Daniel González nasce nel 1963 a Buenos Aires, Argentina. Vive e lavora tra New York e Verona.
Ho avuto il piacere di conoscere Daniel di persona in occasione di Art Verona entrando nel suo stand, in cui nessuno, e sottolineo proprio nessuno, poteva rimanere indifferente al flusso energetico che ti travolgeva quando oltrepassavi la tenda colorata fatta di strisce verticali di mylar…. Un’installazione di vapori, colori, energia positiva, proprio quello di cui avevo bisogno in quel momento... E credetemi, non ero l’unica!
González realizza progetti pubblici che definisce “architetture effimere”, mylar works, banner-painting in paillettes cucite a mano, dipinti e pezzi unici indossabili presentati in performance ad alto impatto. L’artista crea mondi folli, colmi di energia, spazi positivi che permettono di sentirsi liberi e di andare contro le convenzioni esistenti che improvvisamente collassano e perdono il loro valore.
Il suo lavoro consiste fondamentalmente nella continua ricerca sull’importanza e sul valore del rito della celebrazione. Infine analizza la diversione tra le categorie sociali.
Le tue opere trasmettono perlopiù una forte energia positiva, ma allo stesso tempo sembrano voler travolgere quasi in modo “rivoluzionario” chi le incontra. Da cosa nasce questo tuo bisogno?
La rivoluzione attraverso la bellezza! Utilizzo la capacità dell’arte di essere un catalizzatore di pensieri e forme per darci nuovi punti di vista sulla nostra realtà a favore di migliorare la nostra condizione personale e collettiva.
Inoltre l’arte può stimolare un cambiamento sul piano della percezione per offrirci un’emozione fisica, intellettuale o entrambe.
L’arte storicamente è stata usata per trasmettere ogni tipo di idea: dai dogma religiosi alla propaganda politica, fino ad arrivare agli stati più elevati dell’animo umano.
Con le mie opere tento di creare luoghi di scambi emozionali a favore di un’idea che ci permetta di rubare al quotidiano qualche istante di libertà, sia questa di pensiero che di scelta.
Che significato hanno per te le paillettes? Le ritroviamo in svariate tue opere come, ad esempio, in quelle che hai esposto nella tua mostra personale Present Monuments.
Mi ha sempre affascinato utilizzare e nobilitare una tecnica artigianale per realizzare opere d’arte e rientra pienamente nelle mie intenzioni attraversare le diverse categorie sia di linguaggio, che di contenuti. Inoltre le paillettes reagiscono alla luce creando effetti visivi che cambiano, non solo se sono esposte a differenti fonti luminose, ma anche in base ai differenti punti scelti per cucire le paillettes stesse.
L’artigianato intimo di cucire le paillettes ci riporta ad uno sguardo femminile di vedere e pensare il mondo e le paillettes con i loro riflessi sono una magia: grazie a loro ho vinto il Pollock Krasner Foundation Grant nel 2017-18!
La libertà è il tema alla base dei miei lavori, sia che si esprima nei contenuti, sia che si manifesti nel linguaggio utilizzato per realizzare l’opera.
Che valore hanno per te i soldi e come li connetti all’arte? In diverse tue opere fai riferimento in modo apparentemente scherzoso al cosiddetto “Dio Denaro” come in I love your credit card, Sono finiti i soldi, Mai più gratis… Perché? Cosa ti turba veramente?
I miei lavori rapportano anche bisogni sociali. I soldi sono una forma di indipendenza personale, anche nell’arte! Li cito per un senso di sopravvivenza e sono una chiave per acquisire forme di libertà.
Con il progetto Mi casa tu casa, la tua maggiore retrospettiva sulle architetture effimere presentata al MAR Museo di Mar Del Plata, hai voluto dar vita ad una sorta di “casa dei sogni”, alla casa che nasce dai desideri insiti in ognuno di noi.
La casa è uno dei maggiori desideri che ci trasciniamo addosso per tutta la vita! #WhatsupArgentina Mi casa tu casa, al Museo Mar (della Provincia di Buenos Aires, curata da Michela Sacconi), era un progetto di architetture effimere nato dalla volontà popolare, cioè attraverso l’utilizzo dei social media, per poter coinvolgere la società argentina dalla base, ovvero dall’atto creativo stesso.
L’ufficio di comunicazione del museo chiedeva alla popolazione di rispondere, con un messaggio via WhatsApp, alla domanda: “Com’è la tua casa dei sogni?”. Le risposte erano la materia prima alla quale attingevo per creare il concetto delle opere. Abbiamo ricevuto centinaia di WhatsApp che provenivano da tutte le categorie sociali ed età, da bambini di cinque anni che mi chiedevano una casa che potesse volare (Casa del viento), a studenti che mi descrivevano il posto dove si sono dati il primo bacio (La casa de la niebla), a professionisti che volevano vendere o affittare il museo per poter comprare la loro casa dei sogni (Vende o alquilo), fino ai nonni che chiedevano un luogo per lasciare le loro piante quando andavano in vacanza (el Hotel de las Plantas). Fu incredibile!
Abbiamo costruito 13 architetture effimere negli spazi non espositivi del museo, a partire dal desiderio popolare e dalla quantità di materiali che il pubblico portava per la loro costruzione, dandomi la possibilità di far partecipare i miei amici, le loro famiglie e i miei compagni di scuola, oltre lo stupendo staff del museo.
