spesso trapela il suo lato umoristico, buffo e canzonatorio. Tuttavia nelle sue strane opere non manca mai un equilibrio che raggiunge anche ascoltando, mentre dipinge, Bach e Mozart. Le sue forme, spesso volanti o appese, paiono fluttuare nell'aere come sulle ali di note musicali.

La sua visita nei Paesi Bassi gli fa conoscere i capolavori fiamminghi del XVII secolo, specialmente Vermeer: si ispira a lui per una serie di reinterpretazioni umoristiche, ma poco dopo abbandona questo filone, cercando nei materiali di scarto, recuperati spesso nell'immondizia, oggetti e materiali di poco valore e interesse, che lui sa far rivivere dandogli nuova vita. Infatti, nel suo impeto di cambiamento, vuole addirittura l'assassinio della pittura, per un radicale e definitivo abbandono della tradizione artistica.

Nel frattempo, all'età di 36 anni sposa Pilar Juncosa e diventa padre della piccola Dolores due anni dopo. Intanto in Spagna la situazione precipita, vi sono drammatici episodi di guerra civile, la minaccia del fascismo, che incombe sul Paese, allarma l'artista. Anche la sua pittura ne risente e nascono le meravigliose "Peintures Sauvages" dalle forme distorte, aggressive, che rappresentano mostri incombenti, immersi in atmosfere cupe che fanno presagire l'imminente guerra, la quale non tarda a manifestarsi nel 1936.

Mirò, con la sua famiglia, si rifugia in Francia e torna a Parigi: è di questo periodo la famosa serigrafia "Aidez l'Espagne", in cui un contadino catalano alza un gigantesco pugno in segno di reazione e di lotta. Vende le copie a un franco, destinando il ricavato alle forze democratiche spagnole.

L' opera d'arte di questo periodo è sicuramente "La natura morta con scarpa vecchia" del 1937, in cui esprime tutto il suo disagio, utilizzando colori molto cupi, alternati ad altri particolarmente accesi, perchè le tragiche vicende quotidiane della sua patria lo rendono più concreto, trasportandolo dal mondo dei sogni a quello reale. Vi dipinge oggetti molto semplici e banali, ma che diventano monumentali sotto il suo pennello, acquistando una loro importanza per le dimensioni.

Si tratta per esempio soltanto di una bottiglia incartata, o di un pezzo di pane, di una semplice mela, simbolo della Spagna, in cui però è conficcata una feroce forchetta, le cui punte ricordano le baionette. In quest'opera è evidente il senso di perdita della libertà, perchè questi oggetti, immersi nel buio, sono contornati da aloni luminescenti che paiono emergere incandescenti dal fondo scurissimo.

Quando in Francia inizia la Seconda Guerra Mondiale, Mirò si rifugia con la famiglia in Normandia, ma quando cominciano i bombardamenti tedeschi, l'artista fugge e si rifugia a Palma di Maiorca e in seguito a Barcellona. Intano Pierre Matisse, gallerista, figlio di Henri Matisse, a New York espone le sue opere e nel 1947 lo invita negli Stati Uniti, dove ottiene l'incarico di una decorazione murale al Terrace Plaza di Cincinnati: ne risulta un'opera monumentale, che lo fa molto apprezzare. Tornato a Parigi espone le sue opere alla Galleria Maeght con notevole riuscita commerciale. Ottiene anche molto successo con le decorazioni, sia dipinte che in ceramica, per il Museo Guggheneim di New York e per la sede dell'Unesco a Parigi.

Ormai è diventato uno degli artisti più famosi e le sue opere vengono ricercate dai collezionisti e vendute a prezzi elevati. Raggiunge anche un più vasto pubblico con le stampe, le acqueforti, le litografie e una serie di oggetti ornamentali. Intanto in tutto il mondo si susseguono commissioni e mostre e Mirò ha sempre più successo: ottiene, nel 1954, il Gran Premio della Biennale di Venezia, e anche il prestigioso premio della Fondazione Guggheneim.

Lavora fino agli ultimi anni della sua lunga vita: si spegne a 90 anni a Palma di Maiorca, continuando fino alla fine a sperimentare e raggiungendo la produzione e la fama del grande Picasso.

Le sue opere sono al di fuori degli schemi, paiono libere e selvagge, mentre sono calibrate e rigorose, ispirate dalla sua fantasia sfrenata e dal suo spirito ludico. Ha fatto sue le conquiste dell'astrattismo, rendendolo più narrativo, vivace e non morboso e viscerale come l'arte surrealista, utilizzando il colore in un modo espressionista, che ricorda spesso i Fauves.

Ciò che stupisce di più in lui è lo spirito modernista, che riesce a captare, a quasi ottant'anni, il nuovo impulso delle rivoluzioni studentesche del 1968 con l'opera "Maggio 1968" del 1974.

Ma non solo, ha voluto anche dimostrare la sua indipendenza e la capacità di essere altro, da come è conosciuto, con l'opera "La Testa" del 1974 in cui, su un fondo nero, reso con impulsività aggressiva, contrappone una grossa testa che incombe, volgendo uno sguardo torvo verso chi osserva. Questa testa occupa quasi tutto il dipinto, l'occhio è a forma di goccia, dotata di un'enorme pupilla nera, da cui giungono bagliori rossastri che emanano una luce a dir poco maligna. Un dito unghiuto spunta dalla mano sopra la testa, dando l'idea del demonio. Con quest'opera ha voluto convincere i contemporanei che si sono sbagliati sul suo conto, rivelando che lui ha saputo fare ben altro oltre alle ali di farfalle, uccelli, costellazioni e personaggi come li disegnano i bambini.

È una sfida provocatoria verso chi ha sottovalutato l'energia che muove la sua pittura con metodo e disciplina, dimostrando come si è rinnovata, non tradendo mai il proprio stile, pur nelle molteplici sfaccettature. Mai ripetitivo, vitale, è stato un personaggio urlante per la guerra civile e stella nel cielo con le sue fantastiche costellazioni. È stato ribelle e dissacratore nelle opere della maturità, quando ha acquisito un nuovo significato della vita.

Davanti al suo studio c'era un cartello. "Questo treno non fa fermate!"

Questa è la sua verità!