Così come tante donne prima e dopo di me, ho vissuto la mia vita come una creatura travestita. Come amiche e parenti prima di me, mi sono pavoneggiata barcollando sui tacchi a spillo e ho indossato l’abito buono e il cappello per andare in Chiesa. Ma la mia favolosa coda spesso spuntava sotto l’orlo, e le orecchie si contraevano tanto da farmi ricadere il cappello sugli occhi.
(Clarissa P. Estes)
Il motivo del travestimento, dell’occultamento, del velamento, attraversa la storia sociale delle donne e al contempo conduce nel cuore di tante vicende fiabesche e leggendarie del nostro immaginario, abitato da figure di eroine che protette da armature o da abiti maschili hanno combattuto per altissimi ideali, imparando e praticando mestieri, spostandosi indisturbate nel mondo, fondando comunità e monasteri. Sembrerebbe trattarsi di una volontaria scelta di negazione del corpo, una ferita inferta all’identità femminile: in realtà, più spesso, nei racconti archetipici il travestimento o l’occultamento palesano un mitologema ricchissimo di riflessi alchemici e iniziatici.
In passato per indicare le fiabe si usava l’espressione “racconti di Pelle d’Asino”. Questa era infatti considerata la fiaba delle fiabe, forse per la grande quantità di simboli presenti. Nella versione più nota, Pelle d’Asino è un racconto popolare francese, pubblicato nel 1697 da Perrault e in seguito ripreso dai fratelli Grimm: tuttavia è presente in numerose rivisitazioni locali, a conferma della grande fortuna che ebbe in tutta la tradizione europea. Potremmo annoverarlo fra le varianti di Cenerentola: una versione cruda e più primitiva, in quanto conserva un motivo che nel passaggio dall’oralità alla redazione scritta è quasi sempre stato epurato, ovvero quello dell’incesto.
È la storia di una fanciulla figlia di re, che il padre vedovo desidera prendere in sposa. La ragazza è determinata a sottrarsi a una volontà paterna che sente contraria alle leggi di natura e, consigliata dalla madrina, chiede doni di fidanzamento impensabili, certa lui non riuscirà a procurarli: prima un abito d’oro come il sole, poi uno d’argento come la luna, infine uno lucente come le stelle (o colore del tempo). Sembra confluire tutto il creato nei regali pretesi dalla principessa, che contro ogni previsione il padre ogni volta le fa recapitare. Lei chiede allora un ultimo dono impossibile: nella versione dei Grimm un mantello cucito con le pelli di tutti gli animali del regno, in quella di Perrault la pelle conciata di un asino magico, che defeca monete d’oro procurando enorme grandezza al regno. Anche questa volta, incredibilmente, il re accontenta la figlia.
A questo punto, alla ragazza non resta che fuggire. Dopo avere riposto in un guscio di noce i tre meravigliosi abiti, vi aggiunge un anello, un fuso d’oro e un piccolo arcolaio: oggetti tipicamente femminili, potenti nella loro valenza simbolica, che alludono alla magia della fabbricazione del filo, all’abilità e alla pazienza del tessere, alla completezza e al ricongiungimento ciclico. È notte quando la principessa si inoltra nel bosco, pronta a rinunciare ai privilegi regali per affrontare l’ignoto. A proteggerla, la pelle dell’asino fatato, che indossa ricoprendosene interamente e che fungerà da magico mantello dell’invisibilità. Da quel momento, per tutti è Pelle d’Asino, anche quando, ormai lontana dal regno, prende servizio in una fattoria come sguattera, adattandosi ai lavori più umili. Ma quando si trova sola nella sua misera stanzetta, Pelle d’Asino indossa segretamente i suoi magnifici vestiti, e un principe che passa da quelle parti, vedendola per caso così magnificamente abbigliata, se ne innamora. Poiché non riesce a ottenere informazioni sulla bellissima fanciulla di cui nessuno sembra sapere nulla, cade gravemente ammalato; riuscirà a guarire solo quando Pelle d’Asino avrà preparato per lui una focaccia, nella quale avrà fatto scivolare il suo anellino, espediente che consentirà l’agnizione finale e lo svelamento della nobiltà delle sue origini.
Secondo una lettura di tipo alchemico il motivo dell’incesto, che apre il racconto, presenterebbe un’allusione alla derivazione di ogni sostanza da un’unica materia originaria. Per compiere il percorso di individuazione, la fanciulla deve sperimentare per l’appunto un opus alchemico, scendendo nella propria nigredo. Con sé ha però risorse eccezionali, abiti magnificenti e luminosi che potrà indossare in segreto. I suoi oggetti magici, simbolo della sua vitalità psichica profonda, rimangono custoditi al sicuro in quel guscio di noce, mentre lei viaggia avvolta in una sudicia pelle animale. Ma l’asino si rivela essere un animale guida per l’Infanta: poiché ha natura saturnina, è in grado di condurla nei territori inferi e notturni, espletando la funzione di psicopompo che tutta la tradizione antica gli attribuisce. L’asino ha orecchie lunghe, necessarie per cogliere gli insegnamenti iniziatici; se accettiamo di vestirne le spoglie possiamo aspirare a una trasformazione spirituale. Bisogna fare esperienza di una condizione inferiore, animale, riconoscendola in sé, per poter diventare donne e uomini liberi: forse questo intendeva Francesco d’Assisi, quando definiva il proprio corpo “Frate asino”.
Pelle d’Asino accetta dunque di farsi bestia da soma, piegandosi, lei che è figlia di re, ai lavori più umilianti. Ma non dobbiamo dimenticare quale spessore di significato assumono il lavoro, la fatica, l’ubbidienza, nei racconti mitici, dove quasi sempre sono le protagoniste femminili a prestare servizio e a svolgere compiti di cura. Spesso lo fanno nella casa della strega, la grande iniziatrice, per la quale devono svolgere lavori domestici e preparare i pasti: qualche volta sono costrette a diventare guardiane di maiali (animali anticamente offerti alle antiche dee generatrici) o, ancora, prestano paziente opera al fuso o al telaio, dove in un tempo sospeso imparano l’attesa intessendo le fila della propria esistenza, se necessario con astuzia, filo dopo filo, per successivi giri di spola e con perizia via via più mirabile, contattando le risorse psichiche profonde. Giorni e notti passati fra la cenere e la polvere, che preludono a bagni lustrali di rinascita, quelli che Pelle d’Asino si concede quando nessuno sguardo profano la osserva, consumando il rituale della cura di sé. Solo per sé infatti si fa bella, non per compiacere occhi altrui, e per il proprio piacere indossa gli abiti che le donano le energie degli astri. La rinuncia ai privilegi della femminilità è stata solo apparente: la bellezza si è conservata intatta, sotto la sudicia pelle asinina, preservandosi per colui che avrà occhi per riconoscerla. Solo allora, ormai trasformata, la principessa potrà finalmente scivolare fuori dall’utero protettivo del mantello animale, partorendo se stessa nella pienezza della propria regalità.