Nel 2011 hai partecipato alla Biennale del Museo del Barrio a New York creando Pop-up Museo Disco Club, una scultura-installazione che trasformava la facciata del museo sulla 5th Avenue e l’atrio in un block party di sei mesi di durata. Anche in questa occasione hai voluto trasmettere allegria e positività. A cosa ti sei ispirato stavolta?
Ogni volta che intraprendo un progetto pubblico come le architetture effimere mi propongo di stabilire un dialogo con l’architettura che mi ospita e con la società circostante, le sue tradizioni e la sua cultura. Con Pop-up Museo Disco Club ci troviamo alle porte di Harlem, dove si sono svolti i primi storici block party. Con una dinamica simile a queste feste spontanee volevo trasformare un luogo liminale com’era l’ingresso del museo per la durata di sei mesi.
In occasione dell’ultima edizione di Art Verona e per lo stand di Exibart 113 hai realizzato una sorta di “stand-installazione” in cui sembrava di essere ad un party, in cui ci si “distaccava” dalla realtà e ci si lasciava trasportare dalla spensieratezza e dal divertimento, insomma, in cui si era fondamentalmente liberi. Il tema della libertà ricorre spesso nei tuoi lavori: perché?
Sono cresciuto sotto la dittatura militare e la sospensione dei diritti era molto comune. Avere la possibilità di poter scegliere cosa indossare, dove andare e cosa poter dire o pensare è un grandissimo lusso che spesso ci dimentichiamo di avere in occidente. Nella mia opera diventa un mantra celebrativo.
Il progetto speciale realizzato per Exibart nella sezione Pages (curata da Ginevra Bria) si intitolava Words from the future e consisteva nel trasformare lo stand di Exibart in una architettura effimera. Questa creava uno spazio attivandolo con una celebrazione silenziosa senza musica né interferenze, che ci permetteva di leggere un articolo o semplicemente di far relazionare le persone con un libro, un magazine o lo scambio di informazioni, in un ambiente che ci offre istanti di leggerezza e libertà.
Tutto il team di Exibart #matteobergamini #federicopezzagli #urosgorgoni mi ha dato carta bianca per il progetto!
In alcune delle tue creazioni con le paillettes hai usato uno stile molto simile a quello di Picasso, ma sottolineando il femminile: il tuo è una sorta di “sfogo”, di “vendetta”, quasi una presa di posizione a favore della donna o cosa vuoi dirci in realtà?
Sono un femminista dall’infanzia, anche se sono stato cresciuto da donne che non conoscevano categorie per definirsi.
Mi sono basato sui ritratti che Picasso realizzava cercando di esprimere le nevrosi delle donne con le quali aveva rapporti. Nella mia “Picasso chat” ho rifatto gli stessi ritratti, rovesciandone l’approccio, utilizzando le paillettes come un linguaggio intimo che può far riflettere sul mondo femminile e la sua complessità.
Se osservi queste opere, ognuna ha una scritta cucita che narra un pensiero, desiderio o stato d’animo come liberazione. Ad esempio: Me ne sbatto, Mai più gratis o Play hard or go home!.
Per la realizzazione dei tuoi lavori usi materiali molto diversi tra loro come paillettes, mylar, tessuti vari e cartone. Sai esprimere i tuoi pensieri sia su piccole dimensioni che su interi edifici come hai fatto quando hai ricoperto una chiesa storica di Rotterdam con cartone intagliato come fosse un gigantesco libro pop-up. Si potrebbe quasi dire che tu sia “camaleontico” e che sappia adattarti facilmente a diverse situazioni centrando però sempre l’obiettivo. Da dove arriva questo meraviglioso “spirito di adattamento”? Ha forse a che fare con un qualcosa di autobiografico?
Sono latinoamericano, argentino. Sono flessibile per cultura, passione e necessità! Sono abituato a rispondere ai bisogni primari senza troppi filtri. La scelta dei materiali e della scala risponde al bisogno dettato dalla natura di ogni idea.
Certe idee sono nate per essere ed appartenere a tutti e si manifestano in progetti e opere di larga dimensione confrontandosi quasi fisicamente con il nostro corpo, rendendoci parte di un’esperienza fisica. Altre idee invece sono particolarmente private ed intime anche nel formato ed il confronto con il pubblico è puramente mentale.
Ogni formato porta in sé qualcosa di importante per me. Ad esempio, nelle architetture effimere mi appoggio ad una struttura preesistente e con la mia opera cambio la funzione semantica dello spazio circostante, creando una forma di trauma all’architettura ospitante. Quando tutto torna normale rimane la memoria che quello spazio ha funzionato diversamente solo nelle persone che lo hanno vissuto e nella documentazione.
Di cosa abbiamo bisogno secondo te in questo mondo per “salvarci” dalla perdizione totale?
Ballare, comunicare, abbassare per quanto sia possibile il senso di giudizio verso gli altri e fare tutto con intensità.
Esiste il tuo mondo “perfetto”?
Solo dentro le mie opere! Perché le imperfezioni nel mio mondo diventano superstar.
Che messaggio vorresti lasciare alle future generazioni?
Potrei solo dir loro ciò che mi ripeto ogni maledetto giorno:
Tenta di esprimere il tuo mondo con la tua voce e credi in ciò che fai, anche se arriva la fine del mondo!