Si è inaugurata il 25 ottobre la sesta edizione di Rome Art Week, la settimana dedicata all’arte contemporanea promossa ed organizzata da KOU – Associazione culturale per la promozione delle arti visive. Dal 25 al 30 ottobre gallerie e spazi espositivi hanno proposto mostre ed eventi, gli artisti hanno aperto le porte dei loro atelier lasciando che il pubblico scoprisse la genesi delle opere d’arte e poi tutti quei progetti ideati ad hoc da curatori, critici, operatori del settore, ecc. Ho incontrato il direttore di RAW e presidente di KOU, di seguito il testo di una piacevole chiacchierata.
Come è perché è nata Rome Art Week?
Rome Art Week (RAW) nasce sei anni fa perché la percezione di Roma come città produttrice e fruitrice di arte contemporanea è pressoché inesistente. La percezione è che l’arte contemporanea interessi da Bologna in su e se questa percezione è vera, la sostanza non lo è. Roma è una delle città dove si produce più arte contemporanea in Italia, arte che viene poi venduta a Milano anche a clienti romani. Il che è un grande paradosso. Inoltre, a Roma ci sono le più importanti entità straniere che si occupano di arte contemporanea per cui è un fulcro importante, anche se nascosto. È necessario cambiare questa percezione.
Roma è percepita come la città dove vieni a vedere il Colosseo, San Pietro e poco altro e poi vai via perché non c’è altro da vedere. RAW nasce all’interno di questo contesto con un doppio intento: il primo è quello di creare un network tra artisti, gallerie e curatori e creare una massa critica che faccia capire che Roma è una città dove si fa arte contemporanea. Il secondo intento è più politico-economico perché questa città non crea volani per l’economia. Andiamo a Berlino, Londra, Parigi non solo perché sono delle belle città ma perché accadono cose. Per cui diventa importante far accadere delle cose di tipo culturale perché questo fa in modo che ci sia un turismo più elevato rispetto a quello attuale e questo crea beneficio a tanti soggetti: alberghi, ristoranti, commercianti. È quindi una manifestazione del fatto che la cultura produce o possa produrre ricchezza.
Perché la necessità di creare un network tra gli artisti?
Perché il panorama degli artisti e delle gallerie è sempre più frazionato. Ognuno tiene al singolo orticello non considerando che l’insieme è maggiore della somma delle parti. Per cui le gallerie si sparpagliano sempre più mentre gli artisti pensano ognuno a se stesso. Questo meccanismo di separazione è deleterio per tutti. Contrariamente a quanto si pensi il mercato dell’arte non è fatto da collezionisti o da musei ma da professionisti (medici, notai, ingegneri, ecc.) una classe media che è occupata tutto il tempo a produrre denaro e che non avendo una grossa cultura artistica si affida ad una galleria, ad un mercante, ad un intermediario perché vuole acquistare un’opera dell’Arte Povera, della Transavanguardia, cioè di un movimento, di un gruppo di artisti. RAW vuole mettere insieme gli artisti, farli confrontare. Una caratteristica che anche gli altri operatori del settore come curatori e i galleristi rifiutano.
Ti faccio un esempio. Io sono una galleria, organizzo un evento e mando il mio invito a tutta la mia mailing list. Coloro che vengono magari hanno già comprato da me, per cui non ho grosse novità in termini di artisti ed opere da proporre loro per cui se la galleria accanto inaugura lo stesso giorno magari dei miei clienti andranno lì. E questo non deve essere vissuto come un dramma “aiuto, mi rubano i clienti” perché questo meccanismo è anche inverso, cioè dei clienti dell’altra galleria verranno anche da me. E questo meccanismo così osteggiato durante l’anno, se ci pensi, è poi lo stesso che viene applicato nelle fiere. Lì si riuniscono uno accanto all’altro spendendo decine di migliaia di euro per fare una cosa che potevano fare prima. Ecco RAW vuole combattere questo paradosso mettendo tutti insieme, creando un humus collaborativo e cooperativo perché si tratta di stimoli.
Immagino che questo sforzo abbia un costo, come fate a coprirlo?
Per partecipare a RAW gli eventi devono essere gratuiti. Noi ci avvaliamo della cooperazione, della naturale e volontaria cooperazione. Nessuno paga per partecipare, non ci sono finanziamenti. E questo aspetto è fondamentale perché non dipendiamo da una fonte che se viene chiusa determina la fine della manifestazione. Il meccanismo di RAW è nato molto lentamente senza sovvenzioni pubbliche e nel tempo è cresciuto alimentandosi da solo.
Un altro fattore importante è la qualità perché RAW si basa su un meccanismo diverso da altre manifestazioni. Il meccanismo è quello di accettare tutti quelli che hanno delle caratteristiche minime per essere tali. In questo modo do delle possibilità alle persone che sono fuori dal mercato perché all’inizio come, per esempio, gli studenti dell’accademia. A RAW partecipano curatori o comunque rappresentanti del settore che abbiamo definito “punti di vista” e che danno la loro preferenza agli eventi e agli artisti che partecipano. Queste preferenze danno luogo ad una piramide e ti assicuro che è capitato che un giovane artista si sia trovato all’apice delle preferenze. Quando ti ricapita di avere questa visibilità?
Durante questi anni avete accumulato molti dati andando a definire un settore “nascosto”.
Certo che sì! Quando ti chiamano per chiederti quali sono le gallerie di Roma allora capisci che stai lavorando bene. Ogni partecipante ha la sua scheda privata, la sua foto, i suoi contatti che sono presenti sul sito della manifestazione al di là del periodo della manifestazione stessa. Questo permette ad un visitatore di contattare e visitare gli studi degli artisti, le gallerie, ecc. anche fuori dal periodo della manifestazione.
Quali operatori sono coinvolti in RAW?
Ci sono artisti, gallerie, spazi museali e curatori. La sezione dei curatori è stata introdotta in seguito per agevolare i giovani curatori che altrimenti non avrebbero avuto visibilità.
Coma si evoluto il network negli anni?
C’è un progressivo aumento ogni anno. Quest’anno ci sono state 510 domande approvate. Siamo partiti da molto meno. Io ho un obiettivo che ancora non sono riuscito a realizzare. Il primo era creare un network e ci sono riuscito. Il secondo scopo è quello di far conoscere alla città che esiste questa cosa e questo obiettivo è più lento poiché richiede investimenti in pubblicità che al momento non abbiamo. Il numero di eventi ogni anno è intorno ai 500 tranne lo scorso anno che causa Covid ne abbiamo avuti 300. Molti di questi sono open studio che hanno una dimensione compatibile con le richieste sanitarie per far fronte all’epidemia. C’è la possibilità di usufruire di un servizio di prenotazione on line, di video registrazione degli eventi. C’è anche la possibilità di avere un servizio automatizzato di grafica per invito e locandina. Noi abbiamo supportato i partecipanti dal punto di vista tecnologico per aiutarli.
Quali sono state le novità di quest’anno?
500 eventi in 5 giorni sono tanti per una città come Roma perché non si possono vedere. Il mio obiettivo è stato quello di ridurre gli eventi cercando di stimolare l’aggregazione di artisti in open studio comuni, consorzi di gallerie. Il proposito era quello di farsi dare degli spazi grandi dove all’interno concentrare delle iniziative, degli open studio perché più gli eventi sono circostanziati maggiore è l’interesse che così non viene disperso. In cantiere ho tante novità ma preferisco dilazionarle, spostarle anche al prossimo anno. Il mio obiettivo per quest’anno era quello di consolidare le cose e di continuare a favorire, a supportare gli artisti emergenti.