L’immensa campagna normanna travolge di colori lo sguardo tra marmi policromi del XVIII secolo e imponenti statue lignee ottocentesche della Chiesa di San Potito, nel cuore del centro storico di Napoli, in modo diretto e coinvolgente con un’esperienza di realtà virtuale, che proietta lo spettatore nei luoghi e nelle opere di Claude Monet anche con l’ausilio di appositi occhiali 3D. Qui, dove siamo e dove viene sera e viene mattina; e i giorni si aggiungono ai giorni, le stagioni susseguono altre stagioni abilmente pitturate. Dare le coordinate di questo “qui dove siamo” non è facile, con strumenti che rilevano colori e paesaggi in modo dettagliato.
La mostra immersiva, a cura della Exhibition Hub, società di Bruxelles specializzata nella progettazione e produzione di mostre immersive, ripercorre l’itinerario di Claude Monet attraverso i suoi numerosi viaggi, con più di 300 proiezioni di dipinti e schizzi dell’artista.
Non ci sono contaminazioni, parola che sa di eversione ed avversione nei confronti di luoghi amati dall’artista, bensì emerge la memoria storica e tutto quello che è il suo passato toccato dal trascorrere del tempo, tappe della vita dell’artista scanditi da luoghi pregni di impulsi tali da averlo portato alla creazione di uno stile autonomo.
È chiaro il rapporto con la tradizione impressionista, la cui specialità era legata soprattutto al saper dipingere dei paesaggi naturali di getto, all’aria aperta, e successivamente completare l’opera ed aggiungere le ultime caratteristiche all’interno degli studi. È chiaro il rapporto con l’Italia e l’ambiente tipicamente veneziano: il riferimento non manca al visionatore quando si ragiona in termini geografici. L'importante è che da questa tradizione si tragga l’ispirazione per portarla da un'altra parte, perché altrimenti sedimenta e tutto quello che resta fermo, tutto quello a cui si fa una statua, diventa non solo poco utile ma anche dannoso.
Per cui l’innovazione, la bravura, la sorpresa, la capacità di fare spettacolo e comunicare, con emozioni rilasciate sulla tela con la sua tavolozza armonica, percuote sia le pareti delle cappelle della chiesa seicentesca di via Salvatore Tommasi, sia gli sguardi del pubblico fremente a ritmo di queste inaspettate amate proiezioni.
Varcata la soglia si entra in un dipinto reale che oltrepassa la tela, poi, visitando la casa di Monet, il suo giardino così fulgido e camminando su quello stesso ponte, ci si ritrova protagonisti di un quadro d’ambiente invernale, dai colori così scuri, piuttosto che dei colori tendenti al celeste per dare una chiarezza e limpidezza all’acqua, animata da un tocco di “materialità”, o in primavera circondati da una fievole limpidezza dei riflessi degli oggetti sullo specchio d’acqua per dare primaria importanza alla rappresentazione della vegetazione (alghe e altre piante) presenti invece all’interno del fiume, elemento imprescindibile nelle ultime opere realizzate sempre dallo stesso Monet.
Incalza nella scena il Giardino di Giverny, una proprietà acquistata nel maggio 1883 da Claude Monet, fonte di ispirazione per la serie delle Ninfee che conta circa 250 dipinti.
Scegliere quei posti pare una mappa del tesoro tra pennellate proiettate a 360 gradi, su più di 1000 metri quadri di schermi, e una realtà virtuale (VR) in cui il visitatore viene accompagnato in un viaggio attraverso i colori e i giochi di luce di oltre 300 dipinti di Monet.
Quest'opera d'arte mantiene una comunicazione interconfessionale nel corso di tutta la mostra, che si avvale di recenti tecniche di mappatura digitale per creare un'interpretazione totalmente nuova delle opere del padre dell'Impressionismo. Il connubio tra arte e tecnologia che ne deriva porta a un risveglio dei sensi e a un piacere per gli occhi e per la mente. L'esperienza indica la strada per un nuovo modo di fruire l'arte, svelando la vita e l'opera di un grande artista come il fondatore del movimento impressionista, una delle icone innegabili nella storia dell'arte, la cui opera è amata in tutto il mondo per la sua bellezza e la sperimentazione che cambia prospettiva.
Coin du bassin aux nymphéas rappresenta un esempio per antonomasia delle sue celebri e famose Ninfee. Dietro alle ninfee c’è molto di più che dei semplici fiori e uno stagno, esse sono la conclusione di un viaggio lungo quanto la vita stessa dell’autore, sono la ricerca di qualcosa che va oltre la semplice rappresentazione del mondo apparente. Con il crescere dell’interesse da parte dell’artista per le ninfee, possiamo notare come all’interno delle sue composizioni, tutti gli altri elementi decorativi piano piano comincino a venire meno: il ponte giapponese, tutti gli altri fiori scompariranno completamente dalle tele dell’artista. Nella sua intesa con la natura emergono tre elementi: la luce, il ritmo delle pennellate e l'armonia. A dare il cammino a tutto c'è l'armonia e la luce; il loro figlio è il ritmo delle pennellate che trasporta la finezza dei dipinti, della luce con il ritmo di quegli stessi luoghi, un mix di pulsioni che arricchiscono lo spettatore.
L’artista, a partire dal 1912 venne colpito dalla cataratta, che gli provocò dei forti danni alla vista, e non sappiamo se questa abbia contribuito positivamente o negativamente nella resa definitiva di questa serie di opere. La realizzazione di queste ninfee probabilmente era come una sorta di “diario quotidiano” dell’artista, il quale invece di scrivere, dipingeva ogni giorno, annotando sempre elementi innovativi e differenti all’interno delle sue opere. Con il suo sguardo, malato o no, Monet scavava dentro le cose e ci vedeva la vita.
Dipinte fino alla morte, nonostante il dolore della Prima guerra mondiale, per la perdita dei suoi cari, per la cecità e la vecchiaia, le ninfee sono il testamento dell’autore, ultima espressione di tutto l’amore che Monet nutriva verso questo mondo, per tutte le sue creature, identiche in bellezza nonostante il continuo mutare del tempo.
L’innata curiosità di questo incontro magico lascia con il fiato sospeso, in questa danza emozionante.